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Inchiesta: Il Romanistra fra voi. Al Pigneto eterna lotta tra vecchio e nuovo

Movida: i cittadini stanchi chiedono “la delibera 35”. Ma senza vita i quartieri muoiono, non solo nel centro storico

Valentina Mira
16 Novembre 2017 - 08:40

Una citazione tra le tante dedicate al quartiere, ex VI ora V Circoscrizione: "Oggi il Pigneto sta vivendo un momento di grande fermento sociale e culturale che vede nascere nuove attività economiche, librerie, spazi associativi...". È così che il sito del Comune magnifica la Disneyland della movida romana. Saranno dello stesso avviso i residenti? Lo domando ad Antonio, che qui ha gestito una tabaccheria per dieci anni. «Il Pigneto è uno storico quartiere antifascista, ma è molto cambiato. Ha abbandonato i suoi valori per interessi economici. Anni fa a dicembre mi vestivo da Babbo Natale e facevo un regalo a ogni ragazzino del quartiere, c'era un senso di comunità. E ora? Abito in un palazzo di ex compagni, e sono stato sfrattato dai figli di questi stessi compagni!». È amareggiato, Antonio, ma non è l'unico.

La vita tuttavia porta per forza di cose a scelte, novità che rappresentano anche nuove attività e occasioni di lavoro per tutti. A partire dai giovani. Comprensibilmente alcuni storici abitanti la pensano diversamente. Come Beatrice. Settant'anni, di cui gli ultimi quaranta trascorsi qui, mi prende sottobraccio e mi fa da Virgilio in quello che per lei è diventato "un autentico Inferno dantesco". «Il Pigneto era come un paese - esordisce con vitalità - potevi uscire coi bigodini in testa, e nessuno ti diceva niente. Facevamo capodanno per strada, insieme. Ora sono spariti gli artigiani, il "pizzicarolo", il calzolaio. Ci sono solo birrerie e persone senza scrupoli. Queste sono palazzine costruite nel ‘30, in stile umbertino… peccato che dopo il fascio ci sia stato lo sfascio!». Ride amaramente Beatrice indicandomi una costruzione. È ancora in itinere, ma non risulta difficile capire perché i residenti la chiamino "il mostro": grossa e bianca, è la Moby Dick di piazza Nuccitelli. Il proprietario di quello che sarà il locale più grande della zona è Massimo Innocenti. Fu lui a rilevare il bar Necci, collegato a Pasolini per il film "Accattone" (secondo gli abitanti più longevi in realtà sarebbe stato girato in un altro bar di via Fanfulla da Lodi). Innocenti è il proprietario di molte attività, al Pigneto e non (è suo, per dire, il Micca club, locale di burlesque vicino a Porta Maggiore). La tendenza a espandersi è il motivo per cui il "business man", sulla locandina di una manifestazione in cui è stato preso di mira lo scorso settembre, è stato raffigurato come l'omino baffuto dell'arcinoto Monopoli. Ma al di là della discutibile scelta architettonica di "piazzare" un locale in stile ipermoderno proprio nel quartiere di "Roma città aperta", cosa si contesta all'Innocenti? Di avere pelo sullo stomaco?

La vicenda di piazza Nuccitelli è quantomeno complessa. Complessa perché l'imprenditore ha acquistato dei box, pagato 200mila euro e presentato una Dia (Dichiarazione di inizio attività) per demolire quei box e costruire al loro posto un locale. E, "fortuna" ha voluto, che per l'amianto riscontrato nei locali da parte dell'Ufficio tecnico nello scorso marzo, l'imprenditore abbia potuto usufruire anche del "bonus" rimozione, previsto per legge (16 giugno 2016) in cui si riconosce all'impresa un credito d'imposta pari al 50% delle spese sostenute.

La legge Bersani-Visco

Altro grande problema di tutti i quartieri ma che al Pigneto assume forme esasperanti, e di cui Il Romanista si fa in questa occasione megafono, è la liberalizzazione selvaggia delle licenze commerciali voluta dalla legge Bersani-Visco del 2006. Strizzare l'occhio alla liberalizzazione delle licenze è giusto sulla carta ma può essere - senza controlli dettati dal buon senso - un guaio nella sostanza. Sia per gli stessi commercianti che per la quiete. A farsi portavoce della necessità di un cambiamento della legge è Daniele Lauri, fondatore della cooperativa "Libera…mente": «Come già avviene per piazza Navona, dove ci sono già cinque locali dello stesso tipo non dovrebbe essere consentito aprirne un sesto. Vogliamo costringere l'amministrazione a combattere la gentrificazione selvaggia con regolamenti in deroga alla liberalizzazione».

I più danneggiati dalla legge Bersani sono infatti, come abbiamo accennato, proprio i commercianti. Lo riassume in modo semplice Maddalena di "Ciak si mangia", in via Brancaleone: «Possono aprire proprio tutti, senza distinzioni. Questo fa sì che un ristorante come il nostro - siamo qui da 25 anni - si trovi a soffrire della vicinanza e concorrenza di un numero sempre maggiore di nuovi locali, che pur di tenere costi inferiori "rifilino" al cliente anche ingredienti e prodotti di inferiore qualità».

La soluzione auspicata dagli stessi cittadini è che venga applicata anche al V Municipio la delibera n. 35 del 2010, con cui il Consiglio comunale disponeva una serie di requisiti più stringenti per poter aprire un'attività nel centro storico. (continua domenica)

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