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Due punti - La vera sconfitta sarebbe cambiare

L'editoriale di Piero Torri dopo Barcellona-Roma: la grande vittoria di rimanere se stessi

06 Aprile 2018 - 07:20

Ne abbiamo vissute svariate di sconfitte romaniste. Umilianti, ingiuste, sacrosante, colpevoli, innocenti, ai rigori. In questo senso, abbiamo la pelle vaccinata. Liverpool, Manchester, Bayern, Barcellona. Ecco, Barcellona. Un'altra volta. Solo che stavolta, se si riuscirà a capirlo, tutto è stata meno che una sconfitta. Proviamo a spiegarlo. Cominciando da quello che abbiamo visto. Solo che nel noi non è compresa la poliziesca quaterna arbitrale sbarcata a Barcellona dal paese dei mulini a vento. Troppo vento, deve aver avuto ripercussioni sulle diottrie olandesi. Non lo diciamo per trovare giustificazioni o fornire alibi alla nostra Roma. Lo diciamo per il semplice fatto che è accaduto. Non facciamo finta di niente, ma non ci tuffiamo con malizia sospetta su assenze pallottiane, non faremmo mai servizi televisivi in cui scompaiono due calci di rigore (sul primo c'era anche l'espulsione di Semedo) non dati alla Roma, non useremmo per nessun motivo questa sconfitta per patetiche rivincite da piccoli uomini, dimenticando lo scempio catalano. Qualche anno fa, quando gli americani erano a Boston, potete giurarci che avremmo visto titoli del tipo Roma defraudata, Roma scippata, date alla Roma quello che è della Roma. Non accade più, forse perché anche qui a casa nostra in molti non vogliono più bene alla Roma, pure quando non ci sarebbe nessun bisogno di arrampicarsi sugli specchi per sostenere una tesi, perché sarebbe stato sufficiente raccontare la semplice e pura verità.

La premessa ci sembrava d'obbligo, soprattutto dopo aver preso atto che tutti, o quasi, hanno fatto finta di niente per il solo piacere di fare pollice verso nei confronti della Roma. Ci dissociamo, forse per il semplice motivo che vogliamo bene a quei colori, a quella maglia, a quei tifosi che non sarai mai sola. La Roma, non c'è dubbio, a Barcellona ne ha commessi parecchi di errori. Gli autogol, peraltro di una sfiga ai confini della realtà, lo stop sbagliato di Gonalons, le quattro pappine, il risultato senza appello, tutto quello che volete voi, anche se vi consigliamo di non dimenticare mai che di fronte c'era il Barcellona con annessi e connessi, arbitri compresi. Abbiamo letto: il peggior Barcellona degli ultimi anni. Solo che a questi superficiali osservatori di calcio e dintorni, mica è venuto il dubbio che i catalani dimessi dell'altra sera si sono trovati di fronte una Roma capace di sorprenderli, con il coraggio necessario per andare a sfidarli sul loro campo, una Roma in grado di non tradire l'identità che si sta costruendo. Per questa ragione la sconfitta di Barcellona è stata la meno sconfitta di sempre. La Roma non ha tradito se stessa, ha continuato a camminare sulla strada intrapresa da quando è arrivato Eusebio Di Francesco. È stata se stessa. E questa è stata una grande vittoria.

Non vogliamo consolarci con l'aglietto. Le quattro pappine e gli errori arbitrali sono lì, agli atti. Ma agli atti ci sta anche la Roma che va a pressare alto il Barcellona, la Roma che ridimensiona Messi con l'organizzazione tattica, la Roma che ha guardato negli occhi gli avversari senza paura, orgogliosa di essere se stessa, convinta che il cammino intrapreso è quello giusto. Lo stesso che si provò a fare quando arrivò Luis Enrique. Allora durò lo spazio di una stagione, poi l'hombre vertical si arrese di fronte ai cialtroni e ai delinquenti di una piazza che più che calcio mastica amaro, orfana di privilegi, telefonate confidenziali che puzzano di astratta corruzione, biglietti di tribuna d'onore, salotti, circoli, amici degli amici, incapace anche solo di comprendere cosa voglia dire amare la Roma. Ecco, non ripetiamo lo stesso errore. Chi scrive sarà pure un folle sognatore, ma a Barcellona io ho visto il futuro. E non solo perché chi tifa Roma non perde mai.

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