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Di Francesco prepara la sorpresa: Schick fuori e un altro modulo

Contro il Genoa si cambia. L'allenatore giallorosso chiede un passo diverso alla sua squadra e sta lavorando alle alternative, con Zaniolo falso nove

, di LaPresse

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15 Dicembre 2018 - 09:24

Sulla graticola Eusebio Di Francesco c'è già stato. Era un altro mese molto freddo, era gennaio, era il 2014 e dopo una lunga serie di risultati negativi e con gran rincrescimento il cavalier Squinzi lo sollevò dall'incarico di allenatore del Sassuolo. Curioso, a rileggere oggi quel che si scriveva in quei giorni di quella squadra: "Il credito accumulato nella passata stagione - scriveva ad esempio La Stampa - con la prima storica promozione in serie A del Sassuolo, non è stato sufficiente al tecnico per salvare la panchina. Di Francesco, 44 anni al secondo esonero in A dopo quello di Lecce, aveva rischiato dopo le prime quattro partite perse ad inizio stagione culminate con il clamoroso 0-7 con l'Inter, ma anche dopo il derby di Parma e la sconfitta sul campo del Genoa del 6 gennaio. La reazione della squadra contro il Milan, vittoria in rimonta e un po' fortunosa, aveva illuso Di Francesco ma anche tutto l'ambiente. Poi il ko contro il Torino e infine il rovescio di Livorno con la squadra sotto di tre gol dopo venti minuti. Tanti, forse troppi i cambiamenti. Infatti tra sessione estiva ed invernale, sono stati ben 19 i nuovi giocatori arrivati, con un saldo negativo di quasi 11 milioni, una vera rivoluzione che potrebbe proseguire nelle ultime ore di mercato e che ha reso difficile il compito del tecnico appena esonerato. Impietosi i numeri della crisi del Sassuolo con un segno rosso sulle reti subite: 46, peggiore difesa della serie A, mente i gol segnati sono stati 22 di cui 12 firmati dal giovane Berardi, 12 le sconfitte, di cui 5 in casa, 5 i pareggi e 4 le vittorie".

Dunque, si veniva da una stagione esaltante, sul mercato ci fu una mezza rivoluzione, l'inizio fu balbettante, poi ci fu una ripresa e infine una lunga serie negativa, con la difesa ridotta a un colabrodo: che vi ricorda? All'epoca finì male per Di Francesco che fu sollevato dall'incarico. In quei giorni la Roma volava con Garcia, Pjanic prometteva amore eterno («Rinnoverò il contratto, ormai mi sento romano») e il Corriere dello Sport scriveva la formazione delle promesse della Roma che avrebbero garantito il futuro del club: in porta Skorupski, in difesa Golubovic, Jedvaj, Romagnoli e Abner, a centrocampo Tibolla e Paredes, sulla trequarti Vestenicky, Berisha e Radonjic, davanti Sanabria. Di undici, non ne è stato preso uno. Di Francesco l'esonero lo prese malissimo: si chiuse a Pescara per qualche giorno a meditare, come vivendo un lutto. Squinzi cercò di far fare il gran salto a Filippo Inzaghi, che all'epoca allenava la Primavera del Milan, ma l'ex attaccante gli disse di no: preferiva restare a fare ancora esperienza a Milano. Chissà come sarebbe andata la storia del Sassuolo, la sua e quella di Di Francesco, se avesse accettato. Invece il Sassuolo ripiegò su Malesani (che si portò il romanistissimo Ezio Sella come vice) e che però fece peggio del predecessore: cinque partite, cinque sconfitte. Esonerare Malesani e richiamare Di Francesco fu un tutt'uno. Eusebio tornò, sistemò la squadra con un paio di mosse e il Sassuolo ricominciò a vincere le partite conquistando una salvezza che sembrava davvero impensabile.

Oggi Di Francesco è sulla graticola come in quei giorni. Sa che non è ancora tempo di fare i bilanci: non ha ancora esaurito la metà del contratto in essere con la Roma (tra un paio di settimane si scavalla il diciottesimo mese, poi ne avrebbe altri diciotto) e non pensa che questa lunga serie di mancati risultati possa portare davvero alla sua sostituzione. Ma la società si sta muovendo e se anche col Genoa le cose dovessero andar male, l'esonero diventerebbe quasi inevitabile. Eusebio vive nel calcio da tanti anni e sa che per un allenatore l'esonero è un'eventualità che bisogna sempre contemplare. Ma di certo ha sempre sentito l'appoggio della società e sarebbe molto sorpreso da un licenziamento. Ieri sul suo profilo whatsapp, lo stesso nel quale lo scorso anno nei momenti migliori della stagione passava da un aforisma motivazionale all'altro e che invece quest'anno per molto tempo ha tenuto neutro, ha pubblicato un'immagine con una frase del regista David Lynch: "Le persone non cambiano, si rivelano". C'è qualcuno, insomma, intorno a lui che lo sta deludendo.

L'avventura alla Roma si potrebbe esaurire qui, domenica, e quindi scadere prima del compimento del diciottesimo mese, ma lui è ancora convinto di poter lavorare lungo tutta la durata del suo contratto, per altri diciotto mesi. Roma è al momento il coronamento della sua carriera di allenatore, lo sbocco naturale e il premio che ha pensato di essersi meritato da quando ha dato una svolta offensiva al suo modo di intendere il ruolo di allenatore. Folgorato sulla via di Guardiola, più che di Zeman, colpì la fantasia di molti direttori sportivi (tra cui anche Monchi) proprio per i grandi risultati ottenuti dal suo Sassuolo, un po' quello che sta avvenendo oggi a De Zerbi (uno che sarebbe un candidato perfetto per raccogliere il testimone di Di Francesco non ora, evidentemente, ma alla fine di questa o della prossima stagione).

«Per me questa è un'occasione unica e sono molto felice di raccoglierla»: sono state queste le sue prime parole da romanista, quel 14 giugno 2017, mentre Monchi in italiano ancora stentato lo presentava alla stampa. «Questa è una squadra di livello top, il pubblico potrà aiutarci, voglio portare in questa squadra un grande senso di appartenenza. Lo stadio? Spero di poterci essere quando sarà inaugurato. A Roma c'è fretta? Non mi preoccupa, voglio concentrarmi sul lavoro e trasmettere entusiasmo con i risultati». Otto mesi fa, dopo dieci mesi di lavoro, arrivò sicuramente al punto più alto, nella notte del 3-0 al Barcellona. A caldo, in sala stampa, faticava a contenere l'entusiasmo: «In passato mi sono preso tanti schiaffi, oggi mi prendo volentieri i complimenti».

Oggi terrà la conferenza stampa della vigilia della sfida col Genoa di Prandelli con uno stato d'animo nettamente differente. Non si spiega l'accanimento che lo ha colpito in una stagione in cui probabilmente ci sono stati risultati al di sotto delle aspettative in campionato, ma in cui in fondo la Roma a dicembre è ancora in corsa per i suoi traguardi, che all'inizio della stagione erano chiari: uno dei primi quattro posti in serie A, una buona Champions e magari la conquista della Coppa Italia. Nessuno tiene più in conto il fatto che il mercato ha restituito al tecnico una squadra di grande prospettiva, ma un po' meno pronta per essere subito competitiva, né degli infortuni che gli hanno tolto tanti giocatori e tutti insieme, né di quello che hanno tolto alla Roma gli arbitri, né di che cosa può significare dover giocare tutte le partite sempre con tanti giovani. Alla fine tutti sembrano convergere verso un solo verdetto: il pollice verso nei confronti dell'allenatore. Ma lui ancora non si è arreso.

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