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Fila 16

Dobbiamo riprendere coraggio

L’ottimismo iniziale grazie a Dybala e allo stadio pieno è stato minato dalle difficoltà. La beffa a un certo punto era nell’aria. Ma ora “a Betis” bisogna vincere

La curva sud in occasione di Roma-Real Betis

La curva sud in occasione di Roma-Real Betis (GETTY IMAGES)

Federico Vecchio
08 Ottobre 2022 - 10:30

"Non devi pensare al risultato di San Siro, ma al primo tempo di San Siro: questi non sono l’Inter in difficoltà, ma i quarti in Liga".
Parole sante, a ripensarci ora. Ma lì, in quel momento, in fila per entrare, quelle parole vengono cancellate dall’ottimismo dell’ennesimo “tutto esaurito” e dall’avere negli occhi quello che sta facendo Dybala, che ancora ti domandi come quelli lassù abbiano avuto la bella pensata di non rinnovargli il contratto. 

Ci si siede, quindi, più che fiduciosi. "Oggi un risultato solo" è la frase che si rincorre tra i seggiolini. Il mood della Tribuna, nemmeno a dirlo, è uno fisso. Una voce - isolata, va detto - che arriva alle orecchie prima che l’arbitro fischi il solito "minuto de caciara, ma piano piano", richiama l’attenzione su quella linea difensiva "troppo schiacciata". In quel "me so letto tutto sul Betis: so cattivi e palleggiano. Dovemo annalli a pjia. Se restamo dietro, semo der gatto" c’è un campanello d’allarme di quello che sarebbe stato. 

Partiamo con Mancini che mena a Celik. E, a quel punto, tutti a ricordare che pure Felix ha menato a Wijnaldum e la domanda più gettonata è se, a Trigoria, in allenamento glielo spieghino che i calci vanno dati all’avversario.  A centrocampo soffriamo. Siamo sempre in inferiorità. "Semo uno de meno" viene ripetuto, come un mantra, per i primi venti minuti. 
Il rigore viene vissuto come un segno del destino: Dybala lo segna (benissimo) e adesso l’idea è che, finalmente, si possa fare ancora meglio il nostro gioco d’attesa. 
Serpeggia, però, un "là davanti segna solo Dybala" che suona come una constatazione, che tutti fanno ma che nessuno ha il coraggio di dire ad alta voce, per il profondo rispetto che un’intera tifoseria ha per Zaniolo ed Abraham. Però lo capisci che, sotto il rispetto, covi un qualche diffuso disappunto. 
Pareggiano, e non poteva essere altrimenti. E la sintesi di quel momento è tutta nel "non ha sbagliato uno: hanno sbagliato tutti" che manifesta critiche non per questo o quello, ma per una squadra che trasferisce la sensazione che la partita la facciano e la decidano gli altri. 
Poi arriva la traversa ("bravo Zaniolo, nun poteva pijalla mejo, ma me sa che stava in forigioco") e, soprattutto, il tiro di Dybala. E lì le maledizioni a "quer vecchio" di Claudio Bravo si intrecciano con le lodi, sperticate, a chi "tira forte come Batistuta, ma più preciso", che obbliga i presenti ad interrogarsi da dove sia nata la convinzione che Batistuta, che tutti ricordiamo come tirasse non solo forte, ma pure preciso, tirasse comunque meno precisamente di Dybala. Dubbio, va da sé, irrisolto. 
Il secondo tempo è tutta un’imprecazione. Verso l’arbitro, verso il Var, verso i guardalinee, verso il quarto uomo. Questi ultimi, insieme al Var, colpevoli di non dire all’arbitro che non sa arbitrare ("Qualcuno je lo deve dì"). 
Si soffre. Soprattutto perché quei due,davanti, si agitano tanto ma concretizzano poco. E soprattutto perché “quel vecchio” di Claudio Bravo calamita quel pallone di Cristante. E, per due minuti abbondanti, in molti non riescono a decidersi se insultare Cristante perché "je l’ha tirata addosso" o maledire “quel vecchio” che "se l’è ritrovata in faccia". 
Sta di fatto che il mood cambia, e inizia ad indirizzarsi, sempre più, verso un piano inclinato che, muovendo dall’"abbiamo difficoltà a segnare", scivola, nemmeno troppo lentamente, al "segna solo Dybala", per poi arrivare al definitivo, una volta entrato anche Belotti, "là davanti non è che non segnano: non la strusciano proprio". 
Che arrivi la beffa è, a quel punto, scritto sulla pietra. Alla domanda, stavolta, su chi abbia sbagliato, la percentuale, assolutamente maggioritaria, è "Spinazzola", ogni tanto accompagnata da un "ma pure Zalewski, che non te poi fa scappà così l’omo che crossa", per chiudersi, ma in percentuale decisamente minoritaria, con un "anche er portiere c’ha messo del suo", buttata lì, così, impersonale, tanto per ampliare il ventaglio delle responsabilità a tutti quelli che, a prescindere dalle loro effettive colpe, erano lì ed avrebbero avuto il compito di evitare questa offesa della seconda sconfitta consecutiva in casa. 
Si esce da quello Stadio cercando di ridarsi coraggio. Questo deve essere il nostro anno. E non si può abbandonare per strada, quando ancora non siamo nemmeno a metà ottobre, l’Europa League. E dà forza a tutti quel «"giovedì, a Betis, dovemo annà pe vince", esclamato con rabbia al netto della delusione. Che è vero: giovedì dovemo annà pe vince. Ma magari, più che a “Betis”, a Siviglia. Non ci sbagliamo. 

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