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Roma-Entella, discriminazione territoriale? No, impreparazione e sensazionalismo

Certi media hanno denunciato cori che si sentono da decenni, che rimangono canti "da stadio" e non ne travalicano i confini. E che, se rivolti ai romani, non fanno notizia

La Curva Sud durante Roma-Entella, di LaPresse

La Curva Sud durante Roma-Entella, di LaPresse

17 Gennaio 2019 - 12:17

Oggi inizierò con una citazione. Non particolarmente dotta ma pur sempre una citazione di chi, ormai quasi quaranta anni fa, ha vissuto in Inghilterra l'epoca dei famigerati hooligans. «Dagli inizi la stampa fu la nostra costante compagna, frettolosi scribacchini o cameraman. Nei giorni prima delle telecamere portatili, le uniche testimonianze dell'azione erano gli scatti in bianco e nero che decoravano prima tutti i giornali della domenica, e successivamente i muri delle nostre camere. In quei giorni essere arrestati era qualcosa di cui riderne al pub. Follia e amarezze ne facevano parte, ma noi c'eravamo dentro e ci divertivamo. A volte li deridevamo. A loro servivamo, ma a noi loro non servivano, se non per pompare ancor di più il nostro ego. Alcuni dei ragazzi ai giornalisti li odiavano proprio, e coglievano ogni opportunità per dargli una botta appena si presentava l'occasione. Nella maggior parte dei casi la stampa era onnipresente, proprio come i topi stanno sempre intorno agli esseri umani. Non importava cosa avessi fatto, loro non se ne andavano mai. Ma non impararono mai niente di sostanziale, perché tutto quello che riuscivano a scrivere erano solo titoloni. Gliele abbiamo suonate. Li abbiamo fatti scappare. Siamo i più duri. Erano discorsi da cortile della ricreazione alle elementari, e ogni settimana ne sparavano di talmente grosse che nessuno avrebbe immaginato cos'altro sarebbero riusciti ad inventarsi. Ci resero famosi, ma nessuno di questi giornalisti o fotografi fece carriera o diventò famoso».

Ecco, di queste poche frasi, una è più significativa: «Non impararono mai niente di sostanziale»: quattro decenni dopo, è ancora così. L'informazione vergognosa durante e post Roma-Entella, in cui sia la Rai - per voce della giornalista che seguiva la diretta – che l'Ansa hanno diffuso la fake news relativa a cori di discriminazione territoriale, è frutto di un misto tra impreparazione e sensazionalismo, che rischia di far pensare alla malafede. Pur non essendo un giornalista, mi sembra assolutamente evidente – leggendo i giornali – che il direttore di una testata sia interessato, per motivi economici o politici, a cavalcare una notizia, duplicandola, triplicandola o quadruplicandola al fine di creare l'allarme della settimana.

Avete presente quando tanti anni fa cadde un blocco di ghiaccio dal cielo? Ebbene, in quei giorni notizie di questo tipo si susseguirono con rara intensità e sembrava che ovunque cadessero pezzi di iceberg dalla volta celeste. Si era creata una psicosi alimentata esclusivamente dai giornali, e ciò in barba al nostro codice penale che prevede il reato della diffusione di notizie false e tendenziose, proprio perché in grado di orientare l'opinione pubblica all'amore o all'odio per qualcuno o qualcosa.

E così, tornando al calcio, si parte dai cori anti Napoli uditi a Milano per sentire in ogni dove cori discriminatori, e poco importa che siano stati intonati da tre persone o da tremila: l'importante è che anche un solo giornalista li abbia sentiti, onde farci un titolo.
A Roma-Entella gli unici cori, peraltro più che ventennali, che si sono uditi in modo significativo sono stati «Odio Napoli», «Odio Bergamo» e «Odio Liverpool». Ora, lasciando da parte l'ovvia considerazione per la quale allo stadio anche il magistrato dà del cornuto all'arbitro, e che quindi cori simili rientrano nella ritualità delle tifoserie, ci si chiede per quale ragione il coro «Odio Napoli» sia discriminatorio mentre quello identico anti-atalantini e liverpulliani non lo sia.

E anche per quale ragione non sia ritenuto discriminatorio il coro che sentiamo in tutti gli stadi contro noi romani. I veri napoletani dovrebbero sentirsi offesi da un simile trattamento loro riservato dagli organi di stampa e in effetti, con fine ironia, tempo fa gli stessi tifosi azzurri esposero uno striscione con scritto «Lavaci col fuoco… E ora chiudeteci la curva» o qualcosa del genere, segno che anche i più acerrimi rivali sanno distinguere tra ciò che rimane confinato in uno stadio e ciò che, al contrario, ne travalica i confini.

Non è un caso che la nuova fobia sia venuta fuori dopo che, a livello politico, si sia ridiscusso il principio degli stadi chiusi, delle trasferte e via dicendo. E mi sembra difficile credere che una giornalista debba sottolineare, senza essere stata istruita da qualcuno al riguardo, cori nient'affatto discriminatori che ascolta da quando era ragazzina. E mi sembra difficile credere che l'Ansa, la maggiore agenzia di stampa italiana, non sappia la differenza tra un coro di insulto "calcistico" e un coro realmente discriminatorio che, peraltro, sembra esista solo per i tifosi napoletani. Ai miei tempi se usciva, come usciva, un «Nerone bruciali tutti» mi faceva semplicemente ridere. E nessun giornalista scriveva per giorni e giorni che i tifosi juventini avevano l'intenzione reale di bruciare Roma.

Erano forse più intelligenti? No, semplicemente non avevano la possibilità – con i primitivi mezzi di informazione dell'epoca – di vedere rimbalzata la loro "notizia" da un angolo all'altro del globo in meno di un secondo, come accade oggi con i social. Ma esiste un modo per protestare, e sono gli stessi social che non vanno subiti ma cavalcati. L'Ansa ha spazi social, così come tutti i giornalisti, per ragioni di visibilità, sono presenti sul web e non vedo perché se ci diffamano si debba restare in silenzio. All'opera dunque: fuori le tastiere e chi di menzogna ferisce, di menzogna perisce. Con educazione, s'intende.

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