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TATTICAMENTE

Roma, se bastano l'effetto Olimpico e un tempo con il Leicester

Come una squadra ormai matura, i giallorossi decidono quando attaccare e quando difendere. E poi sfrutterà la spinta dei tifosi

José Mourinho impartisce indicazioni durante Leicester-Roma (Getty Images)

José Mourinho impartisce indicazioni durante Leicester-Roma (Getty Images)

30 Aprile 2022 - 07:55

Sarà riduttivo, ma ogni considerazione tattica che riguarda in generale la Roma di Mourinho e nello specifico l'analisi della partita giocata l'altra sera al King Power Stadium di Leicester non può prescindere dal giudizio positivo testimoniato dall'enorme accompagnamento sentimentale che questa squadra è stata in grado di scatenare. Le chiacchiere stanno a zero: quando smuovi cuori in questa maniera significa che il tuo obiettivo di allenatore è stato centrato. Qualsiasi sia questo punto il giudizio "estetico" sulle funzionalità tattiche della Roma perde forza rispetto ad un verdetto emesso a questo punto dalla giuria popolare. Questa Roma piace e funziona, inutile dunque lambiccarsi sugli expected goal, sui calci d'angoli subiti, sul possesso palla lasciato agli avversari e anche sul numero dei tiri fatti e incassati. Ovviamente si può sottilizzare su un altro tema. Al momento la Roma ha conquistato i cuori solo dei suoi tifosi, non l'attenzione dei tifosi neutrali. E la differenza è netta. Come dice spesso l'ex calciatore e allenatore illuminato Jorge Valdano - lo ricordava anche due giorni fa in un'intervista concessa alla Gazzetta dello Sport - le squadre che danno spettacolo le misuri sul numero di spettatori neutrali che riescono a sedurre. Su questo tema, ma solo su questo, la Roma sta ancora un po' indietro e affascina più per il fenomeno popolare che scatena che per la limpidezza della sua impronta tattica.

Quel gran primo tempo

Il margine di miglioramento è stato perfettamente fissato dalla sfida di Leicester. Il primo e il secondo tempo della partita sono figli di due concezioni differenti, quasi opposte. E non c'è alcuna certezza che una si faccia preferire all'altra. Eppure sono concezioni figlie entrambe legittime di José Mourinho. Vediamo allora di capire questo paradosso fissando i punti fondamentali che hanno determinato l'esito sia del primo sia del secondo tempo. La Roma ha cominciato la sfida senza alcun timore reverenziale, forte probabilmente proprio dell'esempio dato dal carisma intoccabile del suo allenatore, ed è scesa in campo schierata con la formazione più aggressiva, con Zaniolo ad affiancare Abraham e Pellegrini alle spalle, con Mkhitaryan abbassato in cabina di regia accanto a Cristante, e con il sempre più sorprendente Zalewski a tutta fascia, alzando le pressioni dei quinti fino ai terzini, bloccando le iniziative dei centrali con i due attaccanti, marcando a uomo il regista Tielemans con Lorenzo Pellegrini, e non subendo mai il tre contro tre che si veniva inevitabilmente a verificare ogni volta che Schmeichel alzava il pallone. Nella prima mezz'ora la Roma è stata quasi perfetta. Il "quasi" è giustificato da quel grande numero di ripartenze sprecate per banali errori di rifinitura. Lo conferma il numero dei passaggi concessi per azione difensiva: sono stati appena 5,4 nel primo quarto d'ora e il dato è crollato a 26 nel secondo tempo. Esemplare l'azione del vantaggio: per sfruttare al massimo l'ampiezza, contro una squadra che tendeva a lasciare alti i tre attaccanti e stringeva in mezzo con i centrocampisti, si percepiva chiaramente come Mourinho avesse dato come indicazione di cambiare rapidamente il fronte del gioco per attaccare sul lato scoperto in superiorità o quantomeno in parità numerica: ed è proprio quello che ha fatto Zaniolo rovesciando un pallone alla cieca dalla fascia destra sulla fascia opposta, obbligando in qualche modo Zalewski ad attaccare duro trascinandosi dietro i suoi dirimpettai. Splendido poi il tempismo con cui il giovane polacco di Tivoli ha messo Pellegrini uno contro uno col portiere, replicando per dosi e misura l'assist gioiello già regalato a Zaniolo nella precedente serata di coppa con i norvegesi del Bodø. Poi la Roma ha continuato a tenere alta la pressione e in apprensione gli avversari, fino a quando non si è progressivamente fatta strada l'idea di difendere il vantaggio senza esporsi ulteriormente, conservando l'unico germe offensivo nell'idea della transizione letale.

Il difficile secondo tempo

Nella ripresa il problema è diventato evidente e come spesso succede, a un certo punto è diventato complicato ribellarsi all'abbrivio scontato che aveva preso la partita. In questi casi è necessario o l'episodio fortunoso (una ripartenza improvvisa, un gol da calcio piazzato) oppure si rischia di subire oltre misura l'avversario. Karsdorp e Zalewski hanno cominciato a lasciare senza pressione l'impostazione dei terzini mentre Pellegrini, Zaniolo ed Abraham si opponevano fragili a metà campo, perdendo in efficacia a causa della mancata aggressività alle loro spalle. Così Cristante e Mkhitaryan, e successivamente Oliveira, faticavano a coprire i buchi sempre più larghi che si aprivano, e l'unica soluzione era arretrare ulteriormente. Qui sta ancora il limite tattico della Roma di Mourinho. José non sarà mai quel tipo di allenatore che fa attaccare i suoi uomini a prescindere da tutto il contesto, a prescindere dal risultato, dal momento della stagione, dalla circostanza che richiede la partita. A decidere se l'atteggiamento paga sarà sempre e solo il risultato. E a questo punto, a un passo dalla finale europea di Tirana – evento che alla Roma non capitava da 31 anni – non sembra più il caso di chiedersi che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato. Avanti tutta con l'idea di Mourinho che peraltro non ha niente a che vedere con il pullman messo davanti alla porta, come ha banalizzato ieri Repubblica. Nessuna squadra che schiera la difesa a tre ha in fascia un giocatore delle caratteristiche tecniche di Zalewski: neanche l'Inter, che a sinistra ha Perisic e in mezzo giocatori di sostanza come Brozovic, Barella e a volte Vidal, è così offensiva.

La compagnia di canto popolare

C'è poi un altro fattore che "tatticaMente" Mourinho sa di potersi giocare: l'Olimpico. A prescindere da ogni strategia tattica, la gara con il Bodø ha spiegato meglio ciò che il portoghese aveva capito sin dal primo giorno sul suolo romano. Quando si crea un'alchimia come quella che è venuta fuori quest'anno tra la squadra e il suo popolo non ci sono diagonali, sovrapposizioni e schemi su calcio piazzato che tengano (a proposito, è un peccato che la Roma abbia avuto solo un angolo a favore, nello specifico il Leicester soffre parecchio questo contesto e Cristante al ritorno potrà essere preziosissimo). I norvegesi si sono squagliati nell'impatto con lo stadio prima ancora che contro la Roma, vedremo se gli inglesi saranno più smaliziati.

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