Riecco DDR: «Io sarei tornato»
De Rossi e la Roma si ritrovano 467 giorni dopo: «Questo gruppo è molto forte: ne avevo predetto l’exploit»
(GETTY IMAGES)
A distanza di 467 giorni dal suo esonero, il 18 settembre 2024, Daniele De Rossi e la Roma si ritroveranno. Stavolta (per la prima volta) da avversari. Tra due giorni DDR farà il suo ingresso dal tunnel che collega gli spogliatoi al campo dell’Olimpico come ospite, e non - com’è stato per una vita - da padrone di casa. Del resto, è stata la prima cosa che è andato a guardare, quando è stato nominato allenatore del Genoa. «Ho controllato quando avrei affrontato la Roma e la Lazio», rivela con una risata a Massimo Ambrosini, che lo ha intervistato per DAZN. Come prevedibile, nel corso della lunga chiacchierata si parla poco dei liguri, che guida da soli due mesi («Tutto molto affascinante: non so quante squadre abbiano il centro sportivo che sembra la Cappella Sistina, ma dobbiamo essere bravi a non disperdere tutto questo»).
C’è invece tanta, tantissima Roma nelle parole di DDR: non potrebbe essere altrimenti, se si considera che il quarantaduenne di Ostia ha trascorso in giallorosso praticamente metà della sua esistenza. Senza considerare gli anni da tifoso. «Ho sempre desiderato, tutti i giorni, che la Roma vincesse: per una settimana dovrò lavorare per farla perdere. Adesso la guardo da collega e da ex giocatore, non salto più sul divano: ma se vince sono contento».
«Non eravamo pazzi...»
Avrebbe voluto provarci lui, a far vincere la Roma da allenatore, ma non gliene è stato dato il tempo. L’esonero arrivato come un fulmine a ciel sereno, dopo quattro giornate, dopo un pareggio proprio contro il Genoa, «che ha un debito con me», ironizza Daniele.
Nel suo racconto riemergono gli stati d’animo di quei giorni, con il laconico comunicato che lo metteva alla porta e la durissima contestazione da parte dei tifosi che ha fatto seguito. Tra i più criticati, in quel periodo, Lina Souloukou, che poi decise di dimettersi: «Ho avuto dei problemi con lei: niente di clamoroso, ma comunque qualche problema. È capitato anche alla SPAL, anche se poi in quel caso abbiamo chiarito: non voglio però che passi il concetto che io sono uno che ha problemi con i dirigenti». A proposito di rapporti con le proprietà, dalle parole di De Rossi emerge anche il rapporto ottimo avuto con i Friedkin, che però si è incrinato all’improvviso: «Loro pendevano dalle mie labbra: avevamo un rapporto costante, a livello calcistico avevo grandissima libertà: mi chiedevano le cose, persino prima che mi confermassero come allenatore per i successivi tre anni. Poi le cose si sono un po’ incrinate, e di questo mi dispiace: ma io e il mio staff abbiamo fatto cose che tra virgolette non meritavamo, ma l’esonero è arrivato troppo presto.
Non c’è stata la possibilità di tornare, anche perché loro hanno fatto una scelta talmente chiara... Ma io sarei tornato, anche se non sarebbe stata la scelta giusta per me, perché credo in quei giocatori». Il rammarico è infatti acuito dal fatto che DDR era già ben consapevole dei margini di crescita di questa squadra: «Mi dispiace per questo: perché la Roma sta avendo un exploit, del quale sono felice, che avevo predetto: “Certi giocatori il primo anno faranno fatica, poi esploderanno il secondo, e il terzo anno potremmo lottare per lo Scudetto”. Non eravamo pazzi a puntare su questo gruppo, che secondo me è molto forte». Ma, nonostante il grande dispiacere, De Rossi ammette di essersene fatto una ragione perché «sono a posto con la coscienza: non ho mai abbassato il mio impegno e non ho mai tradito nessuno lì dentro. Prendi male l’esonero perché smetti di vivere quella roba lì che ti piace, nella Roma come nella SPAL: saluti dei giocatori con i quali sai che non lavorerai più insieme. E dispiace anche per quel senso di incompiutezza che ti spinge a pensare: “Fammi fare, che metto a posto, andremo alla grande!”. Quello ogni tanto torna fuori».
Modelli e riferimenti
Nonostante la carriera da tecnico sia praticamente appena iniziata, Daniele ha riferimenti chiari in testa: da Spalletti («Era ed è geniale e mi ha sempre spiegato le sue scelte: mangiavo con gli occhi le sue riunioni, perché sono sempre stato attratto da questo lato del calcio») a Ranieri («Ci diceva: “Meglio un’idea mediocre condivisa da tutti e undici, che un’idea geniale che sposano soltanto in tre-quattro”»), passando per Luis Enrique («Lui è cambiato molto rispetto a quando mi ha allenato, ma io mi sono legato all’essere umano: è stato illuminante per me»). E nonostante i modelli siano tanti e variegati («Maresca ha qualcosa di geniale, Iraola mi affascina molto, ma non smetto di guardare Spalletti, Gasperini e Conte»), il top per De Rossi rimane sempre Pep Guardiola: «Se mi chiedi chi è il più forte, non si scappa: con lui ho un rapporto importante, sono anche andato a vedere gli allenamenti. Siamo anche andati a cena e c’era anche De Zerbi: io non gli stavo dietro, a un certo punto hanno cominciato a scrivere numeri, sembravano Leonardo e Michelangelo».
Chiusura dedicata al finale di carriera da calciatore, che Daniele confessa di aver vissuto con serenità: «Non ho odiato tanto smettere quanto avrei odiato trascinarmi per il campo: quando mi hanno comunicato che non mi avrebbero rinnovato alla Roma, lo avevo già capito. Ho vissuto l’addio serenamente: ho chiesto a Fienga e lui mi ha confermato che c’era l’intenzione di non rinnovarmi. Ma ho rappresentato un pezzo importante della storia della Roma». Parole eufemistiche, ma che confermano l’umiltà di un uomo che lunedì sarà un avversario, ma che non potrà mai essere un nemico.
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