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Silenzio, parla Zico: "A Dino Viola dissi sì, ma non mi lasciarono andare. Falcão è un re"

La leggenda dell'Udinese e del Brasile al Romanista: "Non ho rimpianti in carriera. Udine è un pezzo di cuore"

16 Febbraio 2018 - 08:00

King Arthur è nato a Rio. Altro che storie dell'antica Britannia. L'epica la crea il più bel calcio di sempre, a cavallo fra gli Anni 70 e 80. L'eroe da leggenda è Zico, uno che al solo nominarlo si accendeva la fantasia di ogni folla. Quella del Flamengo, che ha rappresentato il suo popolo per antonomasia e se lo è goduto per tre quarti di carriera. Quella di una nazione intera, che in lui ha visto il vero erede di O Rey, tanto da soprannominarlo "Pelè bianco". Quella di Udine, che per un biennio con lui è stata sole mare e samba. E anche quella romanista, che lo ha agognato a lungo prima di avere il proprio Re in un suo connazionale. «È vero, la Roma mi voleva. Ma è una vecchia storia», conferma lui. Quella dei giorni nostri parla di un Udinese-Roma alle porte.

Zico, vedrà la partita?
«Purtroppo no. In Brasile non vengono trasmesse tutte le gare del campionato italiano».

Segue le due squadre?
«Mi è capitato di vedere la Roma qualche volta, in Champions. L'Udinese devono raccontarmela».

Ci racconti lei il suo Udinese-Roma allora.
«Sono rimasto in Italia solo due anni, non ne ho giocati tanti, ma quello del 1983 fu indimenticabile».

Segnò proprio lei il gol decisivo.
«Una grandissima gioia. Battere la squadra migliore d'Italia non capita tutti i giorni».

Per la presenza del suo amico Falcão?
«Paulo era un giocatore fantastico, ma i giallorossi avevano tanti altri campioni: Cerezo, Pruzzo, Conti. Tutti. Squadra straordinaria».

Avrebbe potuto giocarci anche lei.
«Qualche anno prima...».

Ma...?
«Il Flamengo non volle cedermi».

Questione di soldi?
«No, di soldi nemmeno si arrivò a parlare. Il mio presidente non volle neanche sedersi a discuterne».

Mentre lei parlò con il suo mancato presidente, Dino Viola.
«Vero. Io e Junior avevamo fatto scalo a Roma e un giornalista brasiliano che era mio amico e conosceva anche il presidente Viola fece da tramite per farci incontrare. Fui invitato a pranzo a casa sua».

Cercò di convincerla?
«Non ce n'era bisogno, sarei venuto volentieri. Ma all'epoca non si poteva, erano i club proprietari dei cartellini a decidere».

Poi prese Falcão. Come era e com'è considerato in Brasile?
«Come in Italia: il Re di Roma».

A parte lui, con chi identifica la Roma?
«Con Totti. È la storia del club».

Falcão la chiamò all'epoca?
«Sì, qualche tempo dopo. Aveva saputo che sarei venuto in Italia e pensava che avessi firmato con la Juventus».

Forse voleva scongiurare l'ipotesi. Invece si trasferì a Udine.
«Avevo trascorso dodici anni con la stessa squadra e le leggi brasiliane dell'epoca mi consentivano di essere ceduto dopo quel periodo».

Perché proprio in Friuli?
«Era molto diverso il calcio di allora. A chi lo vive oggi può sembrare assurdo, ma la volontà di noi giocatori contava davvero poco».

Cos'è Udine per lei?
«È un pezzo del mio cuore, sono molto legato alla città, alla squadra, ai tifosi. Mi hanno dedicato un'accoglienza speciale e poi sono sempre stati splendidi con me, sarò eternamente grato ai friulani».

Ci torna qualche volta?
«L'anno scorso l'ultima volta. Ero a Roma per commentare una gara di Champions per una tv brasiliana e sono andato anche a Udine».

Rispetto agli anni in cui lei era calciatore, il calcio è cambiato più in Brasile o in Italia?
«In Brasile. Siamo diventati più attenti all'aspetto tattico. Ma a scapito della tecnica».

La Seleção del 1982 è stata invece il trionfo della tecnica. Eravate il centrocampo più forte del mondo?
«Io, Falcão, Cerezo, Socrates: non eravamo male. Junior faceva il terzino. Ma non avemmo la fortuna di provare in gruppo prima, ci trovammo al Mondiale. E senza nessuno che potesse giocare sull'ala. Grandissimi calciatori insieme non sempre fanno una squadra».

È vero che secondo lei la vittoria dell'Italia al Mundial ha peggiorato il calcio?
«Si diceva in Brasile, perché gli azzurri non giocavano bene. Ma la vittoria con l'Argentina li sbloccò e con noi meritarono di vincere».

Meglio giocare bene o vincere?
«Meglio jogare bonito (dice proprio così, ndr) e vincere».

Peggio la finale del 1950 o Brasile-Germania del 2014?
«L'1-7. La finale è una partita in cui tutto può accadere, ma quel risultato è stato spaventoso».

Può riscattarsi nel prossimo Mondiale con Neymar?
«Non solo con lui, con tutta la squadra».

Chi vince in Russia?
«Se avessi doti da veggente, giocherei alla lotteria».

Meglio Pelè o Maradona?
«Pelè».

Messi o Cristiano Ronaldo?
«Messi. Ma sarebbe bello avere tutti questi quattro nella mia squadra».

Il giocatore più forte che ha visto giocare?
«Pelè».

E il migliore con cui ha giocato?
«Sempre Pelè».

Ha un rimpianto in carriera?
«Nessuno. Mi lamentavo di non aver partecipato alle Olimpiadi, ma Dio mi ha dato tantissimo. Sono felice così».

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