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Lorenzo Pellegrini story: da Cinecittà Est alla Roma, passando per la Banca d'Italia

Il papà di Lorenzo: "A 5 anni veniva in Curva Sud con me. All'inizio ero io ad allenarlo poi capii che un genitore non può allenare il figlio"

21 Novembre 2018 - 14:44

È a Casal Palocco, zona di calciatori, a due passi da Trigoria, il presente di Lorenzo Pellegrini, ora che la storica fidanzata Veronica è diventata sua moglie, mentre il passato è tra Roma Sud e Cinecittà Est, e si snoda lungo le arcate dell'Acquedotto Felice, l'unico costruito dopo la fine dell'Impero Romano, nel 1587, per volere di Papa Sisto V. Sotto le sue arcate, a Via del Mandrione, si trasferirono gli sfollati del bombardamento di San Lorenzo, con gli anni divenne zona di baracche e prostitute, ben conosciuta e più volte citata da Pasolini. Nel 1974 lo sgombero, ora è una strada con pochi frequentatori e molte più buche, un luogo fuori dal tempo e lontano dal caos della città da cui si possono vedere – attraverso una fitta recinzione – i campi della scuola calcio più esclusiva di Roma. Non basta pagare una retta per giocare nell'Italcalcio, dove ha cominciato a tirare calci al pallone il numero 7 giallorosso: è riservato ai figli dei dipendenti della Banca d'Italia, e non sono ammesse eccezioni.

«Certe volte non riuscivamo neppure a fare tutte le squadre. Ma quando c'era Lorenzo, era un bel periodo, avevamo tanti bambini, facevamo tutte le categorie, Pulcini ed Esordienti. Forse eravamo più giovani noi dipendenti... Del resto ai bei tempi a Roma la Banca d'Italia ne aveva 5.000, ora saremo 3.000. Anzi, sono 3.000: io sono appena andato in pensione, dal primo ottobre». E ora che non ha più impegni di lavoro, Tonino Pellegrini – cresciuto a Cinecittà Est, tra Via Antonio Ciamarra e Torre Maura, non lontano ma neppure vicinissimo dalla metro Anagnina – ha più tempo per venire a dare una mano alla Polisportiva Quadraro Cinecittà, che recentemente ha compiuto 10 anni di attività. Il campo – in quella stradina curva e poco illuminata che collega Quarto Miglio e l'Appia Nuova con Via Lucio Sestio, e la Tuscolana – ad aprile ne ha compiuti 65: è in terra, con tutta l'umidità e le contraddizioni della campagna romana, tra rovi, erbacce e un perfetto green dove si gioca a golf. Gli uffici della scuola calcio sono a un piano, l'unica opera in muratura che si staglia è, ancora una volta, l'Acquedotto Felice, in uno dei tratti più maestosi, alti e meglio conservati. Ma i bambini, che si allenano in maglia verde, con la storica tuta dell'Almas Roma, e le nuvole di fiato reso bianco dal freddo, non ci fanno più neanche troppo caso. Ci si abitua a tutto, anche alla Grande Bellezza.

Il campo della Polisportiva Quadraro Cinecittà

Qui Lorenzo lo conoscono tutti, era di casa. «Anche se, tecnicamente, non ci ha mai giocato – spiega papà Tonino – però io ci lavoro da nove anni, e lui veniva sempre. E quando ha avuto un periodo in cui non poteva giocare, veniva qui ad allenarsi. Ora abbiamo fatto un accordo di collaborazione con l'Almas, due loro squadre giocano qui da noi, l'Under 15 e l'Under 16. Che poi sono due squadre che erano nostre, lo scorso anno: li hanno tesserati, ma continuano a giocare da noi. Loro devono fare i lavori, al "Sant'Anna", prima di riprendere tutta l'attività, che ora è sparsa su vari campi». L'Almas Roma – che sta per Appio Latino Metronio Associazione Sportiva – è un pezzo di storia del calcio romano di tanti anni fa: ha giocato 4 anni in C2, dal '78 all'82, ci sono passati tre giocatori della Lazio – Vincenzo D'Amico, Giancarlo Oddi, e in tempi più recenti Giampaolo Pinzi – e un capitano della Roma, Giuseppe Giannini, scoperto da altre due leggende giallorosse, Naim Krieziu e Amos Cardarelli. E uno che la fascia della Roma è in fila per portarla molto presto, Lorenzo Pellegrini. Solo che Giannini giocò qui fino a quando aveva 16 anni (e un anno e mezzo dopo esordì con Nils Liedoholm), Pellegrini se ne andò a dieci anni a malapena compiuti: classe 1996, nella stagione 2006-07 era uno dei 28 bambini vestiti di giallorosso che formarono la squadra Pulcini, allenatore Sandro Baroni. «All'Almas in realtà è stato un anno solo – spiega Tonino – il resto lo ha fatto all'Italcalcio. Era una scuola calcio a tutti gli effetti, anche se potevano iscriversi solo i figli dei dipendenti della Banca. Ricordo quando facevamo le partite, e dovevamo far entrare i giocatori delle altre scuole calcio: autorizzazioni, controlli, documenti, permessi… una cosa interminabile, bisognava venire un'ora prima. Lorenzo ha iniziato lì, a cinque anni e mezzo. E per i primi due anni l'ho allenato io. Poi ho capito che un padre non può allenare un figlio... Ed è stato così anche all'Almas, anche se è venuto con me: mi avevano contattato per fare il responsabile della scuola calcio, e me lo sono portato, anche per una questione di comodità. Ma non lo allenavo io.

È rimasto un anno, e neppure completo: siamo stati contattati subito dalla Roma. A marzo, aprile e maggio, si allenava sempre con loro: era l'anno in cui la Roma stava rifacendo i campi a Trigoria, e aveva spostato le giovanili alla Longarina, al centro sportivo di Totti. Stava con i '95, allenati da Pisani e Capezzuoli, si allenava con loro, con il nulla-osta dell'Almas, con cui poi tornava solo per giocare le partite nel fine settimana. La Roma si era segnata il suo nome già dall'ultima stagione all'Italcalcio. Venne da me Marco Albergati, che ha fatto per tanti anni l'osservatore per i giallorossi, ma allora lavorava ancora per la Nuova Tor Tre Teste. Voleva portarlo lì, gli dissi che dopo pochi mesi sarei andato all'Almas, e me lo sarei portato. E a quel punto, non potendolo portare alla sua società, lo segnalò al suo amico Bruno Conti. Preso a zero: a quell'età c'è il vincolo annuale, i bambini a fine stagione sono liberi. Dopo quei tre mesi di allenamenti, in estate stava facendo una sorta di ritiro estivo con l'Almas: mi chiamò Fabrizio Di Mauro, e mi disse che mio figlio era stato preso, e presto avremmo ricevuto la lettera».

Ma il legame tra Lorenzo Pellegrini e la Roma nasce ben prima. «L'anno dello scudetto, veniva allo stadio con me. Andavamo in Curva Sud, nella parte alta, vicino alla Monte Mario. E la cosa che mi ha sempre impressionato è il modo in cui stava concentrato e silenzioso, seduto dall'inizio alla fine, a vedere la partita. Aveva cinque anni, non è facile: a quell'età i bambini si distraggono facilmente. Ovviamente me lo portavo solo alle partite più tranquille. Di Roma-Parma ricordo solo che uscii alle otto di mattina: quel giorno lo lasciai a casa… Ma per lui il calcio è sempre stato fondamentale: potevi anche regalargli una macchina, o un pupazzetto: qualunque cosa, la buttava a terra, e la prendeva a calci».Giocava anche il padre, da ragazzo. «Ma a livelli molto bassi, non sono mai andato oltre la Prima Categoria. Giocavo in una squadra che si chiamava Calvino, ora non esiste neanche più. Ero centrocampista. Poi a 16-17 anni ho smesso, e ho iniziato a lavorare. E ho ricominciato quando stavamo in banca: organizzavamo un paio di campionati, uno su Roma, e uno nazionale». Poi è arrivato Lorenzo, e ha iniziato a giocare anche lui. «Ha sempre avuto una fisicità importante, per cui da piccolo lo mettevano davanti, sin da quando si giocava a 5, o a 7 e a 9».

La vulgata dice che fu Montella, nei sei mesi in cui lo allenò nei Giovanissimi Nazionali – era l'anno in cui subentrò a febbraio a Claudio Ranieri, iniziando la carriera da tecnico dei grandi – a trasformarlo da centravanti a centrocampista. Ma non è esatto. «Montella lo perfezionò tatticamente, e gli dette piena fiducia. Ma lui in quel ruolo aveva già giocato l'anno prima, nei Giovanissimi Regionali, con Mirko Manfrè, che ora credo lavori per la scuola calcio della Roma, all'Acqua Acetosa. Lo arretrò nella seconda metà dell'anno, gli ultimi 2-3 mesi. Giocò da centrocampista anche la finale regionale, al campo della Romulea: vincemmo 4-1 contro la Tor Tre Teste, lui fu uno dei migliori in campo». Erano gli anni in cui prendeva corpo il gruppo dei '96: quando passarono nei Giovanissimi Nazionali furono aggiunti Elio Capradossi dalla Lodigiani e Daniele Verde dai campani del Pigna Calcio, un anno dopo fu aggiunto Arturo Calabresi, che avrebbe dovuto fare il ruolo di Pellegrini, e invece venne subito arretrato in difesa.

Merito di Sandro Tovalieri, che quell'anno allenava i '95, ma li portò entrambi sotto età nella categoria. E Lorenzo («...che in Calabresi ha un po' trovato l'amico del cuore») guadagnò un po' di tempo: ancora non sapeva che l'anno dopo avrebbe dovuto perderne parecchio. «Gli tolsero l'idoneità. Aveva avuto un'infezione, forse sarà stata una faringite, che gli ha causato delle aritmie cardiache. E la Roma, con queste cose, ha sempre avuto, giustamente, un atteggiamento di massima prudenza. Una volta risolto il problema, appena tornato in campo, a Marino, per il torneo Wojtyla, si fratturò il quinto metatarso».
Passava spesso al campo della Polisportiva Quadraro in quei mesi lontano dal campo, Lorenzo Pellegrini. E quelli che se lo ricordano meglio ora sono tutti qui, visto che l'Almas, in attesa del via ai lavori di ristrutturazione, ha affittato i campi all'ASD Arnold Spartaco, che fa la serie C di rugby: il campo in terra dove giocava, ora ha le porte con i pali alti, dai calci di punizione ai calci di trasformazione. «Ma io lo conoscevo da prima – spiega Pino Carucci, uno dei dirigenti – lui e mio figlio stavano in classe insieme, da bambini, veniva sempre a giocare a casa nostra. Poi mio figlio, purtroppo, è mancato, ma Lorenzo non si è dimenticato di noi.

Il campo dell'Italcalcio

È venuto più volte a trovarmi, anche dopo, è tornato anche la fidanzata, che ora è la moglie. Un ragazzo d'oro. Per noi era e resta sempre Lollo, anche ora che gioca in serie A». Anche Gianluca Balletti, che ora alla Polisportiva Quadraro allena i 2002, aveva il figlio in quella classe, alla Federico Fellini, zona Cinecittà Est. «E alla piazzetta, davanti scuola, i nostri ragazzi giocavano a pallone. Anche se mio figlio Gabriele, che faceva hip-hop, e metteva sempre vestiti larghissimi, non era proprio portato: erano più le volte che si perdeva la scarpa, che quelle che prendeva il pallone. Mentre Lorenzo era calciatore sin da bambino: quando li portavamo a mangiare una pizza, lui era l'unico che ordinava la focaccia col prosciutto crudo, evitando supplì, patatine fritte, e tutto quello che gli altri bambini adoravano. Con Tonino abbiamo un'amicizia consolidata negli anni: abitiamo a 100 metri di distanza, in un quartiere che hanno rifatto con il Giubileo, perché negli Anni 90 era un posto isolato, dove la gente dormiva e basta. Il primo gol in A di Lorenzo, a cui voglio bene come un figlio, lo abbiamo festeggiato insieme: ho preso una bottiglia e sono andato a citofonargli. Ho iniziato ad allenare con lui, quando è andato all'Almas, e mi ha affidato il gruppo dei '97. Lorenzo, che giocava sotto età di due anni, con i '94, l'ho allenato, una volta sola, a un torneo, proprio all'Italcalcio, quando andammo a giocare con una mista '96-97. E l'ho pure rimproverato, bonariamente: gli dissi di passarla, ogni tanto. Perché è chiaro che a 10 anni quelli più bravi tendono a fare tutto da soli. Neanche a dirlo, che quell'unica volta la partita ce la fece vincere da solo, tanto a poco». Ora, al campo di Via del Quadraro, gioca l'altro Pellegrini, il fratello Francesco. «È tesserato per l'Almas, è bravino tecnicamente, ha anche una buona testa – conclude Tonino – ma non ha la struttura fisica del fratello. Ha quindici anni, sta bene qui, gioca e si diverte>. Da centrocampista, ovviamente.

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