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Quando il sintomo ritorna: "Serve un lavoro metodico"

Intervista al dottor Panella (psicologo dello Sport): "Una sconfitta in casa con la Spal in questo modo non è un “incidente di percorso”. È “solo” tornato il problema"

Edin Dzeko, di Proietti

Edin Dzeko, di Proietti

22 Ottobre 2018 - 09:24

«Ma è sicuro che volete parlare di nuovo con me? Potrebbe sembrare ridondante...». Chissà se il dottor Panella avrà pensato che serve uno bravo anche a noi, oltre che alla Roma, visto che non riusciamo a capire se la squadra di Di Francesco è affetta da qualche patologia sportiva cronica. Purtroppo, stando alle cronache, a essere ridondante è proprio la Roma, che alla prima difficoltà sparisce in un batter d'occhio, come quando si smorza una candela. E soprattutto, è tornata (ma è mai andata via?) la Roma da dottor Jekyll e Mister Hyde. «Squadra "schizofrenica"? È un termine forte - precisa il dottor Gianluca Panella, psicologo infantile e dello sport - dovremmo usare molte virgolette: io parlerei di scissione della squadra. Un passo falso, onestamente, un po' me l'aspettavo, anche se è normale pensare che con la Spal in casa si possa vincere».

D'accordo, eppure dopo quattro vittorie consecutive tra campionato e Champions la squadra sembrava se non guarita almeno sulla via della guarigione. Cos'è, ci si adagia sugli allori (quali, poi)? «Non ci sono allori, è un sintomo che ritorna, perché non è trattato in profondità con un lavoro di tipo psicologico e così il sintomo prima o poi ritorna. Se si vince qualche partita si pensa che sia scomparso il problema, si prende coraggio, ma se ritorna una sconfitta come questa, che non è la sconfitta a Torino con la Juventus, è tutto molto chiaro. Se si lavora solo su un piano verbale, come ha anche ben fatto Di Francesco, non si risolve il problema: trattando la paura con le parole si resta in superficie. Potrebbe servire una figura terza in campo, un supporto psicologico, ma che lavori metodicamente e con continuità. Questa sarebbe la cosa importante. Non occasionalmente, come magari avviene quando le cose vanno male».

Dopo la partita di Bologna la società ha disposto il ritiro, in questa circostanza invece non si è presa nessuna decisione in tal senso: «Il ritiro potrebbe servire, come già accaduto. Perché quando si sta insieme a lungo c'è più tempo per condividere le emozioni. È chiaro che una partita persa in casa con la Spal in questo modo non è un "incidente di percorso" (lo sarebbe perdere una partita importante magari). È "solo" tornato il problema. Di Francesco dovrebbe rimetterli tutti quanti in cerchio. Durante un ritiro, da condottiero, potrebbe rimotivarli, stimolarli e coccolarli, perché stare insieme significa condivisione e riappacificazione, anche di qualche nervosismo che si vede in campo».

Ecco, il tecnico. Da più parti si parla di mancanze di Eusebio Di Francesco anche per i blackout psicologici e si invocano allenatori che passano per "duri": «Con un allenatore "carismatico" i giocatori saranno più motivati, ma non tireranno fuori la personalità se non ce l'hanno, perché è difficile da "inculcare" la personalità, mentre la si può allenare ma con il lavoro nel tempo. La Roma ha paura del buio? Non dipende - o decisamente non solo - da Di Francesco, sono i giocatori che vanno in campo. Lui può trasmettergli l'adrenalina, la carica, negli allenamenti e in partita. Sono sicuro che lui lo faccia. Poi però è il giocatore che deve aiutarsi». Una Roma forte coi forti e debole con le debole, poi, fa ancor di più riflettere e arrabbiare. Tante, troppe, le partite "facili" toppate: «Narcisisticamente parlando quando giochi con una squadra del tuo calibro sei già motivato, la tensione e l'attenzione sono più alti. Così si spiega anche perché quando vai in svantaggio non riesci a recuperare, è un discorso di presunzione che poi diventa paura. E di mancanza di concentrazione, quando i livelli di attivazione si abbassano».

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