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L'analisi di Roma-Milan

Il Mouental Coach che carica tutti

Nelle squadre del portoghese c’è un marchio di fabbrica inconfondibile: il motore gira al 100% e nessuno si arrende mai prima della fine della partita

José Mourinho durante una sfida all'Olimpico

José Mourinho durante una sfida all'Olimpico (GETTY IMAGES)

01 Maggio 2023 - 08:30

Per giocare, si potrebbe immaginare un fantastico remake di Sliding Doors, fermando il tempo al giorno dell’annuncio di Mourinho e immaginando una diversa scelta dei Friedkin, appannaggio magari di qualche altro allenatore con una mentalità più “giochista” di quella dello Special One. Chissà cosa sarebbe accaduto alla Roma in questi due anni, chissà se per affrontare poi sabato sera il Milan di Pioli avremmo visto, con gli stessi uomini, una formazione votata all’attacco, con quattro difensori, tre centrocampisti e tre punte, capaci magari di schiacciare all’indietro i campioni d’Italia e di vincere largamente nel tripudio di una folla adorante.

Per carità, è bello a volte lasciare andare la fantasia, ma anche nell’animo di chi ha sempre apprezzato gli spunti proattivi degli allenatori più sofisticati d’Europa, forte è la sensazione che alla guida di questa Roma nessuno riuscirebbe ad ottenere risultati migliori di quelli che sta raggiungendo José Mourinho da Setubal, puntando però su altri aspetti. Di sicuro questa squadra sta andando oltre i suoi limiti e lo ha fatto vedere anche l’altra sera, contro i campioni d’Italia del Milan, tornati nella loro veste migliore, con giocatori in forma e un allenatore ispirato. Chiaro che qualcuno può storcere il naso a vedere la Roma lasciare spesso l’iniziativa agli avversari, difendere bassa, costruire gabbie intorno ai giocatori più temuti, Tipo quella che ha portato Mou ad immaginare uno schieramento asimmetrico con una fascia destra più bassa e una sinistra più alta e sbarazzina.

Eppure questa squadra raramente finisce per subire le iniziative avversarie, magari concede campo, ma mai troppe occasioni e soprattutto in casa difficilmente sbaglia un colpo. Così quando Abraham ha beccato l’unica giocata della sua partita ingannando i suoi due marcatori e pure il portiere, quando erano già trascorsi quattro minuti oltre il 90’, l’Olimpico è stato scosso dall’ennesimo brivido di passione a salutare un’altra impresa compiuta da un gruppo di giocatori ormai temprati a non arrendersi. Peccato per quell’incertezza che ha poi negato la soddisfazione di festeggiare fino in fondo, ma la speranza di raggiungere comunque i due traguardi principali di stagione è ancora immutata.

Il piano-partita di Mourinho
Come l’aveva immaginata la partita Mourinho? Con la consueta umiltà, verrebbe da rispondere innanzitutto. Per certo, il portoghese non appartiene alla schiera di allenatori che pensano esclusivamente alle qualità della propria squadra. Anzi, cerca anzitutto di arginarne i difetti. Ecco perché ad esempio non cambia la difesa a 3, e addirittura non si preoccupa di schierarla a 5. Sapeva, ad esempio, che la forza principale del Milan risiede nella catena di sinistra e da quella parte ha chiesto cautela ai giocatori schierati. Così Celik non si è mai avventurato nelle pressioni alte mentre dalla parte opposta Spinazzola l’ha fatto spesso andando a contrastare Calabria sin dalla prima impostazione.

Al difensore turco, invece, è stato chiesto di restare basso e il più vicino possibile a Mancini per non far neanche balenare al portoghese l’idea di avere un solo ostacolo nella strada verso la gloria. Il dispositivo ha retto benissimo e Celik è stato protagonista anche di una prova che lo ha riscattato agli occhi di molti tifosi, anche se proprio da Leao è nato il cross del pareggio finale. In quel caso però è stata la casualità a governare l’azione, con il rinvio di Maignan, la respinta approssimativa di Mancini, che ha provato a farsi largo tra Tonali e Origi, poi il pallone è finito giusto tra i piedi di Leao, il cross preciso è sceso sul secondo palo verso Saelemaekers, lasciato colpevolmente solo da Spinazzola che però era andato a saltare a contrasto su Thiaw.

Attenuanti: la difesa della Roma è davvero ai minimi termini, con tre centrali su cinque fuori causa (Kumbulla e Llorente non giocheranno fino a fine stagione, Smalling si spera di recuperarlo per l’Europa League), con Mancini ipersfruttato e Ibañez non certo nel suo momento migliore. Per non parlare delle defezioni in corso d’opera di Belotti e Wijnaldum, e pure quella di Bove, a sua volta subentrato a partita cominciata. Una Caporetto che avrebbe potuto far prevalere nell’animo dei giocatori la rassegnazione all’ineluttabile sconfitta. E invece ancora un po’ e si sarebbe usciti addirittura dal confronto con tre punti.

Il Mouental coach
E qui c’è lo spunto per parlare di un altro aspetto che ha a che fare più con la preparazione mentale che quella tattica e riguarda alcuni dogmi che si tramandano nel mondo del pallone secondo conoscenze acquisite che non vengono mai messe in discussione. Quante volte, ad esempio, abbiamo sentito dire che quando un allenatore sminuisce il valore di una rosa l’effetto più ovvio che può scatenare è togliere certezze ed autostima ai giocatori messi in discussione? Ora, facendo un’analisi superficiale ma per quanto possibile oggettiva, sembra a qualcuno che i giocatori considerati da Mourinho di secondo piano rispetto ai titolari siano mai venuti meno ai loro doveri o, per dirla meglio, abbiano accusato delle involuzioni tecniche, travolti dal peso delle responsabilità? In realtà gli up and down dei giocatori della rosa sembrano dipendere più da fattori esterni a queste valutazioni che dai giudizi pubblici dell’allenatore. Anzi, la sensazione è che quasi tutti i giocatori della rosa con Mourinho si esprimano vicinissimi al top delle loro potenzialità.

L’involuzione di Abraham e Belotti non dipende certo dei giudizi dell’allenatore che anzi, spesso, ne ha tessuto un elogio incondizionato, pur richiamando a volte soprattutto l’inglese ad una maggiore concentrazione sul campo. Il fatto è - ed è qui che c’è la differenza rispetto alle credulonerie che vengono tramandate - non è decisivo quello che un allenatore dice più o meno pubblicamente riguardo al proprio gruppo. Quello che conta è, invece, la credibilità che un allenatore può avere nei confronti dei suoi uomini. E se quello che dice Mourinho non viene avvertito come uno scarico di responsabilità («ho giocatori scarsi, per quello non vinco le partite»), ma, al contrario, come una richiesta di assunzione di nuova responsabilità («oggi non sei a quel livello, e per questo non sempre vinciamo le partite, ma prova a dare di più e vedrai che vinceremo più spesso»), vuol dire che per Mourinho non vale quello che si può sostenere per un altro tecnico qualsiasi. Del resto lui è lo special one. E gli altri no.

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