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De Laurentiis e la Roma: da Sarri al marketing, una rivalità mal digerita

La polemica di ADL su un curioso groviglio di proprietà tra Roma e Liverpool ha del ridicolo. Il presidente del Napoli e quel complesso di inferiorità...

18 Agosto 2018 - 08:57

Proprio come se n'era uscito un mesetto fa, con un'altra uscita involontariamente comica («Se la Roma è arrivata in semifinale di Champions lo deve solo alla fortuna che ha avuto nei sorteggi», dimenticando la circostanza che dall'urna svizzera sono uscite Chelsea, Atletico Madrid, Shakhtar Donetsk, tanto scarso da aver eliminato il suo Napoli, e poi Barcellona e Liverpool), così giovedì mattina Aurelio De Laurentiis ha evocato uno strano groviglio di proprietà tra Roma e Liverpool (senza specificare quale dei due proprietari sia finto) in una serie di frasi affastellate di poco senso, accostando pareri personali (discutibili, ma suoi), una notizia (l'offerta rifiutata, sulle nostre pagine era già uscita), un'insinuazione (la proprietà comune) e una conseguenza dell'insinuazione (la possibile esclusione dalle coppe). Che il presidente del Napoli avesse questo vizio di parlare o agire in libertà (i lettori più attenti ricorderanno ad esempio la sua aggressione al poliziotto che si era rifiutato di portargli le valigie: una gomitata, secondo il denunciante, un braccio stretto al collo, secondo il denunciato) è cosa nota, ma che arrivasse addirittura a ventilare un intreccio di azioni che andrebbe contro i regolamenti internazionali sembra troppo anche a chi è abituato a scansare con un sorriso, magari amaro, i suoi atteggiamenti più irriguardosi.

Che evochi poi addirittura l'esclusione dalle coppe per la doppia proprietà diventa ridicolo, considerando che lui seguendo l'esempio di Lotito si è appena comprato il Bari dal fallimento e ha annunciato senza alcun imbarazzo che da qui a quando riporterà i galletti in A si impegnerà a far cambiare le regole che impediscono oggi a uno stesso soggetto di possedere due società nella stessa categoria. Proprio come Lotito, lui è abituato a far così, a cercare di trasformare la sua arroganza in un motivo di vanto. E finché troverà interlocutori signorili che lo stanno addirittura ad ascoltare, si comporterà alla stessa maniera.
Anche quando chiamò il dg Baldissoni per chiedergli Alisson in cambio di 60 milioni trovò accoglienza, ma la telefonata durò poco: «No grazie, non te lo diamo». Raccontano che si sia risentito poi del fatto che la Roma lo abbia venduto, peraltro ad una cifra superiore, al Liverpool. Gli sfugge il particolare che sarebbe stato decisamente poco opportuno rinforzare una rivale diretta nella lotta allo scudetto. Ma tutto ciò che fa la Roma in lui suscita desiderio di emulazione, dal marketing al sociale. E forse non ha mai dimenticato che l'anno scorso Sarri si era promesso proprio alla Roma (che poi dirottò su Di Francesco) ma rimase prigioniero del contratto da cui solo quest'anno è riuscito a liberarsi. Ora ci mancava questo riferimento a John W. Henry, proprietario bostoniano del Liverpool e buon amico (ma neanche tanto) di Pallotta. Pensare che però siano la stessa persona è come dire che lo siano Lotito e De Laurentiis. E invece sono solo affini. Ugualmente volgari. Ugualmente complessati.

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