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Le parole

Totti: "I tifosi sono stati la mia forza. Da dirigente mi sentivo ingombrante"

L'eterno capitano: "Avrei preferito morire che lasciare la Roma di mia iniziativa. Mondiale del 2006? Man mano che arrivavano i risultati aumentava la consapevolezza"

Totti sugli spalti a Roma-Salernitana

Totti sugli spalti a Roma-Salernitana (GETTY IMAGES)

La Redazione
04 Luglio 2023 - 20:44

Francesco Totti e Alessandro Del Piero hanno partecipato ad un'intervista doppia organizzata da Sky Sport intitolata "10+10 Del Piero e Totti, i due capitani".
Di seguito le parole dell'eterno capitano giallorosso.

Tanti anni contro Del Piero ma sempre con la massima stima.
"Abbiamo passato diversi anni da avversari ma con il massimo rispetto e con massima amicizia. Il 2006 ci accomuna, è l'unica volta dove siamo riusciti a giocare veramente insieme".

Come sono stati gli esordi?
"Per noi era tutta una novità, sapevamo che di fronte a noi c'era un mondo diverso, un mondo molto importante. Il nostro sogno di era quello di diventare giocatori e ci siamo riusciti".

Quanto ti ha stimolato il paragone con Del Piero?
"Sinceramente ero contento di quello che faceva Alex, ma io mi concentravo su quello che facevo io. Pensavamo a fare il nostro meglio per la Roma e la Juventus. Noi ci siamo sempre portati rispetto, non solo quando giocavamo contro ma anche quando eravamo in nazionale. Un rispetto vero tra due persone fuori dal campo che è più importante di quello in campo".

C'è il rimpianto di aver giocato poco insieme a Del Piero?
"Per me sì, avrei voluto giocare di più con lui in Nazionale".

Hai visto l'addio di Del Piero?
"No, purtroppo stavo giocando. L'ho rivisto la sera stessa. Stava finendo un ciclo. Rivivendo quello che ha vissuto Alex, posso capire che non è facile trovare le parole per descrivere quello che stai passando, però potevo immaginare cosa potesse pensare dentro sé stesso".

Nel giorno del tuo addio, hai detto davanti al tuo pubblico di aver bisogno della tua gente. Un gesto umano e profondamente vero.
"Per me quella era una giornata un pò particolare. Non sei mai pronto per quella giornata. Però c'è un inizio e una fine. Certo, rivedendo certe immagini vorresti rimetterti gli scarpini e tornare in campo. Vedere le facce della gente, dei bambini, delle persone grandi... ho passato 20 anni con loro, è stato come vederli crescere. I tifosi sono stati la parte più importante di tutto, loro ci spingevano, mi aiutavano, mi sostenevano, mi facevano sentire un po' diverso da tutti gli altri. Fortunatamente ho avuto loro come forza, come spinta per arrivare fino alle fine. È normale che dopo ci sia un vuoto, non sai quello che ti attenderà. Eravamo abituati a una programmazione giornaliera, era tutto schematico. Svegliarti la mattina e fare cose diverse mi metteva ansia già prima che smettessi, però non sapevo neanche io cosa fare dopo. Però penso sia stato giusto così. Ora si volta pagina sperando di trovare un'altra cosa che mi emozioni e mi faccia stare bene".

Hai superato le tensioni di quel periodo?
"Sì le ho metabolizzate. Ho voltato pagina, in quel momento istintivamente avresti voluto fare una cosa, poi ora un'altra. Sono cose che ti porta il percorso della vita, che capisci solo quando è finito tutto quanto".

Hai pagato la tua popolarità?
"Penso di aver fatto il mio e me lo sono meritato sul campo. La gente ha scelto di farmi sentire diverso dagli altri. Chiaro che la squadra e la società mi abbiano aiutato a essere il giocatore che sono stato. Quando sono diventato tra virgolette dirigente ho capito di essere ingombrante, non avevo la possibilità di esternare il mio parere, la mia situazione ideale. Il problema del calcio è che dentro ai club ci deve essere chi capisce di calcio, con tutto il rispetto non devono esserci avvocati o commercialisti. Se io fossi la Juventus, una bandiera come Del Piero è doveroso che sia dentro la società, proprio per quello che ha fatto, per la gente, per la capacità calcistica che ha, stiamo parlando di uno che ha fatto la storia del calcio. Chi più di lui sa come gestire la situazione, come scegliere i giocatori?.

Hai scelto di lasciare la Roma dopo due anni da dirigente.
"Non è stato semplice, ma erano mesi e mesi che pensavo di fare questo passo. Non avevo credibilità, non mi sentivo parte del progetto. Facevo Romolo come si dice a Roma, stavo lì perché ero Totti. Il primo e il secondo anno ok ma per come sono fatto colevo poter provare un po' di pepe, pensavo che potessi essere una risorsa in più per la società. Forse non ero pronto, non mi facevano stare al centro del tavolo nei momenti cruciali, però quando c'era un problema ero sempre pronto a intervenire. Per come sono fatto io, con la massima trasparenza e massima educazione ho preso questa decisione. Come ho detto in conferenza avrei preferito morire che fare quella conferenza stampa. Non avrei mai pensato di lasciare la Roma di mia iniziativa, era la mia famiglia".

Qual è stata la Nazionale più forte con cui hai giocato con Del Piero?
"A parte quella del 2006, direi quella del 2000. Avevamo vinto l'Europeo, era praticamente fatta".

Il Mondiale del 2006?
"Ci siamo uniti giorno dopo giorno, sapevamo di essere una squadra forte. È stato un mese di rispetto, di un'amicizia, di un calore, un'unione forte che si respirava proprio. È stato anche bravo Lippi a mettere insieme un gruppo con così tanti campioni."

L'infortunio avvenuto poco prima del Mondiale.
Non pensavo di poter partecipare alla spedizione a causa del grave infortunio, però il giorno dopo che mi sono operato è venuto Lippi e mi ha detto che mi avrebbe aspettato fino alla fine perchè voleva che giocassi quel mondiale. Da lì mi è scattata una molla interna per recuperare e per giocare il Mondiale".

Quando avete capito di essere invincibili con quella Nazionale?
"Dopo la finale (ride, ndr). Penso partita dopo partita, man mano che arrivavano i risultavo aumentava la consapevolezza".

Avete litigato per la scelta del 10?
"No mai. Anche sotto questo punto di vista c'è stato sempre il massimo rispetto, mai un litigio o una discussione".

Il rigore con l'Australia?
"Per me sarebbe stato il mio primo gol dopo l'infortunio, ho fatto quel tragitto di 60 metri e pensavo a come poterlo tirare: se fare lo scavino, se fare il cucchiaio o se metterla a destra. Il portiere era enorme. Avevo un po' di tensione, però ero sicuro di poter segnare perché se avessi sbagliato mi avrebbero ucciso (ride, ndr)".

Com'è vincere un Mondiale?
"La vittoria del Mondiale è l'apice di una carriera. È il sogno di tutti i bambini. Non puoi scordartelo, ti rimane dentro non solo a te ma a tutti".

Cosa vuol dire essere un capitano?
Vuol dire essere diverso da tutti gli altri. Devi aiutare i ragazzi, il mister e la società. Devi essere sempre presente nei momenti difficile. Devi essere un esempio. Devi gestire tutto l'ambiente. È una responsabilità diversa dalle altre, che rimane ed è indelebile".

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