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L'ex allenatore di Edin: «Dzeko al top ancora per molto tempo»

Parla Amar Osim, l’ex tecnico dello Zeljo, che ha allenato l'attaccante non ancora diciottenne: «Aveva veramente qualcosa di speciale»

18 Luglio 2018 - 07:58

La storia calcistica di Edin Dzeko nasce nello Željezničar di Sarajevo. I colori a un romanista integralista possono rimanere un po' indigesti, ma a guardare bene quello che si accompagna al bianco è più un blu scuro che un celeste sbiadito. Nella sua storia, la squadra della città balcanica si è aggiudicata un campionato jugoslavo nella stagione 1971-1972 e sei titoli nazionali della "nuova" Bosnia. Nelle coppe europee ha totalizzato una partecipazione alla Coppa dei Campioni (fuori al primo turno col Derby County), mentre il miglior risultato ottenuto è la semifinale nella Coppa Uefa 1984-1985 (sconfitta degli ungheresi del Videoton). Nella scorsa stagione secondo posto in campionato (alle spalle dello Zrinjski Mostar) e vittoria nella coppa nazionale.

Allo Željo (così lo chiama chiunque a Sarajevo), Edin, ha fatto tutta la trafila delle giovanili e dal club dei "ferrovieri" è stato lanciato nel calcio professionistico. Amar Osim è stato un tecnico dello Željezničar che ha seguito passo dopo passo la crescita di Dzeko. Con lui l'attaccante bosniaco della Roma ha tutt'ora un buon rapporto, anche se nel tempo la vita professionale li ha portati ad allontanarsi: «Lo vidi per la prima volta quando aveva undici anni, ritornai sei anni dopo nel club e tutti parlavano dell'abilità di questo ragazzo magrolino che faceva cose che gli altri non erano in grado di fare. La sua era una generazione di talento, c'erano molti altri ragazzi bravi, ma lui sapeva stare nel posto giusto al momento giusto. Inusuale per l'età che aveva». Ambizioso e determinato, comunque al di sopra degli altri: «Aveva veramente qualcosa di speciale. Quando era giovanissimo io allenavo la classe 1988, lui era 1986, non l'ho allenato quando era bambino, ma passavamo molto tempo insieme, essendo due generazioni "vicine" di solito ci allenavamo sullo stesso campo». Un buon motivo per buttare un occhio da un campo all'altro: «Quando aveva 15 anni io diventai l'allenatore della prima squadra, ma continuai a seguirlo, ovviamente. E quando compì 17 anni lo presi subito nella prima squadra. Era magro e più debole degli altri, ovviamente, ma con la sua qualità riusciva a competere con gli altri ragazzi, giocò il primo match da professionista nell'agosto del 2003, subentrò per 15-20 minuti e da quel momento è rimasto con la squadra. Non gli avevo dovuto dare molti consigli, dovevamo solo "aspettarlo" e avere pazienza fin quando fosse diventato più grande e più forte».

Le speranze e le aspettative erano tutte lì: giocare nella squadra della sua città e diventarne il giocatore più importante. Ma la Bosnia del dopoguerra, non riservava ai talenti l'opportunità di emergere. Triste da ammettere, ma gli stava un po' stretto quel sogno. E così, dopo poche stagioni con risultati per la verità non eccelsi (40 partite e 5 gol nel campionato nazionale e poco altro nei dintorni) in termini numerici, la scelta fu quella di andare all'estero. Era l'estate del 2005. Una scelta che fece bene a entrambe le parti: e non tanto perché il club non credesse in lui. Un manager - si tramanda - disse che vendere Dzeko al Teplice (per 50.000 marchi bosniaci, al cambio 25.000 euro) era stato come vincere alla lotteria: «Quando Edin lasciò lo Željezničar - spiega Osim - il club navigava in cattive acque finanziariamente, io non ero più allo Željo, ma la storia la conosco bene. Così decisero di lasciarlo partire per pochi soldi, ma penso che nessuno fosse contento di venderlo, da quello che so questa storia non è vera, è solo un falso mito…». Come il fatto che venisse utilizzato come centrocampista, con la conseguenza di un'indole snaturata e di uno score basso: «Sicuramente a Edin piace partecipare al gioco e non aspettare la palla lì davanti, ed è sempre stato così, ma non ricordo proprio di averlo visto giocare a centrocampo come si legge in giro di lui da ragazzo».

 

Poi il salto, lontano da casa, da quella casa, lo Željo e Sarajevo, alla quale tutt'ora è legatissimo (è ambasciatore delle giovanili e in passato ha contribuito con delle donazioni a migliorare le strutture del Grbavica stadion). Un salto nel buio che lo portò però alla luce: «Aspettarsi che diventasse un giocatore importantissimo a livello mondiale era onestamente difficile, io pensavo che sarebbe diventato molto, molto forte, e che avrebbe giocato ad alti livelli, ma era difficile prevedere che sarebbe arrivato così in alto. Ha un po' sorpreso tutti. Ci ha resi molto fieri e orgogliosi di lui. Sicuramente il momento cruciale è stato il passaggio dal Teplice al Wolfsburg». I tedeschi lo prelevarono dal club ceco (in mezzo la parentesi in prestito in seconda divisione all'Ústí nad Labem) per 4 milioni di euro: in Germania è riuscito nell'impresa di far vincere, guidato dal tecnico Felix Magath e in coppia con Grafite, l'unica Bundesliga della sua storia al club sponsorizzato dalla Volkswagen.

Poi il City, il gotha del calcio mondiale, è storia recente, o quasi. Quella più recente è che oggi Dzeko è una star internazionale, a Roma è arrivato per rilanciarsi, subito dopo un periodo in cui pensava che la Serie A fosse poco per lui e dove invece ha trovato una seconda casa: «Credo che la sua stagione migliore sia stata l'ultima - dice il suo ex allenatore, Osim - anche se in quella precedente ha segnato più gol. Ha inciso di più, è stato più decisivo per la squadra nell'ultimo anno a livello di prestazioni. In Champions League è stato semplicemente straordinario». Sebbene qualcuno gli abbia rimproverato di essere troppo buono («ma fa una marea di gol, o no? Pur non essendo individualista...»), Edin sembra poter ancora crescere, visto che i 32 anni non li dimostra affatto: «È difficile migliorare quando si è al top, come è lui adesso. Ma sono sicuro che potrà mantenere ancora abbastanza a lungo questo livello». E rileggendo la storia di Edin Dzeko, in effetti, quell'espressione rimasta nel mito aveva qualcosa di vero: perché il bosniaco in persona è «come vincere una lotteria», ma per chi lo prende. Sì, ma anche per chi, e c'è da esserne felici per il bene del club di Sarajevo, come lo Željo - grazie al contributo di solidarietà Fifa - ottiene ad ogni trasferimento internazionale di Dzeko una percentuale, in quanto club che ha contribuito a formare il ragazzo.  O meglio, il diamante.

A casa di Dzeko - Là dove tutto ebbe inizio: Grbavica, teatro di guerra

Ecco la prima puntata del reportage su Edin Dzeko

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