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il commento

Quando lo sport ci insegna la vita

Il bello vince sempre, nello sport, se hai il coraggio di guardare il brutto. Che può avere la forma dell’ombra di un padre o di un blocco di gesso

Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi dopo i trionfi a Tokyo nei 100 metri e nel salto in alto @Getty Images

Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi dopo i trionfi a Tokyo nei 100 metri e nel salto in alto @Getty Images

02 Agosto 2021 - 05:30

El paso veloce. Dal Texas a Tokyo, in nove secondi e ottanta centesimi. Marcell Jacobs. Un italiano campione olimpico dei 100 metri. Non so se è più incredibile averlo visto o poterne scrivere. È la più grande impresa della storia dello sport italiano. Livio Berruti a Roma, Yuri Chechi ad Atlanta, la staffetta di Lillehammer o chi volete voi, vengono tutti dietro. Tutto il mondo sta dietro a Marcell Jacobs, perché nessuno è più veloce di lui. Anzi, l'unico che è riuscito ad abbracciarlo è Gianmarco Tamberi, oro nel salto in alto in questi Giochi al contrario dove l'Italia non vince nella scherma ma vince due ori in 14 minuti nell'atletica leggera. Forse non è vero.

E invece è vero. E proprio Marcell Jacobs ci insegna che non bisogna mai avere paura di guardare in faccia la verità. Ha iniziato a parlarne lui qualche mese fa, dopo aver vinto gli Europei indoor nei 60 metri. Si è guardato indietro. Ora guarda avanti. Il blocco di partenza non c'è più, è solo quello dal quale, l'avrete notato, era l'unico dei finalisti a guardare avanti e non per terra. Ed è stato l'unico a capire che c'era stata una falsa partenza, come ce l'ha avuta la sua vita. La storia la sapete, è quella del rapporto col padre, che ha cercato con una lettera e con cui ora si scrive. Ha smesso di correre per dimostrare qualcosa a qualcuno, compreso se stesso. Ha iniziato a correre e basta. Più leggero, ha potuto iniziare la scalata. Un grattacielo di 100 piani.

Ha dovuto scalarlo anche Tamberi, che leggero lo è sempre stato e che è sempre stato seguito dal padre nella vita e nella carriera. Ma nel giorno in cui ha iniziato a portare il peso del gesso dopo l'operazione al tendine di Achille ha scritto su quel gesso "Tokyo". E il gesso ieri stava lì con lui. Due metri e trentasette sono un grattacielo, se (ri)cominci da terra. Senza la barba a metà, nel giorno in cui è diventato un campione completo. Come lo è l'oro pari merito con Barshim. Equo, non ex aequo. Anzi, di più: giusto, bello.

Il bello vince sempre, nello sport, se hai il coraggio di guardare il brutto. Che può avere la forma dell'ombra di un padre o di un blocco di gesso. E allora che fai? Non ti fai più la barba a metà, guardi tutto te stesso. Guardi avanti, mentre gli altri guardano giù. E se manca qualcosa, ce lo metti tu. Lo insegna lo sport, che andrebbe sempre considerato una cosa importante, perché insegna la vita. Anche in nove secondi e ottanta centesimi.

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