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L'intervista, Alessandro Roja: "Ascolto molto mio suocero Ranieri: ha un chiodo fisso"

Il 'Dandi' racconta il suo rapporto con l'allenatore romano e ci presenta il suo nuovo film

Pier Paolo Mocci
05 Novembre 2017 - 11:00

Come dimenticare l'eccentrico e spietato Dandi di "Romanzo Criminale – La Serie"? Già, impossibile. In questi dieci anni, da quel trionfo televisivo firmato Sky e Sollima (il regista di "Acab" per intenderci), Alessandro Roja ha associato sempre il suo volto a film estremamente interessanti, perfino "difficili", affiancandoli ad operazioni televisive ad ampio respiro, dalla serie "1992" su Tangentopoli al corale "E' arrivata la felicità", la cui seconda stagione appena conclusa sarà di prossima messa in onda. Ma è sul grande schermo che l'attore romano e romanista (nonché genero del mister Claudio Ranieri) sta dando prova del suo eclettismo attoriale. Passando da Virzì ad Ozpetek a film non meno d'autore come quelli dei Manetti Bros ("Song 'e Napule") o di Daniele Vicari, con quello scomodissimo ma necessario "Diaz – Non pulite questo sangue" sul G8 di Genova del 2001. Ma veniamo ai giorni nostri, anzi ad oggi. Anzi a stasera per la precisione: alle ore 22 Alessandro Roja presenterà il suo nuovo film alla Sala Google dell'Auditorium (una grande tensostruttura da 600 posti), protagonista assoluto di "In un giorno la fine", un'anteprima "secca"e unica prima di arrivare ufficialmente nelle sale nei prossimi mesi. Ma l'occasione è ghiotta, perché si tratta – è bene dirlo subito – di un horror sui generis.. In una Roma frenetica e più congestionata del solito, Claudio (Roja), un importante uomo d'affari cinico e narcisista, rimane bloccato in ascensore a causa di un guasto. Quel fastidioso inconveniente sarà solo l'inizio... Prodotto dai Manetti Bros, il film è diretto da Daniele Misischia.

Alessandro, ci vediamo stasera alle 22 alla Google Cinema Hall.
«Ed io vi aspetto con piacere: non c'è dress code, siete tutti invitati. Preparatevi però, perché è un thriller-horror, venite senza figli o nipotini».

Tu dentro un ascensore per quasi tutto il film. Com'è andata?
«Per un attore le barriere o le costrizioni non sono dei limiti, o se lo sono servono per superarli. È stata un'esperienza straordinaria e credo sia un ottimo film: si parla di zombie, ma gli zombie non siamo altro che noi, automi di una società malata, cattiva e perversa».

Il tuo personaggio è quello che si direbbe?
«Un pezzo di merda cinico e individualista. E viene messo in una condizione di estrema claustrofobia. Nelle difficoltà si è costretti a dare il peggio, o il meglio, a seconda della situazione».

C'è un cinema di genere, vivo, che esplora, che guarda oltre.
«Oggi ci sono molte possibilità, viviamo in un Villaggio Globale con molte opportunità anche per il nostro settore. Il prodotto film viene fruito in moltissimi modi e attraverso vari strumenti, dai telefoni ai tablet, dal satellite al web. Ed è necessario diversificare e sperimentare. Tanto che poi escono fuori film come "Jeeg Robot" o decine di altri. Nuovi autori, nuovi scrittori. È in atto un nuovo corso insomma al quale anche la tv generalista si sta adattando».

Parliamo della Roma, sei un grande tifoso.
«Abbastanza... Che vuoi che ti dica: dobbiamo solo continuare così. Una Roma "low profile" che mi piace molto. A Firenze per confermare quanto di buono fatto finora. Abbiamo perso solo per colpa di episodi contro Napoli ed Inter. Bisogna continuare a vincere, anche di misura, e convincere, come la prestazione "storica" contro il Chelsea. Ma servono anche gli 1-0: quanti pareggi negli anni passati con le piccole, non c'è bisogno che li citi».

Con tuo suocero Claudio Ranieri, il Mister del miracolo Leicester e allenatore dalla lunghissima carriera, oltre che ex calciatore, di cosa parlate?
«Lo ascolto. Ha un'esperienza incredibile e ogni episodio che ha vissuto è pieno di fascino e importanza, che gli sia capitata a Cagliari o al Valencia. Una cosa però da cui non si prescinde è la mentalità, di quella mi parla e su quella lo ascolto particolarmente famelico».

Ovvero?
 «Mio suocero lo ripete come un mantra: è la mentalità a fare la differenza. La presenza totale che un allenatore deve avere con i suoi uomini, la compattezza del gruppo. La forza sta tutta lì».

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