ASCOLTA LA RADIO RADIO  
cogito ergo sud

Non tiriamo giù la maschera

Bella, anche bellissima ma è solo il momento di continuare. Non quello di togliersi la maschera, soprattutto se è come quella dei Friedkin

23 Novembre 2020 - 09:31

Testa al Napoli, anzi prima c'è il Cluj. Forse un po' esagerato metterla immediatamente così senza godere nemmeno un po' del tanto che si è visto ieri all'Olimpico, però sicuramente non è sbagliato. La vittoria di ieri è più bella del risultato non solo perché poteva finire tanto di più a niente, ma perché a memoria di romanista una vittoria così tranquilla in una gara così importante si perde nella notte dei tempi. Pur con tutta la dovutissima scaramanzia e l'ancor più necessaria attenzione, dal primo minuto del secondo tempo forse non c'era un romanista timoroso che l'avremmo sprecata: rilassarsi mentre gioca la Roma è qualcosa più di un'ipotesi irrealistica, è peggio di un paradosso o di un ossimoro, è un unicum se mancano 45' e ti stai giocando tipo la testa della classifica. Strane, belle sensazioni cresciute durante la partita grazie alla Roma che ha saputo prendersela sorseggiando: palleggio paziente, verticalizzazioni al momento giusto, rischi zero (0, o) la capacità di abortire abbozzi di ripartenze al maestro della libertà Gervinho, poi un gol bellissimo, un altro da bocca aperta almeno quanto l'azione che ha portato al terzo. E più che gli applausi giustissimi a Mkhitaryan (che je voi dì?) le sottolineature vanno ai cosiddetti comprimari: Borja Mayoral quasi per definizione e Villar a cui sta bene il 14 sulle spalle. E a tutti gli altri, perché non sono altri.
Pensare al Napoli, anzi al Cluj e non spellarsi le mani per i tenori, sembra uno sguardo più prolifico, più simile a quello equilibrato del suo allenatore. Fonseca, sostituito con Allegri prima della Juve, affiancato dal tutor prima di quella partita, ieri non ha vinto ma ha stravinto senza Smalling-Pellegrini-Dzeko, cioè senza la spina dorsale della squadra. Più o meno fa così dall'"altro" Roma-Parma: 16 partite, 12 vittorie, tanti gol fatti, pochi subiti, 4 pareggi di cui 3 con Milan, Juve e Inter, l'altro una sconfitta a tavolino (perché qualcuno s'era scordato la "tacchia"). E il valore migliore, più della sua capacità di cambiare mantenendo la sua idea di gioco, anzi affinandola col cambio (dalla difesa a 4 a quella a 3, dai ragazzini esterni d'attacco a inizio della scorsa stagione - Kluivert e Ünder - a Pedro e Mkhitaryan, da Mancini a centrocampo a Cristante interfaccia dappertutto) è proprio questo suo profilo tranquillo, equilibrato, elegante che fa tanto bene a Roma e ai romanisti. Soffriamo già tanto di noi, che un allenatore calmo ci aiuta. Sa quello che fa più di noi. È paradossale (apparentemente) che il commento dominante sulla vittoria di Genova era stata la staffetta nel ruolo di attaccante fra Borja e Mkhitaryan: ieri se c'è stato un asse (ce ne sono tanti in questa casa in costruzione) è proprio quello fra Mayoral e Mkhitaryan - fanno pure rima - col primo che ha sempre cercato la profondità, fatto sponda per la squadra e fatto l'assist a quel fulmine del 2-0. Chissenefrega, fa parte del gioco, va bene se la Roma vince e non ci deve essere spazio per i "telavevodettisti" e nemmeno per i "telavevodettisti dei telavevodettisti", però ssst, profilo non basso, ma tranquillo. Pensiamo al Napoli, anzi al Cluj, meglio una Roma che non butta giù la maschera soprattutto di questi tempi e soprattutto se è come quella che hanno indossato ieri i Friedkin.

© RIPRODUZIONE RISERVATA