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Eutanasia di una squadra: la Roma a Cagliari si fa pareggiare al 96’

Il doppio vantaggio dilapidato in undici contro nove. I gol di Cristante e Kolarov illudono, la follia finale e il gol di Sau rovinano tutto

09 Dicembre 2018 - 08:48

Altro che giocare con il cuore, come il ricordo di Gigi Radice evocava e la classifica imponeva. La Roma gioca con il lutto al braccio in memoria del suo ex tecnico, ma è tutto in questo gesto simbolico il suo modo di onorarlo. Alla Sardegna Arena è più fifa che sangue. Più caratteraccio che carattere. Più evaporazione che stato solido. Più atteggiamento folle che sregolatezza. La squadra attuale - alla luce di troppe controprove per pensare ancora soltanto a casualità o periodi storti - è un ectoplasma. Qualcosa che un giorno sembra di vedere e un altro no, o che addirittura nella stessa giornata, nell'arco di pochi minuti a volte, appare e scompare, senza nemmeno avere la leggerezza dell'etereo. Ma con la stessa noiosissima ciclicità che alla fine dei conti la rende attaccabile da ogni versante. Metaforicamente e praticamente.

Ormai lo hanno capito tutti. Anche il Cagliari di Maran, che in quel finale tanto concitato quanto surreale (ormai l'incredibile quando sono di scena gli uomini di Di Francesco viene costantemente oltrepassato) acciuffa il pareggio addirittura in nove. E come se non bastasse in contropiede. Al 96' già scoccato. Con Srna e Ceppitelli appena espulsi. Appunto perché se i giallorossi non vivono situazioni oltre i confini della realtà, se le creano da sé. Eppure la gara si era incanalata nel verso giusto, lasciando sperare che la bella reazione messa in mostra contro l'Inter fosse soltanto il prologo della serata sarda. Una speranza e basta.

Ben prima di capire che si tratta dell'ennesima illusione-delusione, i circa 400 tifosi arrivati dalla penisola sono come sempre colorati e rumorosi. Il settore che li ospita sembra la miniatura del cosiddetto "formaggino" di Firenze, confinato all'altezza del corner e separato dal resto degli spalti da due fitte e alte recinzioni. Nonostante il vento sferzante i romanisti cantano e si sentono forte: le due reti del vantaggio arrivano proprio dal loro lato e non è un caso. Ma il piccolo impianto alle spalle del vecchio Sant'Elia è un catino: tutto il pubblico è attaccato al campo e l'effetto sonoro è notevole anche a fronte di una capienza che supera di pochissimo i sedicimila posti. In questa stagione resta uno dei tre impianti a mantenere l'imbattibilità interna: gli altri due sono lo Stadium e il San Paolo. L'ultima a espugnare la Sardegna Arena è stata proprio la Roma, a maggio scorso. E tanto per accrescere l'effetto-tabù, l'ultima vittoria esterna dei giallorossi risale a Empoli, ormai due mesi fa. Ma l'aria sembra quella giusta per tornare a conquistare i tre punti fin dalle prime battute. Pressing alto, possesso meno fine a se stesso, più verticalità e alcuni uomini particolarmente ispirati.

Singolare la "divisione" della formazione (oltre che quasi obbligata dagli infortuni): dalla cintola in giù squadra più che esperta, mentre da Cristante in su l'età media non arriva a 21 anni. E si vede: la fase offensiva è veloce, frizzante, vivace, anche se forse poco smaliziata. Soprattutto a sinistra, dove Kluivert soffre i modi rudi di un vecchio volpone come Srna, che però ha pane per i suoi denti quando da quelle parti si affaccia Kolarov. Il serbo è fin dalle prime battute uno dei più pericolosi con i suoi assist forti e tagliati. Sul versante opposto l'asse Florenzi-Ünder sembra funzionare. In mezzo Cristante e Zaniolo abbinano corsa e qualità, andando anche più volte al tiro. Da una sortita da destra del Capitano nasce il vantaggio al quarto d'ora: palla dentro tesa, la difesa respinge come può e il numero 4 dalla lunetta ha il tempo di prendere la mira e piazzare il pallone con forza.

Dopo il vantaggio la Roma dà la sensazione di essere in pieno controllo di gara e di poter dilagare, creando occasioni a ripetizione e controllando abbastanza agevolmente le ripartenze del Cagliari, che si affida ai lanci lunghi e all'estro di Joao Pedro. La doppia assenza di Barella e Castro in mezzo si fa sentire: manca fosforo e il fantasista rossoblù è spesso costretto ad abbassarsi per sobbarcarsi l'onere della regia. La temuta defezione di Manolas non c'è stata e col greco in campo le palle lunghe non costituiscono la migliore delle soluzioni possibili. Tanto più che nel corso del riscaldamento il Cagliari ha perso anche Pavoletti, sulla carta (e non solo, visto questo Cerri) il più pericoloso dei suoi.

Qualche sofferenza arriva nella parte finale del primo tempo, quando i padroni di casa sembrano però affidarsi più alla forza di volontà che a qualcosa di realmente organizzato, ma la rete su punizione di Kolarov sembra sopire anche i tentativi improvvisati. Nella ripresa lo spartito è più o meno lo stesso: i due portieri salgono sugli scudi e il risultato resta inchiodato sul 2-0 fino a cinque minuti dal termine. Poi, il patatrac. Per una volta il Var si dimostra alleato dei giallorossi e nega il rigore chiesto a gran voce dai padroni di casa: la palla sembra toccare prima la coscia, poi il braccio di Kolarov, quindi la decisione di Mazzoleni appare corretta, ma indispettisce e al tempo stesso carica i sardi. La Roma capitola sugli sviluppi di un corner con l'ultimo tocco di Ionita al 40'. Il finale si rivela incandescente e nel recupero succede di tutto: Olsen sventa una clamorosa occasione prendendo anche un colpo che causa ben due espulsioni per proteste (di Srna e Ceppitelli). Nella bolgia la Roma in doppia superiorità numerica va completamente in bambola e riesce a farsi infilare addirittura da una ripartenza di Sau, che pareggia una gara che appariva segnata fino a pochi minuti prima. E il suicidio è completato.

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