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cara democrazia

Finalmente si può parlare di arbitri

E quindi? «Quindi che?», verrebbe da chiedersi. Quindi, mentre gli orrori si compensano, finalmente si può parlare degli arbitri. Cara democrazia, bentornata a casa

Di Bello in azione all'Olimpico

Di Bello in azione all'Olimpico

05 Marzo 2024 - 09:37

Fioccano i titoli, gli articoli, gli strilli. Paginate di giornali, conditi da tabelle e infografiche, salotti televisivi, frequenze radio. Gli arbitri adesso sì che sono un tema centrale del mondo pallonaro. Finalmente se ne può parlare, anzi, adesso non sono un problema del calcio, ma il problema. È bastato un weekend lungo e travagliato di campionato per risvegliare le coscienze di editorialisti e moralizzatori  su un argomento che, solitamente, assume i connotati della notiziabilità solo se a subire angherie è la Nazionale (salvo non venga invece favorita e in quel caso si fa finta di niente o si fa una “battutina”: tra Byron Moreno e Gil Manzano c’è di mezzo il mare) o qualche big brand della Bacino d’Utenza League, meglio se con le maglie a strisce verticali. 

Non ce ne vogliano, in tal senso, quegli editori o quei parlamentari, che un tempo se la giuravano e ora convergono, le cui squadre di proprietà hanno subìto a detta loro danni incresciosi da parte della suddetta classe dei fischietti. Davanti a un torto o a un favore arbitrale sono (o dovrebbero essere) tutti uguali e quindi sono importanti, al di là dei ranking e dei fatturati, anche i loro club di seconda fascia. Che a quanto pare per il mainstream sono più uguali degli altri. Certo è che l’escalation verbale che si auspicava scemasse con la cacciata di Mou da tutte le squadre del regno, non si è affatto placata. Anzi. Si sprecano dossier e controdossier, pareri di avvocati e azzeccarbugli, rosicamenti e attenzioni distolte. E un ente terzo dopo l’altro, si sdogana che il sistema non funziona. Già, il sistema, chissà composto da chi...  

Gli errori si compensano, si diceva una volta. Oppure: si cercano alibi. E ancora: ci vuole rispetto per la categoria. Bei tempi, ma sono solo un lontano ricordo. Oggi, evidentemente, stanno tutti a contare quanti milioni di euro di differenza fa un rigore non fischiato dagli stessi signori (i nomi quelli sono) con cui ce l’aveva José. Ma la grande bellezza è che oggi è tornata la democrazia: si può parlare senza commettere reati d’opinione e senza ledere alcuna credibilità e onorabilità. Insomma, «nella casa delle libertà facciamo un po’ come cazzo ci pare» (cit. Pippo Chennedy Show, 1997). In attesa della, speriamo solerte, procura federale delle maxirisse post-partita, il clima di repulsione che seguiva certe considerazioni di vecchi allenatori non c’è più: lo stesso Rocchi, che ha dimostrato coerenza e almeno pubblicamente non ha mandato bevuto Di Bello, proteggendolo (sarà stoppato, ma farà il quarto uomo in Champions), nell’utile confronto che si sta dimostrando Open Var su Dazn, non ha tuonato contro le ultime «aggressioni» («verbali», ha precisato durante la trasmissione). Anzi, ha dichiarato di non voler fare il politico (per ora, visto che sembra non disdegnare l’upgrade a presidente con Orsato designatore) ma di voler rimanere nel campo tecnico. Né si registrano note del capo degli arbitri dopo le parole al vetriolo del patron della Lazio, come se un comunicato su Mou fosse un investimento migliore. 
E quindi? «Quindi che?», verrebbe da chiedersi. Quindi, mentre gli orrori si compensano, finalmente si può parlare degli arbitri. Cara democrazia, bentornata a casa.

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