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Avallone: un batterista alla corte di Magni

Interprete e regista sul palcoscenico dei grandi film su Roma. È uno dei pochi “partigiani” che difende la passione per i classici

15 Gennaio 2018 - 17:20

Chi ama il teatro non può non andare a trovare Avallone e bearsi della sua recitazione. Chi ama la Roma non può che sentirsi a casa sua al "Teatro dell'Angelo", fin da quando arriva agli stipiti dell'ingresso e ci ritrova colorata la propria anima. E chi adora Luigi Magni, i film in costume che ci ha regalato e la romanità tramandata a piene mani, deve assolutamente correre a vedere la trasposizione teatrale di "Nell'Anno del Signore" che Avallone ha portato in dicembre per la terza volta sul palco (allargato per l'occasione fino a parte delle prime file della platea per coinvolgere maggiormente lo spettatore nella scena) e che terminerà le sue repliche il 21 sera, domenica. Tra l'altro il venerdi 19 la serata sarà speciale perché saranno presenti in sala il figlio di Nino Manfredi, Luca e la vedova del nostro grande attore Erminia, che per l'occasione dirà qualche parola in ricordo. Serata speciale dicevamo perché parte dell'incasso sarà devoluto alla Associazione "Viva La Vita" che si occupa del miglioramento dell'assistenza domiciliare nelle attività di formazione e informazione sulla "SLA", tremenda malattia che , tra gli altri, ci ha portato via Nino anzitempo.

A Luigi Magni Antonello Avallone ha dedicato anni di lavoro, interpretazione, recupero faticoso delle possibili strade che ne avrebbero meglio di altre esaltato il testo e il cuore dei film sulle assi di un palcoscenico. "In nome di Ponzio Pilato"; "In nome del Papa Re" "Nell'Anno del Signore" sono proprio il senso magico di Roma, che Avallone sente come pochi. "Tutti i film mia so' tua" gli disse il maestro dopo aver visto il Ponzio Pilato di Antonello. «Devo ammettere che a Magni piacevo proprio - confessa timidamente Avallone - sapeva benissimo che non potevo contare sulla capacità di tutti gli attori che aveva usato lui: Tognazzi, Sordi, Enrico Maria Salerno, Manfredi, pur avendo io sul palco ottimi professionisti che non sfiguravano e non sfigurano di certo...ma non so dire...ci si vedeva, respirava il suo stesso amore per la magia della città lo stesso amore per Roma. E devo aggiungere che ho dei costumi molto belli e audaci e, in teatro, non è un dettaglio. Sono sempre stato attento a questo. Insomma...Magni non se ne perse nessuno».

Sul romano Avallone gioca sul velluto certo, ma anche gli altri classici del teatro vengono padroneggiati con classe e convinzione. Il regista e attore, che ha preso il gioiello del "Teatro dell'Angelo" e che si batte sempre per un teatro di grande qualità, porta in scena, ad esempio, un Pirandello poco utilizzato oggi, "L'uomo la bestia e la virtù" (tornerà in scena l'8 febbraio e resterà in cartellone fino al 4 marzo). Un lavoro pirandelliano a tutto tondo dove profondità e comicità fanno la sponda al cinismo della storia: Un professore "rispettabile" mette incinta una donna sposata e si inventa di tutto per farla tornare dal marito. E dire che Antonello era il batterista di un gruppo che faceva le cover dei "Ten Years After" del mitico Alvin Lee che dal 1968 al 1973 sono stati uno dei complessi più ascoltati al mondo. Musica e calcio, passioni forti come la recitazione, portate avanti e poi abbandonate. Ma sempre con orgoglio. Come le domande per avere una giusta sovvenzione pubblica per il suo teatro. Domande puntualmente respinte anche quando in cartellone aveva il massimo della recitazione italiana: veri numeri uno del teatro. Ora s'è stancato di chiedere. Preferisce dare. Dare ai giovani (come quando voleva insegnare nelle scuole), dare al pubblico, dare ai bambini. Per quest'ultimi è stato il primo a inventare il sabato e la domenica il "teatro da favola" dove far rappresentare le favole classiche della nostra infanzia e, attualmente e saggiamente, anche le fiabe che giungono dal cinema come per "Frozen", "Shrek" i "Flinstones".

Ma un capitolo a parte merita la sua incredibile passione per il grande regista americano Woody Allen. Lo ha fatto e portato in teatro negli anni Novanta, con i cavalli di battaglia, con i grandi monologhi, con gli adattamenti. Ma sempre partendo dagli originali e ad essi attenendosi  fermamente. Mai scimmiottando o copiando o "facendo il furbo". Anzi, partendo un giorno proprio per New York per chiedere l'autorizzazione a rifare e per comperare i diritti del "Prestanome": acuta opera sugli anni del maccartismo in cui gli attori venivano chiamati da una commissione d'inchiesta e invitati a fare i nomi dei colleghi in odore di comunismo. Una fase tragica, drammatica della vita americana che ha gettato in strada grandi interpreti e fatto diventare spie - e piccoli uomini - altrettando grandi attori e registi. Allen ha voluto sapere, si è informato, ha chiesto. E ha capito chi aveva davanti.

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