AS Roma

Meglio tarli che mai

Le emozioni del pre-partita con la fuga possibile, la delusione dello 0-1. La sconfitta che dà fiducia. Illusioni e cadute, iperboli e esami di realtà: chi ci capisce è bravo

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Federico Vecchio
20 Ottobre 2025 - 07:00

CAPITOLO 1: «Nun me dì gnente …»

Do uno sguardo veloce. Mancano ancora una decina di minuti. Parcheggio e, lento pede, mi avvio verso i tornelli. Il tratto non è brevissimo (ho parcheggiato a Piazza Maresciallo Giardino) ma il momento richiede calma. Mi incolonno sul marciapiede e, dopo i commenti più disparati, inanellati per sfuggire al momento, («Davvero col falso nueve?»; «Io giocherei con le due punte»; «Oggi non conta: dobbiamo puntare tutto su Istanbul»), finalmente, intruppato ai tornelli, sento affrontare il vero tema che ci occupa da quando abbiamo saputo che il Cholito ne ha smarcati tre, portiere compreso, e cioè: «che ha fatto il Napoli?». Quei dieci minuti che mancavano si sono, difatti, oramai esauriti. Alcune voci, più lontane, vicine al tornello opposto al mio, parlano di cinque minuti di recupero («Manca ancora tutto il recupero: me sembra che ne ha dati cinque»). Altre, a me più prossime, del rischio che «adesso, vedrai, gliene fanno due e la ribaltano». 

Ma è evidente che quel tarlo ormai si sia fatto spazio nelle menti di tutti. Maledette quelle cinque vittorie in sei partite. Perché adesso, volenti o nolenti, la classifica la guardi. Cerchi di esorcizzare l’attimo, ma quella classifica la conosci a memoria e stai lì che ci pensi, stai lì che sommi e sottrai. E ti rendi perfettamente conto che tutti, da quelli che stanno parlando che «domani non so come girà pè Roma per la Maratona» (l’immediata replica: «Nun è ’na Maratona: è na mezza»), a quelli che «Giovedì a che ora giocamo?», tutti, dicevo, stanno col pensiero soltanto lì. E te ne rendi conto quando quel «ha segnato il Napoli», accolto da tutte le file con una svuotata disillusione, si trasforma in quell’ «annullato!» che fa fare, praticamente a tutti, pensieri insani. Perché, in quel preciso momento, appare a tutti la classifica che potrebbe essere verso le undici meno un quarto. Ed è allora che, in quel brusio generale poggiato tutto sugli «e annamo …» e sui «non ce credo», arriva, forte, quel «num me di gnente …» che fotografa il momento e lo stato d’animo. Adesso c’è solo da entrare e battere l’Inter. Che, come evidenzia un seggiolino incollato alla realtà, «non è che me pare poco …». Ma chi se lo sarebbe mai immaginato, due mesi fa, di poter andare da soli, in testa al Campionato, alla settima giornata? Nessuno. Ma adesso, invece, lo pensano tutti, anche quelli che non vogliono confessarlo a sé stessi. Ed è con questo mood che prendiamo possesso delle nostre sedute.   

CAPITOLO 2: «Anche quest’anno vinciamo l’anno prossimo»

È stato il primo tempo dell’a volte ritornano. Nessuno si spiega il perché «del falso nueve», «di Ndicka a destra», «di Dybala a farlo spompare dall’inizio quando, se lo metti nell’ultima mezzora, cambia la partita», del perché «Svilar non l’abbia presa, che aveva chiuso lo specchio e gliel’ha tirata addosso», del perché «non ha fischiato il fuorigioco, che ci siamo fermati tutti, anche noi in Tevere».     

Ma soprattutto è un ritorno al passato. Il non detto di tutti i commenti, il sottotesto di tutte quelle facce è evidente: siamo stati vittime di un’illusione, della solita illusione. Qualcuno prova a rilanciare ricordando come «l’Inter a maggio stava a giocà la finale di Champions», ma non raggiunge lo scopo. Perché prevale il disappunto e, soprattutto la delusione di un tradimento: non dovevano portarci quassù, ad un passo dall’essere da soli primi in classifica, per poi giocare una partita in cui non è che sembriamo da sesto/settimo posto ma lo siamo proprio. Ed è in questo disfattismo diffuso, che pervade la Tevere, sia che si parli di punte, di Gasperini, di Società, di mercato, di Pellegrini, di Cristante, di Svilar «che dovemo sbrigasse a dallo via» (sic!), che risuona quell’ «anche quest’anno vinciamo l’anno prossimo» a cui nessuno ha la forza per replicare. Perché, dopo quel primo tempo, non c’è davvero replica. 

CAPITOLO 3: «Una bellissima sconfitta»

Ci siamo andati vicini. Sarà stato l’ottantesimo e il seggiolino al mio fianco affermava, stentoreo, «se pareggiamo, la vinciamo». Ma non è accaduto. Ed allora rimangono negli occhi quei praticamente quaranta minuti su cinquanta passati nella metà campo dell’Inter («L’avevamo schiacciati e potevamo segnare»), quei tre minuti soltanto che abbiamo visto l’Inter, peraltro a causa di nostri svarioni, arrivare nella nostra area («Sbagliamo noi, non bravi loro»), quei sette minuti lasciati inutilmente trascorrere per avvicinare l’Inter alla fine della partita («Loro fanno il mestiere loro, ma è l’arbitro che dovrebbe impedirlo»). Ed allora, tutto quello che si era perso alla fine del primo tempo, alla fine del secondo la Tevere lo ritrova. 

Si riparla di classifica («Comunque stiamo sempre lì»), si riparla di una squadra che segue Gasperini («Stanno imparando i suoi schemi»), si riparla del problema delle punte («Sarebbero bastati Ugolotti e Casaroli»), si parla del fatto che è stata «una bellissima sconfitta». Insomma, tra le sette e mezza e le undici siamo passati dal quarto Scudetto, allo speriamo che almeno riusciamo ad andare in Conference, al «non vinceremo il Campionato, ma fino alla fine saremo lì». A significare che, mai come dopo questa partita, chi ci capisce è bravo.

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