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Atletico Madrid-Roma, in trasferta con tremila cuori

Tanti sostenitori giallorossi in giro per le vie di Madrid dai giorni scorsi. La speranza di sfatare il tabù Atletico e festeggiare il passaggio del turno

22 Novembre 2017 - 11:00

Un luogo strano, di quelli che possono non essere apprezzati la prima volta che ci si imbatte, per rubare le parole ad Ernest Hemingway. Madrid per i romanisti è gioia e dolori, ricordi indelebili scolpiti nella mente e nei cuori e delusioni cocenti, sogni svaniti e recriminazioni. Come quelle di una notte di marzo di fine millennio, una serata di Coppa Uefa e dopo sessanta secondi il rigore non concesso dal francese Sars per un fallo di Toni su Paulo Sergio. E poi ancora il colpo di testa della meteora Josè Mari a batter Chimenti e il raddoppio di Roberto a pochi secondi dall'inizio della ripresa,prima della punizione-bomba di Gigi Di Biagio e l'attesa per una gara di ritorno che rimanda la mente ad un Van der Ende e ad un punteggio praticamente identico, ma tristemente opposto. Era in campo quella notte Eusebio Di Francesco mentre la Roma usciva sconfitta dal Vicente Calderon nell'andata dei quarti di finale, e con lui un giovane nuovo dirigente ancor più giovane e bello all'epoca, come si confà ad ogni eroe. Erano in tantissimi i romanisti sugli spalti quella sera e saranno altrettanti nell'avveniristica dimora dei Colchoneros. "Materassai" perché questi dopo la Guerra Civile usavano ricoprire i loro manufatti con ampi teli dalle frange rosse e bianche. E quale luogo migliore da visitare dopo un sabato da sogno. Una città che gli antichi romani erano soliti chiamare Ursuria per via del viavai di orsi che scorrazzavano nelle campagne e che poi, in seguito alla conquista, venne ribattezzata Magerit dagli arabi. La città dei lunghi corsi d'acqua che domina l'Europa dall'alto dei suo seicentocinquanta metri sul livello del mare, la più elevata delle capitali del Vecchio Continente.

Li vedi camminare con la speranza nelle tasche e una passione che non ha bisogno di esser celata, i romanisti. Sono arrivati a partire dalle prime luci di ieri perché l'amore non ritarda mai, anzi porta ad anticipare le azioni. Ad aspettare, ché poi in spagnolo ci sarà un motivo se si traduce in "esperar". Bighellonano fra le vie cittadine e sotto i portici punteggiati di negozi e locali, pittori e ambulanti nelle piazze, la movida del quartiere Malasaña, il "quartiere delle meraviglie" e la città vecchia a Lavapies. Rumorosi come una metropoli in cui le persone sembrano andar sempre di fretta come se rischiassero di perdere qualcosa. E di rischi questa sera ce ne saranno da entrambe le parti: il salutare la competizione o gioire con una inaspettata giornata d'anticipo, oppure rinviare il tutto ad una fine non pronosticata, palpitante. Tremila cuori che battono all'unisono e il rumore di quelle vibrazioni a scandire il tempo come l'orologio che sovrasta Puerta del Sol. "Ciccio Cordova, Amarildo, DelSol: ogni tiro è un gol" cantavano i romanisti nei primi anni ‘70 ammirando le gesta di quel "postino" castigliano che dal centro del campo dispensava palloni a profusione, indossando la fascia ereditata dal connazionale Peirò e che, prima di far rientro a casa, alzò al cielo un trofeo consegnato dalla moglie del compianto Armando Picchi in una lontana serata di giugno e davanti ad un Olimpico stracolmo. Puerta del Sol, e se la porta lui allora non può che essere un qualcosa di positivo.

Lì dove partono tutte le strade della nazione, il chilometro zero di Spagna davanti agli occhi di chi macina chilometri con la Roma in fondo al cuor. Il luogo in cui alla mezzanotte di Capodanno si riunisce tutta la città per sentire i dodici rintocchi del Reloj,con le ore scritte in un errato latino e il quattro "iiii" anziché "iv ". Esorcizzano l'attesa aspettando gli ultimi che in giornata arriveranno per star con lei. Cantano squarciando il silenzio notturno, come per scacciar via i fantasmi di un passato che vede nell'Atletico Madrid una squadra al momento mai battuta in una competizione ufficiale. Lì dove la leggenda narra passassero le streghe su Calle de Segovia e il fantasma di Elena, amante del futuro Felipe II, vaghi nei sotterranei della Gran Via che vide Francisco de Goya dipingere le sue Pitture nere. Hanno portato i colori di Roma invadendo aerei e condividendo taxi per ridurre la spesa e passare il tempo con sconosciuti divenuti amici nel tempo di uno sguardo. In quella città dove gli abitanti son soliti elogiare la loro grandezza utilizzando i versi del drammaturgo Luis Quiñones de Benavente. "Desde Madrid al cielo", un detto da ribaltare. Perché in tremila sono arrivati dal cielo per popolare quel piccolo spicchio posto nel punto più alto del Wanda Metropolitano. Chi scenderà sul manto verde potrà alzare lo sguardo per vedere il giallorosso far da padrone dove tutto è bianco, rosso e blu. Chi non sarà presente non farà poi tanta fatica. Basterà alzare il volume e sentire quella melodia dall'incipit immutabile. Quando l'inno s'alzerà.

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