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De Zerbi, meglio l’originale

La produzione televisiva sull'Olympique Marsiglia è ben riuscita. Qual è il problema però? È che la maggior parte degli utenti potenziali preferisce bersi la sintesi social

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
09 Agosto 2025 - 07:30

Sulla scia dello strepitoso All or nothing, la produzione Prime Video che da anni racconta ormai le storie delle squadre di calcio (e non solo) dall’interno, a sua volta probabilmente nato dal capostipite Sunderland ‘til I die - forse la più riuscita tra queste produzioni televisive, quella che negli intenti avrebbe dovuto raccontare il ritorno in Premier League dello storico club inglese e invece finì per raccontare, con accenti decisamente più drammatici, addirittura la retrocessione in terza serie - diversi club stanno auto producendosi iniziative similari. Una delle più riuscite è sicuramente quella dell’Olympique Marsiglia, Sans jamais rien lacher (Senza mai arrendersi), caricata a puntate settimanali sulla piattaforma YouTube di proprietà del club.

Un modo come un altro per fidelizzare i propri tifosi, ma anche per allargare i confini dei simpatizzanti, utilissimi a fini marketing. Il servizio non è a pagamento e dunque tutti gli appassionati possono gustarsi il racconto a puntate della storica stagione appena terminata che ha riportato, grazie al lavoro di Roberto De Zerbi, ma anche del presidente Pablo Longoria e del bravissimo direttore sportivo Medhi Benatia, i portuali al secondo posto della classifica, in pratica il primo tra i normali dopo i “marziani” del Paris Saint Germain. Una produzione davvero ben fatta che racconta senza troppe censure (a parte gli schemi sui calci piazzati, accuratamente oscurati nelle immagini rappresentate) tutto ciò che è successo nel corso della stagione. Benfatto, bravi, speriamo bis. 

Qual è il problema però? È che la maggior parte degli utenti potenziali preferisce bersi la sintesi social che molte pagine che hanno seguitissimi account soprattutto su Instagram rilanciano con accenti interpretativi tutti loro che finiscono per traviare il pensiero dei meno attenti. Così capita a quelli che si stanno godendo il prodotto per intero, settimana dopo settimana, di dover assistere a dibattiti surreali sui social legati magari ad uno o più episodi sintetizzati e magari riprodotti anche in video, probabilmente senza alcuna autorizzazione. Che cosa è uscito, dunque, di recente dalla lunghissima produzione già condivisa? Soprattutto le incazzature di De Zerbi, un bravissimo allenatore che forse anche per via della narrazione tossica che di lui è stata fatta in Italia (a volte, involontariamente anche da parte di chi ne suole mitizzare ogni comportamento), sta trovando la sua migliore dimensione al di fuori dei nostri confini.

Così Roberto ha vissuto le sue belle esperienze in Ucraina con lo Shakhtar Donetsk fino all’inizio della guerra, poi al Brighton e adesso all’Olympique di Marsiglia. Lungi da chi scrive l’intenzione di influenzare il giudizio sul tecnico, per quanto chi lo conosce nei dettagli caratteriali, tecnici e soprattutto morali non può che rimanerne incantato. Ciò che magari è più interessante rilevare è il taglio scandalistico e folcloristico che ormai ci stiamo abituando ad avere, rassegnati a quest’idea che oggi su Instagram tutti hanno diritto di rilanciare i contenuti creati da altri, fatturando in rapporti ai crescenti followers. Così non conta sapere come De Zerbi abbia costruito un gruppo di uomini veri e una squadra capace di raggiungere lusinghieri risultati attraverso un lavoro quotidiano sul fisico, sulla mente e attraverso qualche virtuosa interpretazione tattica, processo che viene raccontato compiutamente nell’opera completa, ma si lascia che lo si giudichi da un paio di urla, date una volta nello spogliatoio e una volta in campo, ignorando il vero significato di quei sfoghi, mai destinati solo agli interlocutori a cui si rivolge in quel momento, ma sempre finalizzati all’educazione da dare a un intero gruppo di ragazzi, più o meno giovani, nell’intento di farli crescere, giorno dopo giorno. 

Così in Italia, la maggior parte dei tifosi oggi sa che un giorno De Zerbi ha quasi disconosciuto la propria famiglia, sacrificandola almeno verbalmente sull’altare degli interessi del suo club (ma chi lo conosce sa bene quanto sia forte il legame che invece mantiene con i suoi cari), e un’altra volta ha allontanato dal campo Ismael Koné (per paradosso appena approdato al Sassuolo Calcio, l’ultimo club italiano in cui De Zerbi ha potuto lasciare la sua evidentissima impronta), colpevole di aver toccato tre volte il pallone invece di scaricarlo come si era raccomandato il tecnico. Dunque, pollice verso. Nello sterminato tribunale del popolo ci si limita a giudicare scorrendo nervosamente le pagine di Instagram, inconsapevoli sia vittime sia carnefici della relativizzazione cui siamo soggetti come utenti di ogni social network. 

È un po’ come la storia delle partite di calcio: qualcuno voleva convincerci che la strada del futuro fosse quella della riduzione dei tempi, del trionfo degli highlights (che fanno vedere i gol da ogni angolazione, senza magari mai risalire alla gestazione dell’azione), delle varie Kings League che a diversi livelli stanno fiorendo in tutto il mondo, fatte di momenti tutti decisivi (e quando, allora, lo sono davvero?), di urla belluine, di risse a favore di telecamera, di content creators e presidenti (s)calcianti. Fatelo, se ritenete che sia utile ai vostri passatempi. Ma mai parlando a nome di qualcun altro. State fuori dai nostri contesti. Lasciateci le nostre partite, lasciateci i nostri approfondimenti, i nostri ‘til I die. Il mondo intanto va avanti, e il calcio pure, e da noi ci si insulta ancora tra giochisti e risultatisti. 

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