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L'intervista

Di Biagio al Romanista: "Ma io dico che non ho fallito. Zaniolo è un giocatore importante"

L'ex ct della Nazionale Under 21: "Che delusione aver letto tante parole ingiuste. Accetto i giudizi sul risultato, ma chi dice che non giocavamo è in malafede"

La grinta di Di Biagio in una gara dell'Europeo Under 21

La grinta di Di Biagio in una gara dell'Europeo Under 21

27 Luglio 2019 - 11:57

Per quanto si sforzi di dimostrarsi sereno, la cicatrice sta lì. Sta per andare in vacanza Gigi Di Biagio e forse tra un bagno e un altro in Sardegna si sforzerà di dimenticare quel tiro sghembo di Bielik, il gigante polacco dell'Arsenal che lo scorso 19 giugno ha colto di sorpresa Meret e di fatto eliminato l'Italia Under 21 dall'Europeo che voleva vincere, che doveva vincere, che poteva vincere. Fu l'unico bagliore avversario di una partita per il resto dominata dall'Italia e questo a Gigi Di Biagio, romano, 48 anni, allenatore al momento disoccupato, proprio non va giù: «Come dissi a caldo, non avrebbe avuto alcun senso criticare la formula del torneo quella sera, e vale ancora oggi. Quel che dovevamo dire lo avevamo detto mesi prima, quando la formula fu scelta. Per assurdo, per aver la certezza di vincere un torneo complicato come quello devi riuscire a vincere tutte le partite. La Spagna ha sfruttato al meglio il fatto di aver perso subito. Noi abbiamo perso la seconda, e non abbiamo potuto far niente per evitare l'eliminazione».

A distanza di giorni l'amarezza è ancora molta?
«Senza nasconderci, l'obiettivo era vincere l'Europeo, c'erano tutti i presupposti per arrivare fino in fondo. Da qui l'amarezza».

Alla fine della partita con la Spagna eri convinto di essere a buon punto sulla strada della vittoria?
«Convinto no, non lo si è mai. Ma la strada si era messa in discesa».

La Spagna era la più forte?
«Per me sì. Ed ero comunque sicuro che in finale sarebbero arrivate due tra Italia, Germania e Spagna. Peccato che siamo rimasti fuori no. Mi ha sorpreso che l'Inghilterra sia rimasta indietro e la Francia sapevo che era un po' vulnerabile».

@LaPresse

Tornassi indietro, con la Polonia cambieresti qualcosa?
«Quando non si vince c'è sempre qualcosa di sbagliato. Siamo stati poco lucidi e frettolosi in certi momenti. Personalmente se non vinco mi reputo sempre il principale responsabile. Anche se nello specifico, con 33 tiri in porta ho poco da rimproverarmi. Avremmo dovuto segnare subito e sarebbe potuta diventare una partita come Spagna-Polonia (poi finita 5-0, ndr)».

Eppure dopo quella partita, e per via della conseguenziale elimiminazione, i giudizi sulla squadra e sulle tue responsabilità sono stati impietosi.
«Purtroppo siamo abituati a certe cose. La crescita di questo gruppo a me pare innegabile ed è logico che oltre a giocare bene avremmo dovuto vincere. E se non ci siamo riusciti è logico essere giudicati negativamente. Ma chi ci ha seguito sa che l'80, forse il 90% delle partite giocate sono state da noi sempre condotte sul piano del gioco. Tutti i ragazzi che abbiamo avuto oggi sono in grado di giocare ad altissimi livelli un calcio internazionale e di questo non posso che essere orgoglioso. Però dovremmo essere in grado di distinguere i giudizi: se qualcuno mi chiede, hai vinto? No, alzo le mani e mi rimetto al giudizio di chi è chiamato ad esprimersi. Ma se poi leggo, su testate specializzate a firma di giornalisti di peso, che questa squadra non aveva un gioco, non aveva una sua identità con delle linee guida ben precise, allora significa che chi scrive è in malafede. I numeri testimoniano il contrario: siamo la squadra che ha subito di meno e concluso di più e la squadra che in questi sei anni ha mostrato il gioco più brillante. Il problema è che in Italia si seguono poco le partite e si continua a giudicare tutto solo in base al risultato».

Viscidi sulle colonne del Romanista ha spiegato il percorso fatto dalla Federazione per rendere il calcio italiano al passo con i tempi. La scuola federale è ormai all'avanguardia. L'altro giorno Federico Guidi, tecnico del Gubbio che fino a maggio ha guidato l'Under 19, ha messo in difficoltà la Roma in amichevole. Solo un caso?
«Federico è un grandissimo allenatore e spero possa dimostrarlo anche al Gubbio. Io continuo a pensare che con le Under, e non parlo solo della mia, sia stato fatto un ottimo lavoro. Ormai, dopo anni di confronti difficili, arriviamo a giocarcela con tutti, nelle fase finali di ogni competizione. Certo, ci manca la vittoria a certificare tutto questo. Ma arriverà. E resto convinto che chi arriva a guidare oggi una Under, grazie al lavoro fatto in questi anni, può allenare senza neanche guardare partite per cinque anni».

Parli di data-base?
«Di tutto, di archiviazione dati, di sistemi di lavoro, di concetti trasmessi ai ragazzi. Si mandano in nazionale A 30 giocatori di cui la metà in pianta stabile. Di queste cose mi piacerebbe parlare con chi parla di fallimento. Ma lo ripeto: ciò non toglie che potevamo vincere l'Europeo e non l'abbiamo fatto».

Nella gestione dei più bravi, dei ragazzi saliti e poi riscesi dalla Nazionale A, si poteva far qualcosa di meglio?
«È stata una gestione difficile perché molti ragazzi ad esempio dovevano recuperare anche piccoli infortuni. Esigenze di gestione che hanno riguardato Kean, Zaniolo, Chiesa e Pellegrini. Roberto Mancini doveva preparare le sue partite e per quanto noi ci sentivamo e i medici condividevano i programmi, non è stato semplice arrivare alla vigilia della partita e fare il primo allenamento con tutta la squadra a 48 ore dal match. Ma è il nostro lavoro e lo abbiamo saputo gestire».

Per chiudere con l'Europeo, che cosa ti porti dietro con orgoglio e che cosa proprio ti ha ferito?
«La cosa più bella sono stati gli stadi pieni e il momento dell'inno prima delle partite. Un'emozione che ancora sento sotto la pelle. Delle cose negative ho già detto. Scrivere che la Polonia ha meritato di vincere la partita contro di noi qualifica chi l'ha fatto. Se avessimo vinto noi una partita in quel modo ci avrebbero dato dei catenacciari per i prossimi vent'anni... Se mostrassi i messaggi che mi hanno mandato tanti giocatori anche della Nazionale A, o dirigenti e presidenti, si capirebbe meglio come si possa apprezzare il lavoro svolto in un certo modo».

Durante l'Europeo hai punito Zaniolo. Che pensi di lui oggi?
«Nicolò in dodici mesi ha vissuto di tutto. Sono state quasi tutte cose positive, lui deve far tesoro di quello che è accaduto e usarlo per crescere. È un bravo ragazzo, sta vivendo una situazione quasi irreale perché gli è scoppiata in mano questa popolarità, e ora vedo che la sta anche gestendo bene. Quel che è accaduto con me è una stupidaggine, ed è passato. Ha capito e spero in cuor mio che possa servirgli per il futuro. È un giocatore importante e la Roma se lo deve coccolare. Spero che possa far bene».

Parlando in termini più generici di calcio, tra la scelta di Mancini, l'impronta delle nazionali giovanili e l'input dei presidenti, tra cui, grande novità, anche di Agnelli e della Juventus, il calcio italiano ha preso una direzione definitiva, ormai. Si va verso la ricerca del risultato solo attraverso il bel gioco.
«Finalmente, direi. Altrimenti a livello internazionale non contiamo più. Già da tempo molti allenatori hanno preso questa direzione. Speriamo di continuare così».

Tutta la tua formazione da allenatore è stata in Figc. E ora?
«Ora sono sul mercato, mi sono arrivate alcune proposte, ma non voglio aver fretta. Nel frattempo continuo ad aggiornarmi e poi al momento giusto rientrerò».

Chi prenderà Di Biagio che allenatore sceglierà?
«Uno a cui piace attaccare, giocare a calcio, puntare sui giovani e far divertire la gente, portando a casa il risultato ovviamente. Poi molto dipenderà dal tipo di squadra che allenerò e dagli avversari che mi troverò di fronte. Ma sono pronto ad affrontare una realtà importante».

Che ti sembra della scelta argentina di De Rossi?
«Fantastica. Non affronterà avversari della Roma e sarà una sfida complicata. Si confronterà con un calcio difficile, lì se non stai bene rischi la figuraccia. Sarà appassionante».

La Roma invece ha scelto un allenatore straniero. Che ne pensi di Fonseca?
«In Italia ci sono tanti allenatori bravi, ma è inutile chiudersi. Gli allenatori stranieri possono rappresentare un valore aggiunto se sono bravi. E Fonseca a me pare bravo. Avrà il vantaggio di non partire con i favori del pronostico e a fari spenti lavorerà meglio. Spero che possa fare un grandissimo campionato».

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Vedi anche tu Juventus e Napoli un gradino sopra gli altri?
«Io vedo solo la Juventus sopra gli altri. A ridosso Napoli e Inter».

Ma Sarri non avrà certo un compito facile.
«No, non sarà facile, ma i giocatori capiranno e prima lo faranno e prima si divertiranno. Hanno dominato l'Italia con Allegri, ora lo faranno con un altro tipo di calcio. Sarri è talmente bravo che non può sbagliare».

E Conte con l'Inter?
«Si vede già la sua impronta, il mercato potrà fare la differenza, al momento la vedo dietro la Juve. Ma Conte ha nel dna la capacità di trasformare le squadre e tirare fuori il 100% dai suoi ragazzi».

Delle altre qualcuno ti incuriosisce in modo particolare?
«Mi incuriosisce capire i margini di miglioramento di De Zerbi, sono contento per Andreazzoli e spero faccia bene al Genoa. Poi ci sono delle certezze, tipo Inzaghi con la Lazio, Fonseca con la Roma. Chi è salito dalla B avrà un compito difficile, giocare a calcio in A è più complicato: penso a Brescia e Lecce in particolare».

Sai che quando allenerai ti rimproveranno se non farai giocare i giovani, come hanno rimproverato Mancini che da allenatore all'Inter aveva solo stranieri e da ct si lamentava che ce n'erano troppi...
«Certo, lo so. Ma io già oggi dico che se non tutti i giovani hanno spazio non è mica solo colpa degli allenatori, ma anche dei ragazzi a cui a volte manca un po' di coraggio. I dati parlano chiaro: noi avevamo difensori che in quattro avevano fatto venti partite, e la Spagna ha lasciato a casa gente come Reguilon, titolare nel Siviglia , e ha portato all'ultimo momento Lirola, che conosciamo bene, del Sassuolo. E Mancini da ct ha solo il 35% dei giocatori convocabili nel campionato italiano. Queste sono realtà. E per migliorare dobbiamo lavorare tutti insieme, ognuno per le proprie capacità e responsabilità».

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