AS Roma

La Gioconda dipinta dalla Sud

Il derby della distanza siderale: noi campioni, loro neopromossi. E la Curva li allontana di più col “Ti amo”

PUBBLICATO DA Tonino Cagnucci
23 Ottobre 2025 - 07:30

Questo è il tabellino di quella partita con la Roma con il tricolore sul petto e la Lazio neopromossa, anche se in questo tabellino manca una cosa. Arriverà alla fine...: 
Lazio: Cacciatori, Miele (52’ Vella), Chiarenza, Manfredonia, Batista, Spinozzi, Cupini (65’ D’Amico), Vinazzani, Giordano, Laudrup, Marini.  A disposizione: Ielpo, Piraccini, Meluso. 
Allenatore: Morrone.

Roma: Tancredi, Nela, Bonetti, Righetti, Falcao, Maldera (6’ Oddi), Conti (82’ Chierico), Cerezo, Pruzzo, Di Bartolomei (Cap.), Graziani. A disposizione: Malgioglio, Strukelj, Vincenzi. 
Allenatore: Liedholm.

Arbitro: Agnolin di Bassano del Grappa. Guardalinee: Alvan e Zampesi.
Marcatori: 4’pt Nela; 18’st Pruzzo.

«…Quando dal fossato alla base della gradinata, si è dispiegato piano, piano, passando da una mano all’altra, forse il più bello striscione della storia dell’Olimpico, di fronte al quale l’intero stadio è ammutolito, prima di applaudire. Su 900 metri quadrati di stoffa gialla grandeggiava un Ti Amo rosso costato dieci giorni e dieci notti di lavoro a 1500 fantasiosi tifosi giallorossi».
(Francesca Sanipoli, Novecento metri d’amore giallorosso, Il Messaggero, 24 ottobre 1983).
 
Questo derby, ricordatelo, non inizia al fischio d’inizio e non finisce al fischio finale. Si parte, per l’appunto, a quattro giorni dalla gara. I ragazzi del Commando Ultrà Curva Sud vogliono realizzare uno striscione gigantesco che copra tutta la Sud. Il progetto viene ultimato alle ore 15 del sabato e montato in una villa romana per una prova generale, evidenziando però ancora alcune imperfezioni che costringeranno a tornare a lavoro fino alle 3:30.

Intanto, sebbene per motivi diversi, la vigilia delle due squadre trascorre tranquillamente. Una tranquillità legata alla sicurezza dei propri mezzi, per quanto riguarda la Roma: appena rientrata dalla trasferta di Coppa dei Campioni a Sofia, come ammesso da Nela a Luigi Ferrajolo, la squadra si ricorda «della Lazio solo il sabato mattina». A conferma, la decisione di tenere a riposo Ancelotti, apparso, secondo il “Barone”, «un po’ affaticato».

La tranquillità della Lazio assomiglia invece molto da vicino alla rassegnazione. Basta leggere un breve trafiletto di Antonella Pirottina, pubblicato il 23 ottobre da Il Tempo, per rendersene conto: 
«La seduta di rifinitura, ieri mattina, si è svolta in tutta tranquillità, in un Maestrelli deserto di tifosi. (…) Una tranquillità alla quale ha stranamente contribuito la presenza di Chinaglia che, spogliatosi dalle vesti di presidente, ha nuovamente indossato la tuta da calciatore».

Chinaglia magari pensava di poter scendere in campo. Quello che è certo è che ci sarà Toninho Cerezo, il quale confida il suo stato d’animo a Marco De Martino de Il Messaggero: «Amo la gente, gli spettacoli e le cose a lieto fine: siccome il derby con la Lazio sarà tutto questo, aspetto impaziente che la festa cominci». 

Il tempo passa veloce e alle prime ore dell’alba della domenica i ragazzi del CUCS sono già a lavoro. Il materiale per montare gli striscioni, però, arriva nei pressi dell’Olimpico, in pulmino, solo alle 10:30. Ci sono voluti 2 milioni e mezzo di lire per realizzarlo: 1.000 rettangoli numerati con cerniere adesive a strappo, per un’estensione totale di 1.300 mq. Insomma, è la Monna Lisa del tifo giallorosso. Massimo, Maurizio, Gigi, Faciolo, Lorenzo, Coca-Cola, Cuccu, Fabio, Elletto, Elione, Paolo, Marcello, Gianni, Grazia, Ludovica, Vittorio, ecc. non sono alla prima esperienza in fatto di coreografie e hanno procurato tutte le autorizzazioni, prendendo contatto con la Roma e con il vicequestore Marinelli, per avere i visti in regola e introdurre all’Olimpico quella che Francesca Sanipoli definisce giustamente «un’opera d’arte».

A 300 metri dallo stadio, però, il gruppo s’imbatte in uno sbarramento di polizia che impedisce l’ingresso. Non ci si perde d’animo: 1.500 persone fanno entrare – in un’enorme catena umana di “contrabbando” – quanto serve. Rimane però il problema di dove rimontare il tutto. Si pensa alla pista d’atletica sotto la Curva, ma è evidente che non è una buona idea. Si lavorerà, febbrilmente, in Sud, alla base del fossato, sperando di riuscire a stare nei tempi per l’ingresso delle squadre in campo, alle 14:30.

La Nord, intanto, esibisce i suoi striscioni, ma chi li ricorda oggi? La Sud risponde esponendone due che sono invece incisi nella memoria del derby. E di tutti. Il primo è alla base della curva: «Una fede… Una volontà… Un traguardo. Vincere malgrado tutto». Poi – come scrive la Sanipoli in un articolo che è il vero memoriale di quella giornata – il secondo «(…) partito dal centro della Curva era salito, di gradino in gradino, come se volesse ascendere al cielo». Infine si vede cosa c’è scritto: “La nostra certezza è grande come la vostra illusione”. 

I giocatori sono già nel sottopassaggio, la Roma è guidata da Capitan Di Bartolomei. Falcao, appena un secondo prima di fare il suo ingresso in campo assieme ai compagni, ha il tempo per un’ultima dichiarazione ai microfoni della Rai: «Speriamo che la gente possa divertirsi».

Sono le 14:20, il lavoro non è ancora ultimato, poi alle 14:24, proprio mentre «i calzettoni di Agostino fanno capolino» sulla pista d’atletica dell’Olimpico, parte il segnale.
Novecento metri rossi con l’immenso «TI AMO» urlato al mondo si dispiegano partendo dal fossato verso il centro della curva. È uno spettacolo che annullerebbe anche la necessità di giocare la partita, come ha scritto Il Messaggero: 
«La Roma aveva vinto il derby prima che le squadre facessero il loro ingresso in campo. Lo aveva vinto sugli spalti, e con lo stesso punteggio che sarebbe stato realizzato sul campo: 2-0. Lo aveva vinto grazie all’incredibile Curva Sud, generatrice di pelle d’oca, brividi e lacrime perfino per i filolaziali e filojuventini».

La Nord è ammutolita, dalla bellezza e dalla stordente rivelazione di una superiorità, quella romanista, che è ancestrale, eterna e immutabile e che va e andrà sempre oltre la contingenza del campo e le alterne fortune dei risultati. 
Si parte: Righetti semina il panico sulla fascia sinistra, fino a che Cupini non lo abbatte. Il calcio di punizione è affidato a Conti, Nela – in mezzo a otto laziali, presenti al di là della linea degli undici metri – trova spazio e tempo per inserirsi e colpire di testa. Dirà a Ferrajolo: «Ho colpito male, metà con la fronte e metà con la nuca. Sono finito per terra, non ho visto Cacciatori, né ho capito che stavo segnando. Mi ha svegliato l’urlo dei compagni e dei tifosi». La palla è in rete, sono passati 4 minuti e, come avrebbe detto qualcuno, è già «game over».

Saltiamo i ghirigori a corollario del primo tempo e l’intervallo che vede Chinaglia piombare negli spogliatoi con la missione impossibile di infondere lo sprint vincente ai suoi. Nella ripresa – scrive Melidoni – Giordano «con il tacco smarcava Cupini prontissimo a tirare, ma Tancredi, in volo, strozzava l’urlo nella gola della Curva Nord stranamente incompleta rispetto alla dirimpettaia: cosa non ha funzionato nella vendita dei biglietti?». La Nord è incompleta, ma Pruzzo, noblesse oblige, decide di segnare sotto la Sud, che è invece stipata fino all’inverosimile. Riceve da Righetti, alza a campanile per Conti che correndo segue la traiettoria del pallone e al volo lo restituisce al centravanti. 

Il Bomber lo lascia rimbalzare, se lo porta avanti di testa e – appena dentro l’area, mentre traina a rimorchio Chiarenza e Vinazzani – di destro, con un tiro basso e angolato, viola nuovamente la porta di Cacciatori. Dal 67’ al 75’, per tre volte, Giordano ha la palla gol. Al 67’ centra il palo, poi arriva il «calcio di rigore inventato da Agnolin», secondo De Cesari o – seguendo la linea di pensiero di Gianni Melidoni – «il rigore, inesistente, colto da Agnolin in un contrasto tra Nela e Laudrup caduto sul proprio slancio senza inciampi». 

Falcao si avvicina a Tancredi e gli suggerisce di rimanere in piedi il più possibile: «Calcerà di potenza, non di precisione». Il numero uno sa cosa fare e para il tiro del centravanti laziale. L’ultima palla gol Giordano se la divora qualche minuto più tardi, quando – solo davanti a Tancredi – temporeggia fino a quando Oddi, rinvenendo da dietro, gli toglie il giocattolo con la punta del piede.
Si consumano gli ultimi fuochi con un palo di Batista (68’) e Ciccio Graziani, che al 73’ colpisce la parte superiore della traversa. Per non farla troppo lunga e dirla con Ezio De Cesari, Graziani: «ha sbagliato tutto quanto c’è stato da sbagliare», divorandosi altre due reti. C’è poi Manfredonia, è sempre il vecchio De Cesari a sanzionarlo: «ha lottato a denti stretti con Pruzzo, ma non ce l’ha fatta», come la Lazio del resto. 

La Nord a dieci minuti dalla fine si svuota, mentre Chinaglia prepara già la sfuriata che si abbatterà sul povero Morrone sino alle 3 del mattino. Arriva il triplice fischio. Liedholm è subito bloccato dalle telecamere di 90° minuto per parlare di una Roma tornata in testa alla classifica.
Domanda: «Una Roma al sessanta per cento, se è al cento come deve andare?».
Risposta: «Eh, un po’ meglio». 
Con la carta stampata c’era invece stato spazio per l’immancabile humour dello svedese. 
«Cosa invidi al tuo collega Morrone?».
«I suoi 42 anni».

Toninho Cerezo, sollecitato da Jacopo Volpi, dice per conto dell’intera squadra quello che tutti pensano, e che lui aveva abbondantemente previsto: «È stato uno spettacolo meraviglioso. In campo e fuori».
Resta il finale, ricordate? Lo scrive Fulvio Stinchelli, il 31 ottobre, sul «Messaggero», dopo essersi recato in Curva Sud per assistere a Roma–Napoli. Il Professore trova i ragazzi della Sud che fanno colletta per i fumogeni del mercoledì, quando si giocherà la gara di ritorno degli ottavi di finale di Coppa dei Campioni. Chiede il nome dell’autore del «TI AMO», lo riporterà in un articolo intitolato “Là nella Curva Sud dove batte il cuore giallorosso”: si chiama Massimo Dolce… andava scritto nel tabellino tra i marcatori, assieme al Commando Ultrà.

(Tratto dal libro “Le 100 partite che hanno fatto la storia dell’AS Roma”, Newton Compton, di Massimo Izzi e Tonino Cagnucci).

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