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L'analisi tattica di Cagliari-Roma: due punti (buttati) e a capo

Un suicidio annunciato. Quei segnali della ripresa ignorati da Di Fra, anzi peggiorati dalle sue scelte: i paradossi di una difesa inutilmente coraggiosa

10 Dicembre 2018 - 09:54

Il paradosso di Cagliari-Roma è che la squadra giallorossa è andata a dominare per 70 minuti su un campo dove nessuno era riuscito a vincere in questo campionato ed è tornata a casa con le ossa rotta come se avesse perso 3-0. Perché il 2-2 finale, soprattutto per le modalità con cui si è snodato, è stato più pesante della peggior sconfitta possibile. Tutti quelli che hanno visto la partita, con le diverse tonalità sentimentali che il tifo ci fa provare, hanno ancora negli occhi l'assurdo gol finale, che abbiamo ricostruito nei suoi quattro fotogrammi fondamentali nella pagina accanto. Ma è l'intero secondo tempo della partita che aveva dato qualche segnale che qualche occhio smaliziato aveva saputo cogliere anche durante lo svolgimento, nonostante il doppio vantaggio e persino al netto delle solide scaramanzie tifose.

L'avvio al piccolo trotto

La Roma torna in campo dopo un primo tempo in cui aveva fatto due gol e ne aveva sfiorati altri quattro, lasciando però anche tre occasioni ai padroni di casa. 14 i tiri romanisti verso la porta (4 nello specchio), 9 quelli dei sardi. Al rientro la squadra giallorossa viaggia su bassi regimi, quasi convinta di raggiungere per inerzia il 3-0 (risultato che statisticamente la dovrebbe mettere al riparo da qualsiasi rischio), e mantenendo un assetto alto della linea difensiva che da un lato caratterizza da sempre le squadre di Di Francesco, ma che a volte potrebbe essere leggermente modificato, non ripudiato. Tanto per fare un esempio: nelle pressioni alte, capitava che i terzini giallorossi andassero a confrontarsi altissimi con i terzini avversari, allungando pericolosamente la diagonale di campo libera tra esterno e centrale di parte.

Ad esempio al 6', su un innocuo giro palla sulla trequarti campo, la palla arriva al terzino destro Srna su cui sta per piombare Ünder per la chiusura, ma Kolarov lo anticipa salendo altissimo e di fatto invitando l'avversario a servire in diagonale Faragò che scarica su Bradaric che manda nello spazio verticale Farias: il pericolo è sventato da Manolas, ma il rischio è ingiustificato. Basterebbe, soprattutto quando si è in doppio vantaggio, alzare le pressioni con gli esterni d'attacco sui terzini, con punta e trequarti centrale divisi tra difensori avversari e regista (nello specifico Bradaric, centrale del 4312), mediani sulle mezze ali e con i quattro difensori sui tre giocatori più avanzati.

La difesa più alta

Che Di Francesco ami la difesa alta e aggressiva è un dato di fatto che non si può contestare, a meno che non si voglia contestare il suo intero impianto di gioco, e non è certo l'intenzione di chi scrive. Che però a volte tanta sfrontatezza risulti controproducente è altrettanto evidente. Il Napoli di Ancelotti, per esempio, usa ancora una linea aggressiva, ma ad oggi ha messo in fuorigioco gli attaccanti avversari poco meno della metà delle volte in cui è accaduto agli avversari della Roma: 31 contro 58. Nella relativa classifica, dopo la Roma c'è addirittura la Spal, con 40, a 33 la Sampdoria, solo quarto il Napoli. Tanto coraggio non corrisponde però alla solidità difensiva: la difesa della Roma è decisamente la peggiore nel gruppo delle prime otto (e anche Parma, Sampdoria, Fiorentina e Cagliari hanno subito meno gol). E infatti gli strafalcioni tattici, soprattutto considerando la lentezza di diversi giocatori della linea estrema giallorossa, sono all'ordine del giorno. Il gol del 2-2 subito è paradigmatico, in questo senso: sul rinvio del portiere la difesa si alza in maniera insensata, quasi sfidando la sorte (e due velocissimi attaccanti avversari, Sau e Joao Pedro). Ma anche in un curioso ping pong tra Zaniolo (che rinvia lungo davanti alla propria area) e Cragno (che controrinvia dalla sua trequarti) la palla finisce dal portiere direttamente dietro la linea difensiva romanista.

Gli errori tecnici

Non bastassero i rischiosissimi movimenti tattici, ci si mettono poi anche gli errori tecnici, spesso non provocati. Pensiamo, così alla rinfusa, a certi leziosismi di giovani e meno giovani: la mente va a un tacco di Ünder verso nessuno a vanificare un'azione pericolosa, a un tiro di Zaniolo che ha fatto avvelenare Di Francesco in una ripartenza 3 contro uno, a un contrasto di testa mancato da Florenzi in netto vantaggio sull'avversario, a un colpo di testa mandato in corner da Fazio quando era senza pressione, o a una sua apertura a centrocampo andata direttamente in fallo laterale o a un rinvio sballato sulla pressione avversaria, alle conclusioni mosce su mischia in area di Schick (due volte) e Nzonzi.

I segnali di Di Francesco

A Cagliari ci si è messo anche l'allenatore che se da una parte è il responsabile tecnico (e dunque risponde per ogni singola follia individuale, se ripetute, o di reparto) dall'altra è quello che potrebbe invertire i trend negativi quando ne percepisce l'origine. E sabato ha capito che qualcosa non andava ma ha finito per peggiorare la situazione mandando segnali sconcertanti per i suoi giocatori (prassi già criticata in questa rubrica dopo il meno avvilente pareggio di Napoli), inserendo 2 difensori per 2 attaccanti e l'inadeguato Pastore nel ruolo di centravanti. Così si è assistito a un penoso crescendo nello scarico delle responsabilità, con punizioni senza alcun destinatario (in un caso s'è sentito il tecnico urlare «Che cazzo scappi, uno a giocare!!!»), Nzonzi che si toccava la schiena dolorante, palloni giocabili gettati in tribuna, contropiede regalati con 7 giocatori su 10 a portarli, fino al capolavoro (al contrario) dell'ultimo secondo. Cronaca di un suicidio annunciato.

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