ASCOLTA LA RADIO RADIO  

Roma-Milan 2001, l'abbraccio dello Scudetto tra Totti e Di Francesco

Montella agguanta i rossoneri in casa e a Bari segna Dalmat... La paura di perdere lo scudetto e la liberazione al 90’ con Di Francesco e Totti che si abbracciano

25 Febbraio 2018 - 12:23

Tutto in un abbraccio. Perché i Romanisti si abbracciano. Ancora. Anche e soprattutto a Roma-Milan. Un abbraccio, un'immagine, un attimo di immenso, tra il Capitano storico della Roma e l'allenatore, il primo, che dopo venticinque anni consecutivi, non ha trovato il numero 10 nella distinta delle formazioni da consegnare all'arbitro. Ma andiamo con ordine. Correva l'anno 2001, quello del tricolore.

Il 27 maggio si gioca la trentaduesima giornata di campionato. Un campionato dominato dalla Roma di Fabio Capello, che dalla sesta giornata è in testa. Lo scudetto è per uno scherzo del destino cucito dall'anno prima sulle maglie sbagliate. Tocca sforbiciare. Ma quelli non mollano e neanche quegli altri. Sono rimaste in tre, a fine campionato: la Roma è prima a 70 punti, a inseguire ci sono i nemici di sempre: la Lazio a 65, la Juventus a 64. Quelli e quegli altri, insomma. Don Fabio la settimana prima ha vinto a Bari 4-1, con undici uomini vestiti tutti di blu, più del mare, ma non quello che fa sembrare il capoluogo pugliese una grande Parigi, perché c'era il mare di Roma quel giorno al San Nicola.

All'Olimpico arriva il Milan di Cesare Maldini. La Lazio va a casa dell'Inter che è 21 punti indietro, anzi va sul neutro di Bari (pure lei), perché il 6 maggio, durante Inter-Atalanta, dalla curva nerazzurra era stato lanciato un motorino (sì, uno scooter) giù per le gradinate di San Siro, che viene squalificato (anche se dopo due giornate: il derby Inter-Milan 0-6, infatti, si giocò regolarmente al Meazza). La Juve ospita il Perugia. Quindi bisogna battere il Diavolo, punto e basta, per tenere lontane le rivali storiche.

Il Milan, però, per Totti non è una squadra come tutte le altre. Perché da bambino gli bussarono alla porta dei dirigenti che volevano a tutti i costi che Checco si trasferisse a Milano, ma mamma Fiorella disse no. Perché da grande Paperon de Berlusconi, incantato dalle sue giocate, ci ha provato e ha incassato qualche no dal Bimbo de oro. Perché con qualche milanista, poi, in quegli anni a cavallo dello scudetto, stava costruendo un un ciclo in Nazionale, che si concluderà a Berlino, dove il cielo diventerà azzurro nel 2006, con la coppa del Mondo.

Si gioca tutto su tre campi, quindi, con tanto di orecchio alle radioline. La prima ad andare in vantaggio è la Lazio a Bari: segna Crespo al 42'. Neanche passa qualche minuto e il Milan passa all'Olimpico, con Coco. Da calcio d'angolo sotto la Curva Sud l'incornata del difensore rossonero, che salta indisturbato, trafigge Antonioli. La Lazio è a meno due, adesso. Gelo. E Intervallo. E la Juve? Riprendono i secondi tempi e dopo 10' Trezeguet segna a Torino. Meno tre. Pressione all'Olimpico. C'è chi pensa «è finita, abbiamo mollato, ci riprendono». Che beffa sarebbe.

Mai scudetto sarà più meritato di quello. La Roma non può mollare, può barcollare, semmai. Capello con lo svantaggio si gioca dal primo minuto della ripresa Vincenzo Montella, scalpitante in panchina. Fuori va Super Marco Delvecchio. Venti minuti circa, tanto ci mette l'aeroplanino a raddrizzare l'asse terrestre. Anzi, anche meno, perché prima colpisce un palo imbeccato da Samuel. Capello suda sette camicie. Poi Totti sfiora il pareggio di sinistro. La Roma spinge, la partita si accende: Kaladze (cui hanno sequestrato in Georgia il fratello) e Candela si fanno cacciare dall'arbitro Cesari per una quasi rissa.

Vincenzino è indomito, prima sfodera un assist per Batistuta, che manca l'aggancio, poi parte da fascia destra, salta Giunti, arriva poco fuori area e vede quel "sellerone" di Rossi leggermente fuori dalla porta, con entrambi piedi sulla linea dell'area piccola del portiere. L'istinto è un po' tottiano, si ricorda del cucchiaio del Capitano del '96-'97, povero Rossi. Palombella giallorossa di sinistro, palla sotto l'incrocio. Gol! Uno dei boati più forti della storia dello stadio Olimpico.

Un po' di braccino del tennista, un tiro di Batigol deviato in angolo da Rossi e un altro (grosso) rischio allo scadere, come il palo che Roque Junior colpisce di testa sotto curva Nord. Nonostante l'espulsione di Serginho nel Milan per doppia ammonizione si va verso il 90' con il pareggio. La Juve e la Lazio hanno praticamente accorciato. Anche se... Totti viene sostituito da Nakata proprio allo scadere del tempo e se ne va in panchina con la bottiglietta in mano. Qualche attimo e l'Olimpico esplode ancora una volta: sul tabellone luminoso compare il nome di Dalmat, eroe per caso, che a Bari pareggia per l'Inter contro la Lazio. Champagne d'acqua potabile, smodata l'esultanza del Capitano, al quale si fa incontro il motorino, quello vero, Eusebio Di Francesco, rimasto in tuta e sfortunato in quell'annata, che esulta come uno dei ragazzi della Sud. Tutto in un abbraccio, tra Totti e Di Fra, tra romanisti. La Lazio resta a meno cinque, accorcia solo la Juve che la scavalca e va a meno quattro. Un altro piccolo pezzo di scudetto viene scucito da quelle maglie sbagliate. Liberazione. E testa bassa, perché poi ci sarà la trasferta di Napoli e il Parma in casa e solo allora si potrà dire: «È finita, la Roma è campione d'Italia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA