Pelle Époque
Quella fascia sulla maglia amata, indossata da uomini che attraversano il tempo. Li hai visti mille volte, nemmeno sono conoscenti eppure li consideri fratelli
Ci provi. Chiudi gli occhi e immagini. Emozioni e fiati sospesi. All’unisono. Come in una grande famiglia. Allargata, enorme, ritrovata, di nuovo unita. Dopo tante, troppe sofferenze e divisioni. Ti guardi indietro. Trovi la costante, l’elemento che unisce passato e futuro regalando un presente carico di emozioni. Come quello di Roma-Udinese. Da vivere senza freni, consumandone ogni goccia, assaporandolo fino al midollo. Quella fascia sulla maglia amata, indossata da uomini che attraversano il tempo. Li hai visti mille volte, ogni settimana li rivedi, nemmeno sono conoscenti eppure li consideri fratelli. Loro non lo sanno, ma ti piace pensare che è come se lo sapessero. Perciò li hai sempre difesi. Anche quando sapevi che stavano sbagliando. Non si fa così con quelli ai quali vuoi bene? Poi magari in privato glielo dici. E l’hai detto, tra te e te l’hai detto più di una volta: «Stai facendo ’na cazzata». O gli hai urlato improperi dopo errori di campo. Ma dopo, fuori da quel contesto, guai a chi te li toccava.
Pensieri affini nelle menti dei romanisti. Immaginate ora un salto temporale: la carriera di Di Bartolomei in epoca social. Cosa accadrebbe se chi oggi posta foto e frasi iconiche del Capitano per antonomasia ne seguisse le gesta calcistiche in diretta? Sicuri che estrapolato dal Mito non diventerebbe perfino lui oggetto di dissidi, sfoghi e insulti? Sì, proprio come Pellegrini. E prima di lui De Rossi. O in parte Totti, che l’era del giudizio virtuale l’ha vissuta al crepuscolo della carriera. Eppure i figli di Roma, Capitani e Bandiere in qualche modo ci sono passati tutti. Il chiacchiericcio acre ha soltanto cambiato sede: dal bar ai profili dei dispensatori-non-richiesti-di-perle-da-tastiera. Ma se le frustate verbali se le portava via il vento, quelle delle piattaforme attuali restano a portata di tutti, vengono condivise, screenshottate, girano e si diffondono molto più di quanto meriterebbero.
Perché poi esiste una critica, costruttiva o anche feroce, che è sempre lecita. E nel caso di Pelle, è lui il primo a sapere (e a riconoscere pubblicamente) che il suo rendimento attuale è inferiore alle aspettative, che ha sbagliato più di qualcosa, che il rigore di Rotterdam pesa. Non è certo lesa maestà. Ma l’insulto è altra cosa. Quello personale, poi, appartiene ai liquami putridi che infestano l’aria. Chiamando risposte, sia pure di altro livello. La via maestra l’ha indicata ancora una volta la Sud, indirizzando la squadra e il suo simbolo verso la magia di domenica sera.
Quell’atmosfera che riconosce solo chi ha un cuore romanista. Come Lorenzo. Differente dai suoi predecessori recenti, anche se da loro ha imparato l’arte di indossare la fascia. Non ha la guasconeria di Totti, né la vena di De Rossi, è un altro genere di calciatore, pur essendo un eccellente interprete. E uno degli equivoci che lo attanaglia suo malgrado risiede proprio negli inevitabili paralleli. Che però andrebbero forse ricercati più in Agostino, antidivo come lui. Schivo, quasi pudico nelle dichiarazioni eppure sempre alto nei contenuti. Pronunciati a labbra socchiuse, con espressione seria, ma con la personalità per farsi riconoscere leader. Elementi che li accomunano. Come le tante sfide da Capitani. Cento per Pellegrini. E a volte le cifre non sono aride. A volte trasudano. Sudore, passione, lacrime. A volte parlano d’amore. Per chi non ne comprende il senso profondo, c’è solo da dispiacersi. O anche no.
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