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cogito ergo sud

La rivoluzione di Maradona, una religione senza santi

Qualcuno ha scritto che Dio s'è ripreso la sua mano. Può darsi. I piedi no, perché almeno il sinistro così non ce l'ha mai avuto

Diego Armando Maradona, di LaPresse

Diego Armando Maradona, di LaPresse

26 Novembre 2020 - 07:00

Qualcuno ha scritto che Dio s'è ripreso la sua mano. Può darsi. I piedi no, perché almeno il sinistro così non ce l'ha mai avuto. Se è blasfemo va bene, perché Maradona non è stato solo il più forte, ma una religione. Forse perché semidio (e come fai a vivere con tutta quella grandezza nel quotidiano?) o perché irriducibilmente umano ha passato una vita a sfidare tutti i santi in paradiso. Era nato senza. Povero, con un'arancia buona per palleggiare prima ancora che da mangiare.

Si parla spesso di calcio e vita, Maradona è il caso in cui va coniugato il verbo essere: il calcio è vita. L'ha praticata questa adiacenza, come un poeta maledetto ha praticato la poesia. «Non si fa un capolavoro, si è un capolavoro», diceva Carmelo Bene e diceva bene. La scrittura, l'arte, il calcio, per i poeti, per gli artisti, per Maradona, non sono scelte, non sono lavori, non sono opzioni, non sono passatempi, non sono possibilità, non sono riconoscimenti: sono necessità. Condizioni. Obblighi. Non potresti farne senza. Aria, Sangue. Piscio. Fango. Cielo. Non sai far altro che dover esprimere "quello" (van Gogh che dipingeva sempre le scarpe, Monet le ninfee, Cezanne il Monte). Vale per tutti quelli che hanno un qualche segno speciale di speciale disperazione, qualunque esso sia, un marchio, un talento, una benedizione, una maledizione, che ti porta a vivere la vita succhiandola, ma senza avere la minima corazza per quella sensibilità spudorata che ti fa vivere e non vivere così.

Parlare di Maradona calciatore è ridicolo quasi come i paragoni che si sono fatti e si faranno sempre con lui. Messi, Pelè sono campioni assoluti, Maradona è una religione. Maradona non è stato all'altezza di se stesso pensa gli altri che possono essere al suo confronto. Da romanista ci ho sempre tifato contro sia chiaro, sia col Napoli sia con l'Argentina, poi è capitato proprio nel mezzo della rottura del gemellaggio; ho tifato tanto Voeller nella finale Mondiale di Roma ovviamente, gli preferivo Mimmo Oddi ovviamente. Ma questo è scontato, questo è secondario, questo fa parte del suo stesso gioco. Maradona non fa parte della storia del calcio, fa parte della storia.

Maradona è stato una rivoluzione. Maradona è un nome che ha già un destino dentro. Nemmeno è santo è Santa Maradona. È la linguaccia dei Rolling Stones. È più della Gioconda coi baffi di Duchamp. È quasi il nome di una curva, sarà il nome di tanti stadi, è stato il marchio di tanti scugnizzi di Napoli e dei "bosteros" di Buenos Aires che non solo hanno sognato ma che si sono visti essere lui.

Nella sua religione Maradona ha incarnato il popolo, s'è fatto popolo e non lo ha tradito. Perché quando è risorto dalla povertà non l'ha dimenticata. Maradona è stato una rivoluzione. Quella dei Sud del mondo. Ci è nato. Ci è andato a giocare e persino a vincere. A Napoli dove non aveva vinto nessuno prima, il Mondiale battendo l'Inghilterra dopo averci perso una guerra. Ha lottato contro la Juve, la Fiat, Agnelli, la Fifa, il capitale, ogni potere lui che sapeva non poter essercene di buoni. È stato dalla parte dei Carmando non dei Platini, dei premi partita per i massaggiatori, non dei sorrisi preconfezionati dei vincitori. Gliel'hanno fatta pagare, lui che continuava a non perdonarsi di essere se stesso.

«Giocò, vinse, pisciò, fu sconfitto» scrisse Galeano di lui. Meglio non si può. Anche perché di Maradona oggi dovrebbero parlare i napoletani. Perché sì un mostro del genere appartiene all'umanità, ma di più a Napoli. De André ha scritto nelle sue agende conservate all'Università di Siena che Maradona avrebbe potuto giocare solo a Napoli; probabilmente per lo stesso motivo per cui Pasolini scrisse che una rivoluzione in Italia sarebbe potuta partire solo da Napoli. Pasolini non ha mai visto Maradona. Questo è un rimpianto. Ma niente al confronto di tutte quelle persone che hanno visto veramente arrivare il loro messia e sono state felici. Maradona ha fatto felice la gente, questa è stata semplicemente la sua grandezza. Ed è questo quello che dovrebbe fare un dio.
(Di Tonino Cagnucci)

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