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Carl Zeiss Jena-Roma 4-0: il dubbio venne doping

All’alba della stagione del gol di Turone la Roma fu eliminata da una squadra forte e instancabile della Germania Est che all’andata era stata battuta 3-0

16 Marzo 2020 - 20:13

In una sera di metà settembre del 1980, neanche 40 giorni dopo il suo trionfale sbarco all'aeroporto di Fiumicino - dove venne accolto da 15.000 persone osannanti che in quel 10 agosto rinunciarono alla gita al mare pure di accogliere nella maniera più calorosa quello che sarebbe diventato il simbolo della rinascita della Roma - Paulo Roberto Falcao salì in cielo per arpionare col petto un pallone in area per spostarlo dalla traiettoria di due difensori tedeschi e poi, dopo un docile rimbalzo a terra, lo indirizzò con un tocco elegante all'angolo opposto in diagonale, sorprendendo il fortissimo nazionale Grapenthin. Fu il gol del 3-0 della Roma all'esordio in Coppa delle Coppe (la competizione europea che riuniva tutti i vincitori della coppa nazionale) contro i fortissimi tedeschi dell'est del Carl Zeiss Jena. Era il 17 settembre 1980, c'erano quasi 80.000 spettatori sugli spalti, la Roma era reduce da una bella partenza di campionato (due vittorie e un pareggio), l'entusiasmo salì alle stelle. Così la Roma partì un paio di settimane dopo per la Turingia (al confine con l'allora Cecoslovacchia) senza neanche immaginare ciò che l'attendeva: una delle più buie, cocenti e inattese sconfitte della sua storia.

Il viaggio

Un incubo vero e proprio per i romanisti di una certa generazione, quei pochi che raggiunsero Jena attraverso un viaggio avventuroso (ci riuscì il Personal Jet di Nilo Iosa e con loro poche altre decine di tifosi, che trovarono posto nella curva "nord" dell'Erst Abbe Sportfeld di Jena, dietro gli striscioni Roma Club Esquilino, Boys e Ostia Lido), e i milioni che furono costretti ad ascoltare l'esito della partita attraverso la radio, senza alcun conforto televisivo. Allora non usava, al massimo si poteva vedere tutto in registrata il giorno dopo, ma chi ebbe poi il coraggio di riguardarla su Rete 2 (allora si chiamava così) nella programmazione delle ore 14? Ma oggi, a distanza di 40 anni, siamo riusciti noi a farlo grazie all'utilissimo servizio fornito dal sito footballia.net, un portale che accoglie oltre 17.000 partite di tutti i tempi e di ogni competizione e le mette a disposizione gratuita per gli utenti registrati. Nasce così, ai giorni del Coronavirus, una rubrica di rilettura delle partite della nostra storia. Non necessariamente le più felici.

Le formazioni

Così cominciamo proprio con l'incubo di Jena, con la partita in programma alle ore 20 del 1 ottobre 1980, quando, agli ordini del titolatissimo arbitro svizzero Daina, scesero in campo per il Carl Zeiss Jena (il nome deriva dall'accostamento tra la città e la rinomata fabbrica di occhiali e strumenti di precisione e persiste anche oggi, pur non avendo più rapporti con l'azienda, con la squadra in terza divisione): Grapenthin, Senserwald, Hoppe, Weise, Kurbjuweit, Schnuphase, Krause, Lindemann, Raab, Töpfer e Vögel. In panchina il giovane allenatore Meyer, dentro un improbabile impermeabile blu elettrico con la vistosa scritta del club sulle spalle. Per la Roma cominciarono la sfida Tancredi, Spinosi, Maggiora, Turone, Falcao, Romano, Conti, Di Bartolomei, Pruzzo, Ancelotti, Amenta. In panchina accanto a Liedholm in elegante piumino beige, il vicepresidente Pasquali, il medico Alicicco e il massaggiatore Boldorini oltre a cinque giocatori: Superchi, De Nadai, Santarini, Rocca e Scarnecchia. Giova ricordare, visto che sarà un fattore decisivo, che le sostituzioni erano limitate a due elementi, ma per la prima volta quell'anno si potevano portare fino a cinque giocatori in panchina.

Il doping di stato

Due le maggiori curiosità a rivedere la partita oggi, nella nebulosa incertezza che le riprese televisive del tempo lasciavano agli spettatori, con cronisti davvero asettici (quello della sfida ospitata dal sito è tedesco) e senza il conforto del cronometro in sovraimpressione e spesso anche dei replay: l'atteggiamento tattico che già allora poteva avere la nascente Roma di Liedholm e l'individuazione di qualche elemento a sostegno del dubbio che sorse a posteriori a quasi tutti i calciatori giallorossi, e cioè che i loro avversari fossero stati caricati artificialmente da qualche pratica proibita epperò largamente diffusa tra gli atleti della Ddr, la cosiddetta Repubblica Democratica Tedesca, insomma la Germania dell'Est comunista del tempo. Imponenti dossier hanno svelato nel tempo gli inganni del cosiddetto Doping di Stato dei paesi europei comunisti, testimoniato soprattutto dalla gran quantità di titoli vinti nelle specialità olimpiche dove più che il talento contava soprattutto lo sviluppo muscolare della forza e della velocità: basti pensare che tra il 1961 e il 1987 la Ddr conquistò 160 medaglie d'oro alle Olimpiadi e 3500 titoli internazionali, molti di più della Germania "Ovest" che aveva una popolazione tre volte superiore a quella oltremuro.

Una squadra fortissima

Il fatto è che quella squadra alla fine era davvero fortissima. E lo testimonia proprio il cammino in quella Coppa delle Coppe: dopo aver battuto in rimonta la Roma ai sedicesimi, il Carl Zeiss eliminò il Valencia agli ottavi (3-1 in Germania, 0-1 in Spagna), il Newport (2-2 in casa, vincendo 1-0 in Galles) e il Benfica in semifinale (2-0 in casa e 0-1 in Portogallo), arrendendosi in finale solo ai "fratelli" sovietici della Dinamo Tblisi, peraltro dopo essere passati in vantaggio al 63' col fortissimo terzino Hoppe, nella finale di Düsseldorf arbitrata dal nostro Lattanzi. Non può bastare correre più degli altri per vincere, bisogna avere anche piedi buoni e adeguata strategia tattica. E lo Jena quella sera sembrò avere l'una e l'altra oltre effettivamente a una resistenza tale da poter inchiodare la Roma nella sua area per tutta la gara.

Il catenaccio a "zona"

Quanto alla valenza tattica della sfida, la squadra di Liedholm era ancora in costruzione e sarebbe ingiusto valutarla da quella gara: fu quello il primo anno della ritrovata grandeur e quasi bastò per vincere lo scudetto (alla fine scippato con la negazione del tristemente noto gol di Turone a Torino) e fu comunque sufficiente per (ri)vincere alla fine dell'anno la Coppa Italia in finale ancora col Torino e ancora ai calci di rigore. Ma nella costruzione della squadra che poi dominò il campionato di due anni dopo e sfiorò la Coppa dei Campioni del 1984 il cammino fu disseminato anche di sconfitte inattese. E quella di Jena fu una di queste. L'impostazione totalmente difensiva fu il primo grave errore di Liedholm e l'organizzazione non ancora rifinita (erano ancora forti le perplessità nell'ambiente sulla capacità dei calciatori giallorossi di abbandonare le certezze della marcatura a uomo per passare a quelle della zona) fece il resto. Liddas schierò quattro difensori (Spinosi, Romano, Turone e Maggiora), tre centrocampisti con poca attitudine al contrasto (Di Bartolomei, Falcao e l'inesperto Ancelotti), due esterni (Conti a destra e Amenta a sinistra) e Pruzzo unico riferimento avanzato. Un 4-5-1 talmente basso che quasi mai la squadra riuscì a superare la metà campo, agevolando il compito dei padroni di casa che si ritrovarono in partita quasi increduli, dopo la brutta figura fatta all'andata.

La cronaca

Pessimo segnale viene dal fatto che sotto l'immediata pressione dei padroni di casa (la maglia era bianca sulle spalle e azzurra sulle maniche, mentre davanti era a strette strisce orizzontali bianche e azzurre) Falcao perde due palloni in 22 secondi e al 40° secondo arriva il primo di una lunga serie di calci d'angolo (alla fine furono 17 contro appena 2). La costruzione dal basso era un concetto che nessuna squadra allora prendeva in considerazione, se non quando il portiere appena recuperato il pallone non vedeva qualche compagno libero da marcatura a portata di passaggio breve. Altrimenti ogni rinvio era demandato al compagno col calcio più poderoso (Di Bartolomei per la Roma): ma con il baricentro tenuto così basso, in pratica ogni volta si finiva per riconsegnare il pallone agli avversari che riguadagnano praticamente senza ostacoli la metà campo e costruivano nuovi pericoli. Al 3' un fallaccio a mo' di avvertenza di Bruno Conti (il più tecnico ma anche tra i più sanguigni dei giocatori della Roma) stende un avversario con una terribile forbice, neanche sanzionata dall'arbitro: oggi se ne reclamerebbe la radiazione. Al 7' un altro fallaccio, stavolta di Ancelotti, rischia di stroncare la carriera di Hoppe, velocissimo terzino tedesco, che si rialza senza neanche pensarci troppo: da questi episodi nacque la convinzione dei romanisti che i tedeschi fossero curiosamente insensibili al dolore. Tancredi in poco tempo diventa il protagonista assoluto della gara, con il suo maglione grigio chiaro associato assai poco elegantemente al rosso scuro dei pantaloncini e al bianco dei calzettoni: alla fine è il migliore in campo nonostante quattro reti subite, una mezza papera a inizio secondo tempo (ininfluente per il risultato) e persino tre pali, due dei quali peraltro arrivati a rendere decisive due sue spettacolari parate.
Al 21' si sente distintamente il compìto telecronista tedesco nominare la parola "catenaccio", mentre un significativo cartellone pubblicitario ricorda la produttività del comparto Pharma dell'azienda Carl Zeiss. Dai e dai lo Jena passa: al 26', con un bel destro di Krause all'incrocio dei pali dopo l'ennesima respinta corta. E prima della fine del primo tempo trova anche il raddoppio che riapre la questione qualificazione proprio quando sembrava che la bufera fosse passata: al 38' un cross da trequarti trova impreparata la difesa romanista, con Maggiora che chiude verso Romano e lascia spazio alle sue spalle per Vögel che rimette in mezzo dove Lindemann anticipa lo stesso Romano e fa il 2-0. L'unica occasione della Roma di tutta la partita capita al 42', con un sinistro di Conti deviato in angolo da Grapenthin. La ripresa comincia come era finito il primo tempo, con Tancredi che devia sulla traversa un colpo di testa ravvicinatissimo. Al 5' è invece il palo a salvare Franco e la Roma dal 3-0. Liedholm ha mandato in campo Scarnecchia al posto di Conti non al meglio, ma la situazione si complica quando Daina punisce con il rosso il contatto meno violento della serata, proprio del nuovo entrato. Dopo poco entra Rocca, in una delle ultime apparizioni prima della resa definitiva ai demoni del suo ginocchio tartassato, al posto di Amenta, e per un po' la mossa sembra funzionare perché la spinta dei tedeschi sembra diminuire. Ma è la quiete prima della tempesta. In un ennesimo, generosissimo contrasto Pruzzo si fa male (salterà anche la successiva sfida di campionato col Torino, che valse alla Roma il primato), ma resta in campo per non lasciare la squadra in nove. Al 25' la mossa decisiva di Meyer che manda in campo Trocha e soprattutto il velenoso Bielau. Sarà lui a segnare i due gol della qualificazione: appena entrato devia sottoporta un tiro di Vögel che Romano di testa fa diventare un assist, al 42' l'ennesimo cross sul secondo palo viene rimandato nel cuore dell'area da Raab proprio per Bielau, appostato davanti al dischetto, inutili i tentativi di rimediare di Tancredi e addirittura di Pruzzo con la mano. Finirà lì, per il trionfo dei tedeschi e con qualche coda polemica, con Tancredi a farsi giustizia sommaria di un fotografo che da dietro la porta l'aveva insultato per tutta la gara.

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