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Roma-Lazio, un'occasione sprecata

Dopo un derby da pareggio perso contro un avversario in netta difficoltà per fortuna si torna in campo. Sassuolo e Torino per dimenticarsene e puntare la ripresa

La coreografia della Tevere durante il derby

La coreografia della Tevere durante il derby (MANCINI)

Federico Vecchio
08 Novembre 2022 - 12:00

La sensazione, dopo il giovedì di Coppa, è che quegli altri debbano vincere e che a noi, tutto sommato, vada bene pareggiare ("Passaggio del turno e sette punti da qui alla sosta. So’ loro che devono vince"). Ed è con questa convinzione che si approcciano le scale della Tevere. Del resto, se c’è una squadra che può darci fastidio è proprio la loro, che gioca compatta e riparte in velocità. Quindi, dobbiamo fare attenzione, ma poi nemmeno troppa, visto che, senza quei due, non è che facciano tremare i polsi ("Sarri sa come metteli in campo, ma senza Milinkovic e Immobile so’ ’na squadra a metà"). Partono le coreografie, bellissime entrambe (la nostra, che nemmeno alla Bombonera, tanto è avvolgente; la loro, addirittura con l’effige del nonno di quel tifoso, carissimo amico, inventore dell’“ambo romano”, che, ovviamente, da lì a due ore mi avrebbe rinfacciato tutto).

Si inizia. I primi cinque minuti lasciano ben sperare: noi a pressarli e loro, intimoriti, già a giocare con l’orologio. Si capisce subito che il loro obiettivo sia arrivare alla fine senza danni, mentre, per noi, prevale la sensazione che, insomma, quegli altri siano ben poca cosa rispetto a quella squadra quadrata e spumeggiante di qualche giornata fa ("Niente, questi già stanno a perde tempo: hanno capito che nun è aria"; "Dovemo tenelli nell’area loro: se restamo lì, nun escono più"). Poi, però, lentamente la partita prende una piega che non t’aspetti e la prende a partire dal momento in cui Mancini viene ammonito ("St’ammonizione ce rovina, perché adesso, lì dietro, giocano tutti cor magone"). Sta di fatto che, praticamente dal decimo minuto, liberiamo completamente il centrocampo ("Se voi sta ’n po’ da solo, pe’ i fatti tua, tranquillo a pensa’, er posto più indicato è er centrocampo de a Roma"), dove non troviamo più un pallone e nemmeno un nostro giocatore, e lo schema è ridare palla ai difensori che, tra loro tre e il portiere, palleggiano come se fossero depositari di un segreto tattico sconosciuto ai più ("Aho’, dev’esse ’no schema che poi, alla fine, segna Rui Patricio, se no nun se spiega"). E da lì alla frittata è un attimo. Ma nessuno, va detto, se la prende, in maniera particolare, con Ibañez ("Un difensore, daje e daje, po sbaja’"), ma in molti con chi l’ha messo in quella situazione ("Tu je devi da’ ’n’arternativa tattica. La colpa nun è sua, che je s’è annebbiato er cervello, ma di chi j’ha creato ’sto stress de palleggia’, almeno mezz’ora a tempo, dentro l’area nostra").

 Finisce il tempo senza nessun segnale utile a sperare in una ripresa migliore, se non la traversa di Zaniolo. Ma la fiducia è riposta, da un lato, in Mourinho ("Tranquillo, ha già capito tutto: mo se mette a quattro e fa entra’ Matic, Elsha e Volpato") e, dall’altro, proprio in quegli altri, che sì, saranno pure compatti e stretti, ma non ricordano nemmeno lontanamente il Napoli e l’Atalanta, che pure, a lunghi tratti, abbiamo, rispettivamente, ben contrasto e dominato. 
Ma il secondo tempo riparte come il primo, con la sola alternativa di Celik al posto di Mancini ("Nun lo capisco. Vabbè che era ammonito, ma non era quello il problema") e con questa palla che continua a correre indietro piuttosto che in avanti e, in ogni caso, a non passare mai, cascasse il mondo, per il centrocampo, come se i nostri la scuola calcio l’avessero fatta nei corsi serali o per corrispondenza, altrimenti non si spiega (2Ma je l’hanno detto che la palla se pò pure passa’ ar mediano, che mica te fischia er fallo?"). E, al di là di due tre azioni che potevano darci il pareggio, che sarebbe andato bene a tutti, a noi e a loro, tolto un colpo di testa di Smalling che, se inquadra la porta, oggi saremmo stati tutti contenti, la vera occasione capita a loro, con Rui Patricio che ricorda a tutti il motivo per cui un portiere abbia diritto ad usare le mani ("Er portiere deva para’, no segna’"). 
E si scivola, tanto lentamente quanto inesorabilmente, verso la fine. Non senza esserci fatti mancare la bravata del pallone nascosto dalla panchina e l’esultanza di tutta la squadra, dirigenza compresa, sotto la curva. Che ci ha fatto capire quale occasione abbiamo sprecato. Ma così è stato. E le parole di un vecchio abbonato sono la giusta sintesi di quanto accaduto: "Dovevamo vince giovedì, non oggi. E loro dovevano non perde giovedì, non oggi. Ma oggi comunque pe’ noi era mejo nun perde".

E meno male che mercoledì andremo a Sassuolo. E meno male che poi c’è il Torino. Perché questo derby, la sera del 13 novembre, potrebbe essere un lontano ricordo. Aspettando la ripresa e l’Europa League. Noi che possiamo.

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