Lottare per la maglia sai perché...
La cosa bella di Reggio, anche più dei diecimila romanisti che respirano Roma, è che questa Roma respira i suoi tifosi. Li cerca. Li vuole. La Roma di Gasperini si è mancinizzata
(GETTY IMAGES)
Di Gasperini e di quanto sia veramente Geppetto, l’artigiano che col lavoro costruisce la favola, oggi non ne scriviamo anche perché spero che non ci sia più qualcuno che deve dargli ancora del fenomeno, del bergamasco (è piemontese comunque), di quello che ha costruito una squadra senza né capo né coda, che mette i giocatori fuori ruolo, che, in definitiva, speriamo che se ne vada presto così richiamiamo Ranieri. Parlate per voi. Oggi parliamo di noi, dell’altro valore enorme che ha questa Roma, quello che ha sempre avuto: i tifosi. I romanisti.
A Reggio Lorenzo Pellegrini s’è preso Artem Dovbyk e lo ha portato sotto la Nord del Mapei. Pellegrini prima del derby era virtualmente considerabile come un fuori rosa, Dovbyk quattro giorni fa è uscito dal campo e dallo stadio zuppo fracico di fischi. Accanto a loro poi è arrivato pure Mati Soulé, un altro che fino a una decina di partite dalla fine dello scorso campionato veniva considerato Iturbe. Tre giocatori che trovano il loro autore sotto al settore. La Roma che non c’era con quella che c’è sempre stata.
La squadra prima in classifica festeggia con un capitano, di campo e non di fascia, che si porta il compagno più in difficoltà per asciugare quei fischi di giovedì con gli applausi, i canti e le urla di chi tifa la Roma e basta. I lupi quando si spostano mettono gli elementi più anziani o malati davanti: sono loro che fanno l’andatura, il branco salvaguarda il più debole, guida da dietro, non lascia nessuno solo. La forza del branco è il lupo, la forza del lupo è il branco. La forza della Roma sono i romanisti, la forza dei romanisti è la Roma (“io son più forte se tu sei con me”). La cosa bella di Reggio, anche più dei diecimila romanisti che respirano Roma, è che questa Roma respira i suoi tifosi. Li cerca. Li vuole. La Roma di Gasperini (il cui calcio è romanismo in forma tattica: aggressione, senza tregua, per la Roma, oltre la fine, ossessione, ricorsa su ogni uomo, su qualsiasi pallone) si è mancinizzata. Ulula. Negli ultimi dieci minuti di partita, a turno, Wesley, Celik, Soulé, Mancini e sempre Pellegrini ogni volta che il pallone finiva là sotto si rivolgevano alla curva per dare e chiedere sprone, energia, fomento, passione. Osmosi giallorossa.
Urlo alla luna. Tutti hanno voluto fortemente questa vittoria, tutti hanno voluto rispondere alle sconfitte dell’Olimpico, alla beffa con l’Inter e alla partitaccia col Plzen, tutti hanno voluto questo primo posto effimero e provvisorio quanto vi pare ma che ci fa felici. Che ci fa per qualche giorno felici. E vi pare poco la felicità? Che vuoi più di una squadra di calcio che viene verso di te dopo quattro ore di macchina e ti strilla in faccia la tua stessa felicità? È solo dalla Roma che non c’era con quella che c’è sempre stata, che nascerà la Roma del futuro: allo specchio sotto la gradinata
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