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La partita

Ibañez ne regala un altro

L’ennesima ingenuità del brasiliano obbliga la Roma a giocare la gara in dieci per un’ora. Decide Zaccagni nella ripresa, il Var annulla il pari

I giocatori della Roma al termine del derby perso

I giocatori della Roma al termine del derby perso (GETTY IMAGES)

20 Marzo 2023 - 08:30

Non accadeva dall’anno di Luis Enrique di perdere entrambi i derby della stagione, è risuccesso stavolta e il protagonista negativo è stato ancora lo stesso dell’andata, Roger Ibañez. A novembre provocò con un disimpegno insensato il gol della vittoria laziale, ieri è riuscito a rimediare due gialli nei primi 32 minuti di gara e ha costretto la sua squadra a giocare in dieci oltre due terzi della sfida. Il buco l’ha trovato Zaccagni al 20’ della ripresa, approfittando di una mancata chiusura di Zalewski (dalla cui parte Sarri ha evidentemente cercato di costruire la sua strategia offensiva). Il gol del pareggio (autogol di Casale) è stato invece ricacciato in gola dal Var, per un fuorigioco di Smalling sul colpo di testa di Mancini respinto da Provedel. La Roma va dunque alla sosta al quinto posto a cinque punti dalla Lazio seconda, con la Juventus che si è rifatta sotto nonostante la penalizzazione. 

Logico che la partita sia stata condizionata in maniera significativa da quel che è successo alla mezz’ora del primo tempo, con la scellerata seconda sanzione rimediata da Ibanez, già colpito da un giallo magari un po’ frettoloso dopo soli 8 minuti per un fallo su Felipe Anderson. C’è chiaramente un prima e un dopo il rosso al brasiliano, che ha dimostrato una volta di più di non saper gestire la pressione del derby, ma soprattutto c’è un piano gara che è miseramente fallito. Perché ci sta che Mourinho decida di affrontare la sfida lasciando il possesso palla alla Lazio (schierata con la formazione annunciata, con Cataldi al posto dello squalificato Vecino, Immobile in panchina e Provedel in campo nonostante una febbre mattutina), ci sta che abbassi strategicamente il blocco difensivo fino alla propria trequarti, che non voglia cercar gloria tenendo a terra il pallone semmai sfruttando le transizioni che potrebbero aprire autostrade nel non ineccepibile dispositivo difensivo laziale, e che magari pensi di sfruttare al meglio il secondo tempo piuttosto che il primo, tenendo anche presenti le alternative a disposizione in panchina sicuramente superiori rispetto a quelle della Lazio.

Mourinho (isolato in una saletta dell’Olimpico a scontare la seconda giornata di squalifica) aveva tenuto fuori iniziamente a sorpresa Abraham e anche Matic, non ancora al meglio, scegliendo Wijnaldum ancora una volta al fianco di Cristante (con l’olandese schierato dalla parte di Luis Alberto e Bryan più orientato su Milinkovic-Savic) e Belotti al centro dell’attacco, con Pellegrini e Dybala alle sue spalle. Sulle fasce Zalewski a destra e Spinazzola a sinistra, dietro i soliti tre, di cui due centrati sull’impegno e l’altro svagato come al solito. In quei trentadue minuti aveva avuto un’occasione proprio Wijnaldum (gran destro alto di poco al 18’), poi Felipe Anderson aveva tirato moscio verso Rui Patricio dopo una buona iniziativa di Zaccagni (sicuramente il più pericoloso degli avversari), Dybala aveva colpito verso la porta una sola volta al 23’ ma con il destro, subito contrato, mentre ancora Zaccagni aveva seminato il panico nella linea difensiva romanista partendo ancora da sinistra per calciare col destro addosso a Rui Patricio.

Poi il fattaccio: su un disimpegno offensivo Dybala ha cambiato gioco da destra a sinistra in maniera non ineccepibile, ed è lì che dev’essere partito il corto circuito nella testa di Ibanez, perché quel pallone gli è arrivato forte, non semplice da controllare, ed infatti gli è sfuggito via e Milinkovic gli è di conseguenza andato via, e chissà perché l’istinto del difensore gli ha impedito di capire che sarebbe stato molto meglio far partire l’avversario così lontano dalla porta piuttosto che stenderlo e rimediare l’inevitabile rosso. E invece...
Lì è cominciata un’altra partita, o per meglio dire, si è radicalizzato il copione, con la consapevolezza però che le studiate e auspicabili ripartenze sarebbero diventate all’improvviso pura chimera.

Mourinho, collegato con Foti in campo, ha preferito non cambiare subito un uomo, per non sprecare uno slot e per vedere l’adattamento in campo, con gli arretramenti di Cristante nella linea difensiva e di Pellegrini in mediana, una sorta di 5211, con Dybala a cercar palloni da gestire per prendere tempo, e Belotti a lottare su ogni possibile traiettoria rialzata. E fino alla fine del primo tempo la Roma non ha sofferto. Vergognoso un parapiglia al 42’ invece scatenato dalla mancanza di sportività di Pedro che con Romagnoli a terra a centrocampo e Casale che ha alzato il braccio per indicare la necessità di fermare il gioco, ha ricevuto il pallone a metà campo dal compagno con la Roma tutta ferma e invece di metterlo fuori ha provato a ripartire in splendida solitudine, inseguito addirittura dal solito irrefrenabile Nuno Santos: quando lo spagnolo ha capito che si sarebbe coperto di vergogna, si è fermato, l’allenatore dei portieri gliene ha dette quattro e i due si sono confrontati, e a quel punto l’intera panchina della Lazio si è trasferita nell’area tecnica romanista e ne è nato un principio di rissa al termine del quale sono stati allontanati da Massa Nuno e il collaboratore di Sarri Marco Ianni.

All’intervallo la scelta di Mourinho è stata quella di rinunciare all’elemento migliore che avrebbe forse rischiato di restare un po’ fuori dall’agone, Dybala, per far spazio a Diego Llorente, all’esordio in serie A. La Roma si è sistemata rialzando Cristante al centro di un centrocampo a tre, con Pellegrini e Wijnaldum mezzeali e Belotti lasciato al suo destino di combattente solitario. Il piano prevedeva difesa a oltranza e l’inserimento magari nel corso della ripresa di un attaccante in grado di sorprendere magari i laziali nelle poche transizioni che si sarebbero create. E per un po’ la strategia è sembrata funzionare, perché la Lazio pareva sbattere contro un muro e il solo Luis Alberto, ma su tiri da lontano, ha provato a impensierire Rui Patricio, bravo all’8’ ad alzare sopra la traversa un destro velenoso. Ogni volta che la Roma provava ad uscire rischiava ovviamente qualcosa, come accaduto al 17’, con una ripartenza laziale per la profondità di Pedro, fermato solo da Rui Patricio. Poi, improvviso, è arrivato il gol per un’altra combinazione a tre dalla parte di Zalewski, la zona in cui maggiormente Sarri aveva immaginato di creare grattacapi alla Roma, con Mancini richiamato fuori posizione da un inserimento di Hysaj, con Luis Alberto ad imbeccare Felipe che con un tocco rapido ha tagliato fuori l’ingenuo Zalewski e ha consentito a Zaccagni di entrare in area libero da marcature sul lato sinistro, così ha mirato col piattone aperto il palo più lontano spostando definitivamente in direzione biancoceleste l’ago della bilancia già spostato da Ibañez.

E non poteva mancare l’elemento contrario del destino, ad invocare l’inimicizia degli dèi nella solita altalena di umori cui è costretto per sua stessa natura il tifoso romanista. È accaduto infatti che su una punizione laterale calciata da sinistra da Pellegrini (con l’area riempita anche da Abraham e Matic, chiamati in campo da Mou subito dopo lo svantaggio al posto di Belotti e Wijnaldum, stremati), Mancini si sia trovato sulla testa la palla del pareggio, ma l’abbia schiacciata troppo addosso a Provedel, eroe per un momento: poi, a rendere più amara la serata, sul rimpallo successivo la palla spizzata da Smalling e finita sulla tibia di Casale è entrata in porta, scatenando la gioia di tutti i romanisti, gelati poi dall’analisi del Var della posizione proprio di Smalling, irregolare dopo il tocco di Mancini.

La tripla esultanza ravvicinata (Lazio gol, Roma gol, Lazio Var) ha ulteriormente scaldato gli animi, in Tevere verso Curva Sud e anche in Monte Mario, e pure di nuovo tra le panchine. Con l’ennesimo contraccolpo psicologico da gestire, la Roma ha provato a riorganizzarsi per cercare l’impresa titanica, sempre col rischio di sbilanciarsi e lasciare gli spazi nei quali in contropiede la Lazio avrebbe potuto chiudere la partita. È capitato al 29’ con un due contro uno su cui Llorente si è conquistato un poderoso applauso dai romanisti con un intervento splendido per tempismo e tecnica, respingendo in scivolata (lavorando sull’intenzione) il passaggio di Luis Alberto che avrebbe trovato Pedro solo dalla parte opposta. La Roma a poco a poco ha preso campo perché la Lazio si è progressivamente ritirata: al 32’ Spinazzola con uno strano tiro-cross ha obbligato Provedel a volare con la mano alta a togliere la palla dall’incrocio dei pali. Mou si è giocato poi l’ultimo jolly, ordinando la difesa a quattro negli ultimi dieci minuti e richiamando in panchina proprio Llorente, che dunque ha limitato a 34 i minuti del suo esordio. Dentro El Shaarawy a disegnare uno strano 432 un po’ sbilanciato verso sinistra, poi dopo un po’ è entrato anche Solbakken al posto di Pellegrini, con la Roma che ha chiuso con il 423.

E l’ultima occasione buona è capitata sui piedi di Pellegrini proprio poco prima di uscire, con una sponda di Abraham che è ricaduta giusta sul destro del capitano a 23-24 metri dalla porta: la sua botta di esterno collo è finita però larga. Poi il finale, con un’altra rissa in campo determinata, secondo le testimonianze più concordanti, da un’esultanza smodata di Marusic e anche di Luca Pellegrini (con Cancellieri altro ex con il dente avvelenato), con la reazione conseguente di Cristante, poi espulso con Marusic. Così la Roma con la Sampdoria scenderà in campo senza Kumbulla, Ibañez, Cristante e Mancini, ammonito da diffidato. Sempre che non venga fuori altro dall’ultimo parapiglia della serata, a partita abbondantemente finita, nel corridoio che unisce i due spogliatoi, con coinvolti Mancini, Romagnoli, Luis Alberto e diversi uomini dei due staff, persino Lotito, Tiago Pinto e Mourinho, che a quanto pare è stato specificamente autorizzato dalla Procura ad entrare negli spogliatoi a fine partita, esaurita la sua squalifica. Un finale non troppo edificante per un derby decisamente brutto, deciso ancora una volta da un elemento quasi esterno rispetto al confronto tecnico e tattico. E ora in campionato si fa dura: forte la tentazione di convogliare sull’Europa League le residue energie di questo finale di stagione. Nella sosta se ne parlerà.

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