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Il 77

L’uomo in più di Mou: l’importanza di chiamarsi Mkhitaryan

L'armeno è fra i migliori e in ogni ruolo. È rimasto fuori in una sola gara di Serie A. Per lo Special One è "il giocatore più fondamentale"

Mkhitaryan (As Roma via Getty Images)

Mkhitaryan (As Roma via Getty Images)

15 Febbraio 2022 - 12:23

L'ennesima investitura è arrivata al termine della sfida con il Sassuolo. «Ho adattato Mkhitaryan nella zona in cui serve far girare palla ed è stata una scelta felice, è quello che pensa meglio il gioco, che trova meglio gli spazi ed è il giocatore più fondamentale di questa squadra». Parole e musica di José Mourinho, che con quel «più» conferisce ulteriore forza a un concetto già assolutistico. E soprattutto già certificato dai fatti: una sola partita di campionato in panchina per l'armeno (quella sciagurata di Venezia), poi sempre in campo, a gara in corso o dall'inizio, per un totale di 24 presenze in 25 giornate, più altre 7 nelle coppe, quando è stato tenuto fuori soltanto in caso di turnover.

Numeri alla mano, al numero 77 Mou si affida sempre o quasi. E in ogni posizione, anche le meno ipotizzabili a bocce ferme: esterno d'attacco nel 4-2-3-1 d'inizio stagione, su entrambe le corsie; trequartista centrale; seconda punta; esterno a tutta fascia perfino, all'occorrenza, col passaggio alla linea difensiva a tre; mezzala il più delle volte col sistema adottato da novembre in poi; regista sui generis, addirittura con compiti da mediano puro, nella trasferta del Mapei, in mezzo a un centrocampo di palleggiatori (ma privo di interditori) completato da Pellegrini e Oliveira. Micki è l'uomo per tutte le stagioni anche per lo Special One, proprio come lo è stato con Fonseca. E anche se i suoi numeri riguardanti gol e assist sono in calo rispetto alle prime due annate in giallorosso - anche perché si è allontanato dalla porta avversaria - il lavoro che svolge per la squadra non è in discussione. Tantomeno da quando ha arretrato il proprio raggio d'azione, entrando però al contempo più nel vivo della manovra.

In una squadra che denota diversi limiti di personalità (dovuti anche all'età media), Henrikh è fra i pochi a compiere il più delle volte le scelte giuste, velocizzando, verticalizzando, pulendo la zona nevralgica ma mai in modo banale e quasi sempre con l'intento di innescare la transizione offensiva, senza perdere tempi di gioco. Da contratto, a giugno potrebbe accasarsi altrove e anche se non è alle liste una discussione per il rinnovo, per una squadra in cerca di iniezioni di carattere la riflessione su una sua eventuale conferma dovrebbe essere molto ponderata. D'altra parte la sua triennale storia romanista parla di legami prolungati ogni stagione: prima stagione in prestito; rescissione con l'Arsenal e accordo annuale; poi altro rinnovo. E se anche Mou si spende per lui.

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