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Quando Amadei fu squalificato a vita perché non volle fare la spia

Nella semifinale di Coppa Italia del ’43 col Torino fu accusato di aver colpito il guardalinee. Radiato, poi riammesso per un'amnistia, non fece mai il nome del responsabile

L'omaggio di De Rossi ad Amadei dopo la morte dell'ex centravanti nel 2013, di LaPresse

L'omaggio di De Rossi ad Amadei dopo la morte dell'ex centravanti nel 2013, di LaPresse

18 Gennaio 2019 - 17:18

C'è stato un tempo in cui Roma-Torino valeva tutto. Per certi versi quella con i granata è la partita della nostra storia, quella che più di ogni altra rievoca alle nostre menti ricordi indelebili: dal primo trionfo in Coppa Italia, alla festa Scudetto del 15 maggio 1983, dalle due finali consecutive di Coppa Italia di inizio Anni 80 al gol di Totti il 6 gennaio 2002, nel giorno in cui la Roma riceve la Coppa per lo Scudetto conquistato nella stagione precedente.

Contro il Torino abbiamo battagliato per conquistare il primo tricolore della nostra storia. Siamo gli ultimi a vincere, prima che il Grande Torino cannibalizzi gli Anni 40 con cinque vittorie consecutive in Serie A. Masetti, Krieziu, Amadei e gli altri, guidati da Alfred Schaffer, lottano punto su punto con i piemontesi fino al termine della stagione: è la prima volta che lo Scudetto va a una squadra che non sia del Nord Italia. L'anno seguente, però, i giallorossi non riescono a riconfermarsi, e ad andare in fuga è il Livorno. Ma il cambio sulla panchina granata - con Janni che subentra all'ungherese Kuttik - dà la scossa a Mazzola e compagni, che il 25 aprile del 1943 si laureano campioni d'Italia per la seconda volta nella loro storia, quindici anni dopo la prima vittoria.

La semifinale

Roma e Torino si ritrovano l'una di fronte all'altra in semifinale di Coppa Italia, circa un mese dopo l'aritmetica conquista dello Scudetto da parte degli uomini di Janni. Anche sulla panchina giallorossa c'è stato un avvicendamento: via l'austriaco Schaffer, artefice del nostro primo trionfo, dentro l'ungherese Kertesz. Rassegnata fin dall'inizio della stagione (chiusa al nono posto in classifica) a dover cedere il tricolore, la Roma lo veste però con orgoglio il 23 maggio 1943 allo Stadio Filadelfia, decisa più che mai a vendere cara la pelle e a portare a casa per la prima volta la Coppa Italia. Krieziu, Amadei e Pantò - tra i principali artefici della cavalcata dell'anno prima - guidano in campo i compagni.

Il primo tempo termina con i padroni di casa avanti per 1-0 (rete di Loik): quando la Roma rientra negli spogliatoi, ad attendere i giocatori ci sono undici forbici, tutte in bella mostra sul tavolo. Il messaggio dei granata è chiaro: «Tagliate il tricolore dalle vostre maglie, perché ora i Campioni siamo noi». I nostri - comprensibilmente - non la prendono granché bene: quando riprende il gioco, la partita diventa di colpo a senso unico, con i giallorossi che cingono letteralmente d'assedio gli avversari. Il pareggio arriva dopo 16' grazie a Dagianti, ma ai giallorossi non basta: vogliono vincere ad ogni costo. E lo meriterebbero anche, se all'83' Ossola non segnasse un gol in fuorigioco per i granata. Il guardalinee, Massironi di Milano, sventola la bandierina. Come se non bastasse, la palla probabilmente non ha neanche varcato la linea.

Tutta la Roma protesta con il direttore di gara, Achille Pizziolo, fin quasi a trascinarlo dal guardalinee. I granata spingono per la convalida. Si crea un parapiglia, vola forse qualche spintone, Massironi viene colpito alle gambe e cade a terra, proprio mentre Amedeo Amadei si trova a passare di lì. Oltre a Mornese e Ferraris, quindi, l'arbitro espelle anche il "Fornaretto", che però non ha fatto assolutamente nulla. In nove, la Roma subisce un altro gol, con i giocatori fermi in segno di protesta. Il portiere giallorosso butta fuori il pallone due volte, non ci sta: il direttore di gara sospende il match a 2' dalla fine, quindi a tavolino verrà assegnata la vittoria per 2-0 al Toro. Il direttorio federale, nonostante le tante testimonianze - anche di giocatori granata - scagionino Amadei, decide per la squalifica a vita del centravanti romanista. Per la precisione: squalificato a vita «in attesa che si conosca il nome del vero responsabile». Perché il maggiore Ventura crede all'innocenza di Amadei, ma gli chiede di fare il nome del responsabile per scagionarlo: Amedeo non ci sta a fare la spia e viene punito per colpe non sue. La squalifica viene sospesa nel '44, quindi resa nuovamente esecutiva, fino a quando l'amnistia generale permetterà al "Fornaretto" di tornare a giocare.

Figlio di Roma, capitano e bandiera, il "Fornaretto" lascerà i colori giallorossi nel 1948, quando il club - in seria difficoltà economica - lo cederà all'Inter. Lui, però, chiederà di non essere schierato contro quella che è sempre stata (e sarà sempre) la sua squadra. Un po' come per la squalifica, in cui non se la sente di incolpare un compagno, Amadei dimostra per l'ennesima volta che andare contro il proprio cuore, e quindi contro la Roma, è impossibile: perché tradire quella Roma significherebbe tradire se stessi.

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