Serie A

Oltre il campo: Gosens e Nicolussi, due modi diversi di raccontare il calcio

Due storie differenti unite dalla stessa necessità: restituire allo sport più popolare una dimensione umana, fatta di pensiero, sensibilità e responsabilità

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Lorenzo Paielli
04 Ottobre 2025 - 10:46

È la storia dello sport più popolare di sempre. E tutte e due le interpretazioni possibili calzerebbero perfettamente a pennello col significato che si vuole attribuire. È un calcio a un pallone che nasconde leggerezza, integrazione, emozioni, storie di ogni tipo. Un’energia quasi immacolata che gira intorno al significato assoluto del gioco del calcio, ma anche l’enorme bacino d’utenza che ne permette la continua espansione di generazione in generazione. Due componenti che hanno costituito nei secoli una tradizione invisibile ma in qualche modo tangibile. Un atto di fede mondiale a legare più anime, istituendo una sacralità intorno a quello che sarà sempre molto più che uno sport.  

E proprio per questo motivo i temi che circondano inevitabilmente il calcio, ma ancora oggi fin troppo inesplorati, comportano responsabilità ancora più importanti. Ci vuole coraggio per esporsi, per dar voce ad argomenti sensibili, prendere una posizione e farlo con cognizione di causa. Chiedere, per esempio, a Robin Gosens. Uno dei primi in Italia a parlare apertamente della salute mentale nel mondo del calcio. Una laurea in psicologia, tante interviste per provare a sensibilizzare colleghi e tifosi sul tema, provando a contrastare un tabù: “Ho la sensazione che nel calcio e nella società i problemi mentali siano ancora visti come una debolezza. Quindi le persone in generale, e dunque anche i calciatori, scelgono di stare in silenzio. Che è la peggior cosa possibile”, ha raccontato in una passata intervista a Cronache di Spogliatoio. Alla base lo stigma più comune: un calciatore, consapevole dei propri vantaggi e del proprio guadagno, non può permettersi di soffrire. “La gente deve capire che un giocatore con tanti soldi può avere problemi personali, a livello familiare o mentale, per i quali non basta comprare una medicina. Con i soldi non ti compri la salute”, ha continuato il tedesco. Una sensibilità diversa dal comune, o quantomeno da quanto traspare dal contesto calcistico, accompagnata chiaramente anche da competenza in materia.

La presenza di una vera e propria squadra di professionisti nel settore nei club è di vitale importanza. E negli ultimi anni la maggior parte delle società, soprattutto ad alto livello, hanno inserito nello staff psicologi e psicologhe fin dalle giovanili, la scelta più giusta. Robin Gosens ci insegna che c’è vita oltre il calcio. C’è la vita, oltre il calcio. Nei piani del calciatore, attualmente in forza alla Fiorentina, c’è una direzione ben precisa: “Una volta che mi sarò ritirato, partirò dai miei studi per poi magari integrarli con un master in psicologia dello sport. A quel punto mi piacerebbe aprire un piccolo studio dove poter fornire consulenze individuali ai calciatori”, ha dichiarato al podcast Copa TS. Sarebbe uno dei primissimi casi nel mondo del calcio. Ma già ad oggi Robin ha fatto più di quanto ci si potesse aspettare: un’apertura mentale figlia anche di un bagaglio culturale che è spesso mancato nell’ambiente.

E sulla stessa scia c’è un’altra storia degna di nota, fuori dagli schemi. Quella di un compagno di squadra di Gosens, Hans Nicolussi Caviglia. Ben più giovane del compagno di squadra, nato ad Aosta il 18 giugno del 2000 e cresciuto nel settore giovanile della Juventus. La passione per la lettura e per le opere di Dostoevskij, tutto grazie a un certo tipo di educazione: “I miei genitori mi hanno insegnato il valore della cultura, prima che ne diventassi appassionato da solo. Il cinema e la letteratura arricchiscono il tempo che non passi sul campo e forse una poesia può darti una presa nei momenti difficili”, ha iniziato raccontandosi in una vecchia intervista a La Repubblica. Una passione per la poesia che si riversa poi nella musica e in campo: Francesco Guccini e Johan Crujiff come modelli di vita e fonte d’ispirazione: “Guccini lo ascoltavo da piccolino in macchina e me ne sono innamorato, purtroppo non l’ho mai visto dal vivo”. Anche se di lì a poco tempo, Hans si toglierà anche questa piccola grande soddisfazione, incontrando a pranzo il cantautore in un’osteria di Pavana. Un confronto tra due generazioni agli antipodi, ma ascoltando il giovane centrocampista non sembrerebbe. E tornando anche – e soprattutto – al calcio, è nel numero di maglia che è spiegato l’amore per Cruijff. E Nicolussi Caviglia ci ha tenuto a farlo proprio nella conferenza stampa di presentazione alla Fiorentina: “41 è un numero importante per me, è il numero del mio debutto. Ma è anche il contrario di 14, che è la data di nascita di mia sorella e il numero del mio idolo calcistico, Johan Cruijff. Ricordo molte sue citazioni, una delle mie ispirazioni è quella che dice che creatività e disciplina vanno di pari passo. Mia sorella vive ad Amsterdam, quindi ho visitato spesso i “suoi” posti. La sua storia, sia umana che calcistica, è bellissima. È sempre stato un pensatore d’avanguardia, in tutti gli aspetti della sua vita”.

Gosens e Nicolussi Caviglia, due storie diverse ma in un certo senso simili. Due modi differenti di uscire dagli schemi. La necessità di essere liberamente se stessi, la responsabilità di mandare messaggi che escano fuori dal campo. L’esigenza di amare il calcio, ma farlo con l’urgenza di lasciare inciso qualcosa di diverso: restituendo una dimensione umana, fatta di pensiero e sensibilità. Più di un gol, di un assist o di un trofeo.

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