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L'analisi di Napoli-Roma

La Roma di José Mourinho è cresciuta, la rosa ancora no

La strategia di gioco a Napoli ha sorpreso e ha funzionato per tutta la partita. Ma dai cambi sono emersi i limiti strutturali di una rosa che deve migliorare

Dybala e Belotti dopo il ko con il Napoli

Dybala e Belotti dopo il ko con il Napoli (GETTY IMAGES)

31 Gennaio 2023 - 09:22

Il Mourinho che non ti aspetti se l’è andata a giocare contro il Napoli come non era riuscito a fare quasi nessuno quest’anno. Tatticamente una macchina quasi perfetta: pressioni altissime sulla prima impostazione, Pellegrini a schermare Lobotka, gli attaccanti sui centrali, i quinti sui terzini e poi duelli uno contro uno in ogni zona del campo che portavano spesso Mancini o Ibañez sulla trequarti avversaria a togliere spazio e tempo di giocata agli attaccanti di Spalletti in ripiegamento in cerca di metri liberi. Un piano che ha funzionato benissimo e che ha conosciuto solo piccole increspature, quasi impercettibili nella funzionalità del progetto tattico immaginato e studiato tutta la settimana a Trigoria, eppure decisive per spostare l’ago della bilancia dalla parte della squadra che quest’anno sta incassando tutti gli investimenti fatti nei mesi estivi. 

I cambi peggiorativi
Tra Mourinho e Spalletti, insomma, se si fosse potuto votare un vincitore stavolta sarebbe stato il portoghese, ma il calcio è spietato e gli onori del caso vanno tributati innanzitutto al toscano, ormai prossimo campione d’Italia, lanciato in una corsa senza ostacoli vista la carenza di avversari di rilievo. Avrebbe potuto esserlo la Roma di Mourinho un avversario degno fino alla fine della stagione se solo l’organico romanista fosse arricchito da seconde linee col valore delle prime. Tipo il Napoli, che può permettersi di tenere in panchina Raspadori e Simeone (che oggi sarebbero titolari della Roma) e pure Politano, Dembele o Elmas. Bravo il ds Giuntoli a restare all’interno di un progetto economico e finanziario sostenibile, mentre la Roma paga uno squilibrio di conti che ci si trascina negli anni a cui neanche l’ultima gestione ha saputo porre un freno. Per cui, nella sera della sfida in casa della squadra più forte del campionato, in teoria l’ultimo impegno proibitivo in trasferta della stagione, dopo essere usciti indenni dalle visite in casa di Milan, Inter e Juventus, Mou ha cercato prima di difendere e poi di attaccare il risultato, frustrato nel compito prima dal gol di Simeone e poi dall’impossibilità per i vari Zalewski, Bove, Volpato e Tahirovic di incidere sul destino di una partita a quel punto segnata. 

L’errore di Zale e Spina
La sfida è stata indirizzata presto proprio da un’infilata subita dal giovane polacco, errore che un terzino abituato a difendere difficilmente commette: quello di aprirsi sul movimento del dirimpettaio di fascia per farsi infilare internamente in un corridoio che poi spalanca le porte dell’area agli avversari. Poi sul cross, scavalcato Ibañez, è apparsa davvero troppo morbida l’opposizione di Spinazzola, quasi più preoccupato di non intercettare l’imminente conclusione con le braccia che intenzionato seriamente a respingerla. Preso il gol, la Roma avuto un solo momento di sbandamento ma è poi tornata rapidamente ad imporre la sua aggressività fin quasi a spersonalizzare l’interpretazione consueta dei napoletani. Il palleggio azzurro si è fatto all’improvviso sterile, le giocate prevedibili, le incursioni inoffensive. Per tutto il primo tempo s’è visto solo un cross di Lozano incornato ancora da Osimhen, mentre la Roma in un modo o nell’altro provava ad accorciare la strada che poteva condurla al riequilibrio della sfida. Obiettivo centrato in un bellissimo secondo tempo, disputato per trequarti di gara nella metà campo azzurra grosso modo fino al gol realizzato da El Shaarawy, peraltro in un’azione evidentemente studiata il cui antipasto era stato servito proprio all’inizio della ripresa: in quel caso il Faraone aveva preferito provare la torre per Abraham, poi anticipato dai difensori azzurri. 

La scelta sui cambi
Meritano invece un approfondimento gli ultimi 10 minuti di gara interpretati dai tecnici secondo le rispettive, rinnovate esigenze. Nella Roma è parso chiaro a un certo punto che il ridotto contributo di Pellegrini, Abraham e Matic avrebbe meritato la giusta valutazione da parte del tecnico che infatti ha provato a surrogarlo con la maggiore freschezza atletica dei suoi “bambini”, anche a costo di perdere qualcosa quanto a maturità, esperienza e presenza carismatica. Nel dubbio tra mantenere la squadra che si era comunque guadagnata il pareggio e rinfrescarla con l’idea magari di provare persino a vincere la partita puntando sulla maggior reattività dei subentrati, Mourinho ha deciso di intervenire, rischiando sicuramente qualcosa ed evidenziando una volta di più le difficoltà in cui sta maturando il suo processo di crescita con la squadra: senza giocatori di livello non si va lontano. E infatti la risposta non è stata confortante, non certo per il valore ormai riconosciuto dei “bambini” messi in campo, quanto perché nel frattempo il Napoli ha aumentato l’onda d’urto e a un certo punto qualcosa nel meccanismo difensivo giallorosso si è sfilacciato. 

Le attenuanti per Smalling
Il gol merita tatticamente un’analisi supplementare: se è vero che la responsabilità di Smalling è stata un fattore probabilmente decisivo, bisogna però considerare che l’inglese tende a difendere anche per coprire le carenze dei suoi compagni. E nell’occasione specifica ha temuto che il progetto di triangolo richiesto da Zielinski a Simeone potesse rischiare di essere chiuso nella latitanza di Ibañez, che era uscito sul polacco con i tempi sbagliati. Per questo il primo impulso di Chris è stato quello di spostarsi sulla sua sinistra, da dove presumibilmente sarebbe potuto arrivare il polacco. Simeone è stato invece bravissimo a fingere di restituire il pallone al compagno e a girarsi invece poi dalla parte opposta, dove Smalling non è più riuscito ad arrivare: a quel punto per il Cholito è stato necessario solo calciare fuori dalla portata dell’intervento del portiere e ci è riuscito benissimo. L’errore di Smalling si può dunque “derubricare” a peccato di generosità. È infatti tipico dei difensori “dominanti” occuparsi del proprio compito e in qualche modo anticipare anche il lavoro nel caso in cui altri compagni necessitassero del suo aiuto. Questa attitudine consente al difensore inglese di risolvere spesso con grande tempismo qualche rogna supplementare e in quel caso il suo movimento in anticipo lo porta a ricevere un applauso in più. Quando l’avversario da inibire fa la mossa giusta può venir fuori l’errore che poi viene sottolineato in maniera persino ingenerosa.

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