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Roma, tra infortuni e paure: cercasi mental scotch

Uno psicologo, un fisiatra e un osteopata ci guidano in un viaggio attraverso le incertezze della squadra che partono dalla testa e arrivano al corpo

, di LaPresse

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30 Novembre 2018 - 07:30

Problema di testa, problema di piedi, problema di muscoli, problema di ossatura. La Roma ti manda ai pazzi. È proprio il caso di usare questo antico detto per inquadrare ciò che ciclicamente accade alla squadra di Di Francesco e che (anche con giocatori diversi) accadeva nella scorsa stagione: mezzi tempi, svarioni, blackout. E infortuni. Serve proprio lo scotch, per questa Roma "scocciata", per dirlo alla romana. Il "mental scotch". «È un problema di testa», ci è stato detto, ci siamo quasi convinti che lo sia. E anche se è meglio allenare pure la tecnica e mettersi alla lavagna per parlare di diagonali, «parte tutto dalla testa» ma «la mentalità può essere incrementata». Lo sentiamo dire non solo da allenatori e dirigenti, ma anche dagli specialisti.

Nel momento a dir poco delicato della Roma, come pioggia sul bagnato, sono proliferati gli infortuni. Non è facile da giustificare in termini scientifici ma «il binomio tra fragilità mentale e fisica è ormai assodato», conferma Giorgio Sassetti, fisiatra della clinica Villa del Rosario, dove di sportivi ne passano, che si occupa della parte riabilitativa. «Il rendimento risente dell'aspetto mentale. Basta pensare al primo tempo di Ünder con il Real Madrid fino al gol sbagliato e al suo secondo tempo, in cui si è manifestata una frustrazione. Molti giocatori somatizzano e finiscono per farsi male, altri - ma è un discorso parallelo - sono ipocondriaci. Anche se è diventato un luogo comune, sono sottoposti a stress pazzeschi: oltre alle partite dei campionati, delle coppe, delle nazionali, non vanno sottovalutati i viaggi stessi, che vengono percepiti anche da articolazioni e muscolatura. Che i calciatori siano strapagati non vuol dire che siano dei robot. Si deteriorano come tutti».

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Dal problema mentale a quello fisico, allora. Chi è nato prima, l'uovo o la gallina? Bella impresa, rispondere: «È tutto strettamente legato - spiega lo psicologo dello sport Gianluca Panella - quelli dei giocatori della Roma li definirei sicuramente infortuni da stress. Diciamo pure psicosomatici. I fischi, pur legittimi degli spettatori, non aiutano, ha ragione Di Francesco, possono far abbassare i livelli di autostima. Si vede subito quando un atleta sta per infortunarsi e se è carente in mentalità può anche rallentare il recupero. Le ricadute della squadra sono preoccupanti, rappresentano la conferma che non si è guariti, perché il problema non è "trattato". La mancanza di reazione a un episodio sfavorevole è un blocco psicocorporeo, questo gruppo psicosomatizza». Preoccupante. Perché le vittorie qua e là tamponano solamente, per non dire che risultano illusorie. Ci sarà pure, però, un elemento di speranza: «La chiave è solamente la prevenzione, fatta ad esempio attraverso l'osservazione esterna di specialisti, ma soprattutto con un lavoro quotidiano sulla mentalità che, confermo, si può allenare». Non che alla Roma non si sia fatto, magari, ma il carattere ancora latita. E per infonderlo servono regole: «Chi guida il gruppo deve avere un atteggiamento fermo e deciso e contestualmente deve aiutare il singolo a verbalizzare. Deve essere supportato per riuscire a contattare le fragilità individuale nel gruppo. Le regole danno sicurezza».

L'errore clamoroso di Ünder contro il Real Madrid @LaPresse

Dunque se manca la personalità a certi livelli ci si fa anche male. Ma anche qui, siamo al dubbio amletico: nasce prima l'infortunio mentale o quello fisico? «Viene prima la predisposizione psichica di atteggiamento mentale che genera un territorio fertile per l'insorgenza di una traumatologia o di un infortunio, è una predisposizione a monte», afferma l'osteopata e massofisioterapista Alessandro Laurenti. Eppure un modo di prevenire gli infortuni ci sarebbe: «Assolutamente sì, curando gli appoggi. Mi spiego, la tabella dei giocatori della Roma parla chiaro: la maggior parte dei problemi pesa sulle catene muscolari posteriori. Immaginiamo che la squadra sia tutto il corpo: se mi faccio male spesso nella stessa parte significa che c'è una carenza, un atteggiamento mentale del corpo che mi predispone a farmi male sempre in quella parte. Quello che balza agli occhi, ed è curioso, è questa recidiva sempre sulle catene posteriori». Recidiva, ci risiamo. Ma tecnicamente la spiegazione c'è: «In questi giocatori c'è poca flessibilità e sicurezza negli appoggi. Questa mancanza li espone alla distorsione». Mente e corpo vanno insieme e «non devono essere lavorate in maniera scissa». Esistono anche dei rimedi specifici: «Bisognerebbe raggiungere la libertà dello scivolamento delle catene muscolari, curando la flessibilità, lo studio dell'appoggio dei piedi durante la corsa, il passo, la camminata, lo scatto, il cambio di direzione. Tutti contesti del corpo che vanno curati, in due parole: l'allenamento propriocettivo. Utilissimo a limitare gli infortuni». Ma quando il giocatore è insicuro è più contratto - anche muscolarmente - insomma, è un po' un cane che si morde la coda: «L'insicurezza quando si entra in scivolata è determinante, l'atteggiamento mentale è fondamentale, ci deve essere il tono. La forbice tra la non determinazione e la determinazione dell'avversario porta non solo a perdere una partita, ma anche esporre all'infortunio».

Kluivert, Fazio, Santon e Cristante durante un'esercitazione @LaPresse

Qualcosa, come una fotografia, ci riporta a Udinese-Roma. «Quello che è accaduto in quel calo psichico me lo aspetto nell'aspetto dilettantistico, non da una squadra di professionisti, perché il calo dovrebbe essere minore». E come se ne esce? «Lo psicologo può aumentare la concentrazione, l'autostima individuale e del singolo all'interno del gruppo. E questa è la teoria dei giochi sportivi. Con carenze mentali, intanto fisicamente c'è una buona "medicina": curare gli appoggi, perché quando si ha poco carattere manca stabilità, più facilmente si prende la storta. L'appoggio è il radicamento a terra, è la nostra forza, la nostra sicurezza. Pensate al rugby: quante botte si prendono, eppure le ginocchia non escono così massacrate come nel calcio». La mancanza di personalità quindi incide su tutto, anche sul recupero e può ritardare il rientro in campo di un giocatore: «Ovviamente sì. Le neuroscienze lo dimostrano. L'atteggiamento psichico in termini biologici ha un risvolto sugli ormoni, sul tono della muscolatura, nel collegamento tra il cervello e l' unità motoria. Senza carattere si diventa più deboli e più esposti a livello immunitario. Prendiamo l'esempio di Totti, un campione di carattere, dopo l'infortunio prima del Mondiale 2006: lui ha ricominciato dall'allenamento degli appoggi». Fosse ancora una volta lui l'esempio giusto...

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