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cogito ergo sud

Angeli, no, di più: uomini

Un gruppo di ragazzi ha fatto scudo alla morte. Quando si dice che il calcio è vita si dice quello che la Danimarca ha fatto ieri. Si dice, e per tutti oggi la vita ha ancora il nome di Christian Eriksen

I compagni di Eriksen gli fanno scudo dopo il malore

I compagni di Eriksen gli fanno scudo dopo il malore

13 Giugno 2021 - 06:29

Kasper Schmeichel, Daniel Wass, Simon Kjaer, Andreas Christensen, Joakim Maehle, Pierre Emile Hojbjerg, Thomas Delaney, Yussuf Poulsen, Jonas Wind, Martin Braithwaite. E Christian Eriksen. Da ieri, nomi che andrebbero imparati a memoria come le grandi formazioni del nostro calcio.
Attorno a lui sembravano uno stuolo d'angeli, invece erano "solo" una squadra. Quell'immagine ha una valore enorme: racconta l'umanità. La nostra condizione di caducità, la nostra estrema fragilità e il compito di farne qualcosa di esemplare, di vero. Persino di eterno. Qualcosa come la Ginestra di Leopardi, quel fiore che nasce sulle pendici di un vulcano e sboccia malgrado il deserto e malgrado sfiorirà presto.

Un gruppo di ragazzi che si mettono attorno a un loro compagno, un ragazzo come loro, a fargli scudo. Hanno fatto scudo alla morte. L'umanità contro la fine. La speranza disperata, la fragilità che però si erge sul ciglio su quel limite che si attraversa una volta sola e poi non più. Si sono messi lì naturalmente, spontaneamente, rigidamente, come a proteggere Christian, come a dirgli ci siamo, come a fermare tutto quello che stava accadendo e che purtroppo pareva ineluttabile, come a non saper far altro, come a non poter far altro: era insieme così clamorosamente tenero e inutile eppure assolutamente la cosa più forte, commovente, giusta, santa da fare.

Hanno detto no alla spettacolarizzazione del dolore, perché certe immagini devono restare un tabù, anche perché è attraverso le loro facce, le loro lacrime (Delaney inconsolabile, Christensen a difendere anche il suo pudore mentre difendeva il pudore di Eriksen) la loro disperazione, i loro silenzi, le loro preghiere a qualsiasi dio, che noi abbiamo visto molto di più di quanto qualsiasi telecamera avrebbe mai potuto mostrarci. La speranza e la disperazione, l'angoscia e l'amore. Ecco perché le polemiche sul fatto che abbiano ripreso a giocare non hanno senso se è vero (ovvio che questa sia la condizione fondamentale) che sono stati loro a volerlo. Loro hanno letteralmente visto la morte in faccia, non per modo di dire, ne avranno avuto il diritto no di tornare alla vita?

Kjaer cazzo, soprattuto Kjaer che è intervenuto subito sul compagno, che si è messo lì di schiena al mondo a guardarlo mentre inerme lottava. Senza distogliere mai lo sguardo. Kjaer e Schmeichel, il portiere, che era quello che riusciva a stare meno fermo, lo guardava e guardava fuori. Lui e Kjaer sono andati ad abbracciare l'amore di Christian. Chi ha fatto questo se ha deciso di rigiocare va rispettato, anzi, va ascoltato. Si parla di esempi, eccoli. Siamo stati felici tutti noi davanti alla tv quando abbiamo saputo che Eriksen era vivo. A un certo punto pareva impossibile. Siamo rinati un po' anche noi. Pensa loro. Pensa lui.

Quando si dice che il calcio è vita si dice quello che la Danimarca ha fatto ieri. Si dice, e per tutti oggi la vita ha ancora il nome di Christian Eriksen. Attorno a lui sembravano uno stuolo d'angeli, invece erano qualcosa di più: uomini.

(Tonino Cagnucci)

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