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19 marzo 1996

Roma-Slavia Praga 3-1: quell'urlo che restò strozzato in gola

Dal sogno all'incubo: Giannini al passo d’addio fa 2-0 all’83, ai supplementari segna Moriero e sembra fatta ma Vavra spegne l’entusiasmo a 7 minuti dal trionfo

19 Marzo 2020 - 12:49

Immaginate se nei minuti finali di Roma-Barcellona, nell'indimenticabile quarto di finale di Champions del 10 aprile di due anni fa, i blaugrana avessero segnato il gol della qualificazione nel finale, magari con un tiro dal limite assai casuale dopo rinvio del portiere rimbalzato in maniera altrettanto casuale.

Lo sentite il gelo? Ecco, è proprio quello che scese sull'Olimpico più o meno intorno alle 23 del 19 marzo 1996, esattamente 24 anni fa, quando un signore con uno strano bisillabo per cognome, Vavra, batté l'insuperabile Cervone con un gol proprio con quelle modalità dopo 2 ore e mezza di battaglia che stava garantendo, ai supplementari, a una Roma stremata le semifinali della Coppa Uefa di quell'anno.

Svanì tutto con quel tiro: la semifinale, l'impresa della qualificazione, la magica atmosfera dell'Olimpico, la favola della partita di Giannini, persino l'onore dell'Italia che con l'eliminazione della Roma e quella assai clamorosa del Milan col Bordeaux non portò al penultimo atto nessuna delle sue rappresentanti in una competizione che negli ultimi sette anni era stato terreno di conquista italiana, con sei vittorie e un secondo posto.

Via i romani

E fu un vero peccato per una squadra, la Roma di quell'anno, che non era attrezzata per quelle vette, ma che alla fine arrivò comunque quinta in campionato, prima dell'ennesima rivoluzione (basta con i romani, via Giannini, via Mazzone, ecco Carlos Bianchi) che però non migliorò la vita dei tifosi giallorossi.

Sbocciò definitivamente Totti in quella stagione (alla prima convocazione in Nazionale) a raccogliere simbolicamente l'eredità di un Principe stanco che visse proprio la serata con lo Slavia Praga provando le più belle e contemporaneamente le peggiori emozioni della sua lunga e onorata carriera giallorossa.

C'è da chiedersi perché nella storia dei romanisti ci sono state più serate da Vavra che di gloria, ma a questi quesiti, che peraltro hanno concimato il terreno su cui hanno proliferato i mainagioisti ormai in servizio permanente effettivo, non c'è risposta: semmai c'è da lavorare per cambiare il destino prossimo venturo e riflettere sui motivi per cui certe serate sono state vissute, come abbiamo l'opportunità di fare noi che stiamo rivedendo certe partite storiche attraverso il grandioso archivio di footballia.net e le rianalizziamo con gli occhi più smaliziati di oggi per rifletterci su.

Sliding doors

Per esempio: poteva quella squadra vincere un trofeo quell'anno? Se fosse andata avanti avrebbe avuto la possibilità di arrivare addirittura in finale? Lo Slavia fu accoppiato proprio al Bordeaux che aveva ribaltato il risultato col Milan proprio come non era riuscito alla Roma, 2-0 a San Siro, e 3-0 al ritorno: era una squadra molto forte quella francese, con Lizarazu terzino, Dugarry in attacco e il giovane Zidane come astro nascente, battè lo Slavia in semifinale con una doppia vittoria, ma in finale perse male col Bayen Monaco.

Chissà come sarebbe stata la storia, chissà se sarebbe cambiato il percorso alla Roma di Mazzone e quello di Giannini che arrivò a quella sfida con lo Slavia Praga caricato da una serie di suggestioni che poi gli si ritorsero contro. E nonostante l'evidente ingiustizia del risultato, il rapporto tra la squadra e la tifoseria si sfaldò (di pochi giorni dopo lo striscione in curva «Fonseca coniglio, Balbo suo figlio») anche se uno splendido finale di campionato (sette vittorie nelle ultime nove) ridiede lustro al torneo e calmò le acque. 

Non molleremo mai

L'ennesimo pienone di serata portò 63859 spettatori allo stadio quella sera di 24 anni fa. Aveva piovuto tutta la giornata, non come in queste giornate calde da Coronavirus. Ma quando le squadre scesero in campo, agli ordini del teatrale arbitro bulgaro Ouzonov, il cielo si schiarì quasi in segno di rispetto per la fantastica scenografia che disegnò agli occhi dei tifosi della Monte Mario e di quelli collegati attraverso la tv la mastodontica scritta «Non molleremo mai», distribuita in tre settori, dalla Nord alla Sud passando per la Tevere.

Roba da far sgranare gli occhi e magari togliere qualche certezza ai cechi che si presentarono all'Olimpico forti del successo dell'andata per 2-0. Avevano segnato Poborsky (quell'attaccante veloce e tecnico che poi giocò con la Lazio e nel 2016 ha rischiato di morire per via di una zecca nella barba...) e Vagner con il decisivo contributo di Cervone, sfortunato protagonista all'andata quanto poi sarebbe stato decisivo stavolta in senso positivo per la Roma al ritorno, almeno fino al gol spaccacuore.

All'andata non aveva giocato Aldair ed era pure stato espulso Petruzzi, un altro prodotto del vivaio che caratterizzava quella Roma di Mazzone, che da Giannini a Totti aveva pure un'altra serie di ragazzi più o meno dotati tra titolari e riserve, tra cui Cappioli, Statuto, Scarchilli, Berretta, Cherubini. E tra i romani c'era pure Di Biagio, che passerà attraverso Bianchi e diventerà poi l'architrave del centrocampo di Zeman.

Del resto l'attenzione al vivaio e al settore giovanile è rimasta tratto comune di ogni proprietà che si è succeduta negli anni, da Viola a Sensi per finire a Pallotta. Proprio quell'anno, poi, la Roma conquistò lo scudetto nazionale della categoria Giovanissimi con Tempestilli in panchina, capace di battere nella finale scudetto la Juventus allenata da un giovanissimo Gian Piero Gasperini.

Il quadro tattico

Il calcio ci stava cambiando sotto gli occhi, già allora non era più concepibile per una squadra con ambizioni di vertice puntare tutto su catenaccio e contropiede e anche Mazzone provò a modernizzare il suo credo, tanto che quella sera presentò uno schieramento sin troppo sbilanciato che riequilibrò nel secondo tempo con mosse comunque tutte azzeccate.

La squadra iniziale contava su tre difensori, quattro centrocampisti con chiare propulsioni offensive e due punte assistite da Totti. Una sorta di 3412 a trazione offensiva, con Annoni, Aldair e Lanna davanti a Cervone, con Moriero, Di Biagio, Giannini e Carboni in seconda linea, e il giovane Totti alle spalle dei due bomber per antonomasia, Balbo e Fonseca.

Non era utilizzabile Delvecchio, arrivato nel mercato di gennaio e già inserito nelle liste Uefa dall'Inter. Il ceco Frantisek Cipro a dispetto di una nomea offensiva presentò invece una squadra bloccata con dieci giocatori a far blocco difensivo e con il solo velocissimo Smicer sguinzagliato nella metà campo avversaria.

In campionato era primo con otto punti di vantaggio, in Europa si era guadagnato rispetto vincendo prima della sfida dell'Olimpico quattro partite su quattro in trasferta nei precedenti turni. Sentiva di avere lo stellone dalla sua parte e la serata romana lo confermerà. Hysky su Fonseca, Suchoparek su Balbo e Lerch su Totti le marcature decise.

La Sud parlava attraverso uno dei suoi striscioni più rappresentativi: "Una fede... una volontà... un traguardo... vincere malgrado tutto". In Nord spiccava "Roma, solo Roma, Roma e basta". Mazzone, intabarrato dentro un enorme piumino lungo verde e bordeaux, rimase in piedi tutta la partita, con i bordocampisti a descriverne instancabilmente il furore.

La cronaca del primo tempo

La Roma parte all'attacco e dopo 46" ha la prima occasione, con un colpo di testa di Lanna alto di poco. Ma il difensore davanti alla sua area non sembra sicurissimo e al 5' regala un disimpegno a Penicka, ma sul rimpallo interviene a risolvere Cervone.

Il portierone romanista diventa protagonista due volte nel primo tempo, subito ancora su Penicka e al 35' su Poborsky, riscattando così le papere della partita d'andata. Ma la partita la conduce la Roma, sempre con tanti uomini a seguire la manovra offensiva, con Giannini alla prima impostazione, Totti alla rifinitura, le due punte sempre vicine e Moriero e Carboni a correre sulle fasce. Balbo sfiora il vantaggio al 17', Carboni si emoziona tutto solo al 20', poi prima dell'intervallo un gran sinistro di Di Biagio viene deviato da Suchoparek e inganna Stejskal, ma il palo salva lo Slavia.

La cronaca della ripresa

Mazzone lascia Fonseca negli spogliatoi e inserisce Cappioli. Il pubblico sussulta per un paio di episodi da possibile rigore, dalla Tevere parte una bottiglietta che l'arbitro bulgaro raccoglie e poi, con una corsetta molto scenografica, trasborda fino alla tribuna opposta per consegnarla nelle mani del quarto uomo, tra i fischi dell'Olimpico.

Nonostante i compiti da rispettare, è inevitabile che la Roma si sbilanci e al 14' è ancora Cervone a frapporsi tra lo Slavia (con Smicer) e la fine prematura del discorso qualificazione. Serve la svolta e arriva con Moriero che all'improvviso, da posizione centrale, diventa un folletto imprendibile per i poveri cechi. Al 16' il gol che riaccende le speranze proprio quando si cominciava a dubitarne, con un poderoso destro dal limite in diagonale a finire proprio nell'angoletto opposto.

Due minuti e ancora lui tenta il bis con lo stesso tiro, stavolta è Stejskal (che aveva difeso la porta della sua Nazionale proprio all'Olimpico contro gli Azzurri a Italia '90) a superarsi e a mandare in angolo. E al 20' è ancora Moriero a cercare il gol, stavolta di sinistro, ancora sul portiere. Entra Statuto, non per Annoni, come Mazzone aveva annunciato prima del gol, ma per Di Biagio, poi entra un certo Vavra e sul momento nessuno ci fa caso, ma a rivedere la sostituzione oggi un brivido di risentimento l'abbiamo sentito.

La partita si avvia verso la fine e un episodio sembra portarla dalla parte giusta: all'83' c'è una punizione dalla trequarti per la Roma, spostata sulla destra. Sembra volerla battere Aldair, ma poi lascia il compito a Carboni: Giannini, calcisticamente una mente superiore, si sposta dunque sulla verticale del compagno di squadra, lasciando tutti gli altri ad ammassarsi al centro. Lui sa che lì può arrivare la palla che nessuno si aspetta e infatti Amedeo calcia una parabola forte e arcuata verso la porta che arriva giusta sulla testa del Principe a cui basta toccarla leggermente per ingannare il portiere.

A un metro dalla riga c'è pure Annoni che cerca a sua volta di toccare la palla: se lo avesse fatto, sarebbe stato annullata la prodezza per fuorigioco, per fortuna non ci arriva. Il boato è fragoroso, Peppe si toglie la maglia e raggiunge il punto della curva più vicino alla Monte Mario per poter correre sventolando il vessillo/bandiera lungo tutto l'arco della Sud, rincorso a distanza da Totti, a immortalare un'immagine simbolica che ancora oggi emoziona. "E poi c'è chi non crede nelle favole" dice Icardi, seconda voce al fianco di Cerqueti. Proprio Totti al 90' avrà addirittura la palla della qualificazione, ma il suo destro terminerà fuori. E si ricomincia con i se e con i ma...

I supplementari

Alla fine dei 90' di gioco il cartellone dice 23 tiri a 8 per la Roma, 69% di possesso palla contro 31, 11 corner a 0. E sembra fatta quando al 10' del primo tempo supplementare Totti indovina un meraviglioso corridoio per Moriero che corre e infila Stejskal. È l'apoteosi, ma bisogna far passare ancora venti minuti, provando a fare il quarto che chiuderebbe ogni discorso senza rischiare però di prenderne uno.

E non rischierà la Roma, ma nessuno può ravvisare l'insidia su un rinvio del portiere a difesa schierata: e invece il caso vuole che Aldair devii di testa quel rinvio e lo depositi giusto dalle parti di Vavra, che fa un passo e, sull'incombere di Lanna, tira dritto per dritto, beccando una strana traiettoria che passa tra le gambe del difensore e s'infila alla destra di Cervone, impassibile.

"Un rasoterra assassino", lo definisce Cerqueti. A morire sono i romanisti che trenta secondi prima avevano disegnato una fantastica sciarpata in tutti i settori e adesso hanno riposto tutto per seguire increduli gli ultimi sette minuti che invece arricchiranno il bagaglio dei managioisti.

Perché l'episodio al 116' minuto è davvero bizzarro (angolo di Giannini, torre di Aldair verso quattro giocatori della Roma praticamente soli in area, e sono quattro per davvero porca miseria, ma invece di far la conta per capire a chi potesse toccare l'onore del gol della gloria si avventano insieme sul pallone, così Balbo lo sfiora e lo toglie a Carboni che lo stava per infilare di testa in porta, a un metro dalla linea) e la dice lunga sul rispetto che il destino porta a questa squadra. Ma cambierà, ah se cambierà...

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