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Attilio Ferraris IV, il leone di Borgo Pio: un campione che amava i bambini

115 anni fa nasceva il primo capitano romanista: nell’immaginario collettivo è il simbolo di uno stile di vita, ma il tempo ha consolidato uno stereotipo

Attilio Ferraris IV visto da Fabio \

Attilio Ferraris IV visto da Fabio "Hot Stuff" Redaelli

25 Marzo 2018 - 07:55

Non ne dovrei proprio parlare perché sono in asta, e la pubblicità fa crescere il prezzo... ma l'anniversario di Attilio Ferraris impone una deroga alla regola aurea di ogni collezionista. E quindi - ecco il fatto - a una ricognizione su e-bay salta fuori Attilio Ferraris rappresentato in una "Figurina in metallo litografato, Anni 20". Si tratta di un dischetto di metallo che raffigura Attilio con indosso il cardigan del primo tour internazionale della storia della Roma, quello del marzo 1929, che si vede spesso nelle fotografie scattate prima della gara contro il Club Francais allo Stadio di Buffalo. Mi sono fermato a pensare quanto si sarebbe divertito Attilio Ferraris IV, di cui domani ricorre il 114esimo anniversario della nascita, nel vedere che la sua immagine a più di un secolo da quando vide la luce "in Borgo" è rimasta un'icona, non solo di un calciatore: perché questo potesse compiutamente accadere avremmo avuto bisogno delle immagini (e invece abbiamo solo pochi fotogrammi, troppo poco per farci un'idea "visiva" del suo stile di gioco), ma direi soprattutto di un uomo.

Uno stile di vita

Attilio Ferraris IV, nell'immaginario collettivo è il simbolo di uno stile di vita, di un modo di pensare e vivere il calcio. Tutto questo è bellissimo, anche se un po', la patina del tempo ha imposto e consolidato uno stereotipo, che come tutti gli stereotipi è parziale e inevitabilmente incompleto. A me la cosa fa un po' arrabbiare, come quando mi ritrovo a combattere con i miei studenti su Giacomo Leopardi: «A Professo', ma chi, quello pessimista?». Leopardi? Inizia allora a spiegare, illustrare, problematizzare… Leopardi è stato mille cose diverse e racchiuderlo in una sola dimensione è ridicolo. Un po' come pretendere di riassumere l'intera vita di una persona in un'unica fotografia. Non importa se scattata a Carnevale o la sera di Natale. Lo stesso discorso, in dimensioni e carature diverse, riguarda Attilio Ferraris: «Quello che giocava a biliardo e non andava a dormire la notte per poi essere il migliore in campo?». Fu anche questo Attilio, si, ma è inaccettabile non spiegare che fu anche tanto altro. Scrivere un articolo sull'anniversario di Ferraris, significa anche provare a dire qualcosa di diverso e, poco ma sicuro, a provarci, io ci provo.

Il bambino e il campione

Parto da una foto del 18 settembre 1932: mostra Attilio Ferraris mentre sul litorale della spiaggia di Ostia, nel costume dell'epoca, tiene la mano a un bambino (dell'età apparente di non più di 5 anni), così emozionato nell'averlo davanti a sé da essersi sciolto in lacrime. La didascalia che accompagna la foto de Il Littoriale dice: «Per i tifosi adulti l'ammirazione per un'atleta sconfina nel fanatismo; per i bimbi, invece, è venerazione e insieme desiderio di emulazione. Ecco qui Ferraris, sorpreso dall'obiettivo mentre, sulla Spiaggia del Lido di Ostia si intrattiene con un piccolo tifoso giallorosso che l'ha chiamato per nome: ‘Come hai fatto a riconoscermi?', ha chiesto il capitano della Roma. Il frugoletto ha risposto: ‘Perché papà legge i giornali sportivi e su questi c'è spesso la tua fotografia' (il piccolo però non sa che papà Saraceni, vecchio dirigente della Fortitudo, è tra coloro che hanno assistito al battesimo sportivo dell'oggi tanto celebrato Attilio».

Quando ho visto per la prima volta quest'immagine, ad agosto dell'anno scorso, sono rimasto folgorato. Si vede in Ferraris IV un piglio paterno, una dolcezza e un'attenzione verso i bambini che è sempre stato un tratto fondamentale della sua personalità. Quando ebbi occasione di parlarne con la sorella, Jolanda, me lo aveva raccontato: «Era gioviale e aveva un grande amore per la sua famiglia. Adorava i bambini. Quando seppe che aspettavo, scherzando, mi disse: ‘Jolanda, questo ce lo dai a me e a mia moglie, eh?'. I ragazzini lo intenerivano. Non hai idea di quante volte, tornando dalle trasferte della Nazionale, veniva sommerso da questi piccoletti che gli chiedevano una foto, un autografo. Lui apriva la valigetta e gli dava regolarmente la maglia azzurra. Era di una enorme generosità. Di nascosto portava tante persone a casa che si lamentavano di non avere un vestito e regalava a tutte uno dei suoi completi. Era fatto così». Questo altruismo profondo, mal si sposa con lo stereotipo del campione tutto "genio e sregolatezza" che la vulgata ha costruito, e semplicemente è stato ritagliato da ritratto di Ferraris IV, cosa che amareggiò profondamente i familiari che lo avevano avuto accanto per una vita. Vittorio Finizio, giornalista a cui va riconosciuto il ruolo istituzionale di unico, insuperabile e irraggiungibile biografo di Attilio, di questa sua grandezza d'animo ha invece sempre scritto, ivi compreso nel capolavoro assoluto della storia della letteratura calcistica giallorossa: «Il leone di Highbury» (una preghiera che giro al Centro Studi dell'UTR: ristampiamolo subito).

Qui la seconda parte

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