Perotti: "La Roma per me è stata un dono. Dovbyk-Soulé? I rigori si possono sbagliare"
L'ex giallorosso: "Sia Mati che Artem hanno avuto il coraggio di prendere la palla e tirare in un momento difficile. Gasp mi ha rivitalizzato"

(GETTY IMAGES)

In campo nell'ultimo Fiorentina-Roma giocatosi alle 15, Diego Perotti ha raccontato i suoi ricordi in un'intervista ai canali della Roma. Tra il precedente a Firenze e un commento sulla Roma di oggi.
Cosa ricorda di quel giorno a Firenze?
“Diciamo che fu una bella vittoria per noi, ottenuta su un campo difficile, dove per due volte ci ripresero il risultato. Gerson segnò l’1-0 e poi il 2-1. La Fiorentina aveva Veretout, Simeone, il povero Davide Astori e in panchina allenava Pioli come oggi. In generale, comunque, le partite in cui ho fatto gol, non le scordo. Anche perché non sono state tantissime. E nell’azione che mi portò a rete, ricordo di aver fatto un bel controllo su lancio di Radja (Nainggolan, ndr). Uno stop calibrato che mi permise poi di arrivare davanti alla porta e concludere”.
D’altronde, il controllo di palla era una delle sue caratteristiche principali.
“Sì, appunto, non avendo questo rapporto costante con il gol, dovevo far valere altre mie prerogative come saltare l’uomo, controllare la palla e giocare con la tecnica di base. E penso di aver fatto qualcosa di buono con questa maglia”.
Lei fu decisivo dalla prima partita che giocò con la Roma, a Sassuolo nel 2016. Spalletti la mise in campo da falso nove nonostante fosse arrivato da nemmeno 24 ore dal Genoa, trovando una chiave tattica interessante per la squadra.
“Vero. E infatti giocando in quella posizione segnai alla Fiorentina un altro gol in una partita spettacolare all’Olimpico dove andammo a segno io, Salah e El Shaarawy. Vincemmo 4-1. Ecco, a questo proposito, mi faccia dire una cosa su Stephan”.
Prego.
“Lui anche giocava esterno come me, nonostante fossimo due giocatori un po’ diversi per caratteristiche. Eppure, a differenza mia, ha sempre sentito molto la porta. Non a caso i suoi numeri realizzativi, anche con la Roma, non sono banali. Arrivammo entrambi nel mercato di riparazione invernale del 2016. E Stephan fa parte ancora della rosa”.
Un altro che è qui e con cui ha condiviso diverse partite è Pellegrini. La parabola che sta avendo Lorenzo in questa stagione con Gasperini può ricordare un po’ la sua con lo stesso allenatore? Il mister la rilanciò in un periodo particolare della carriera a Genoa.
“Sì, ci può stare come paragone. Io lo dico sempre, mister Gasperini mi ha rivitalizzato, mi ha dato fiducia in un periodo in cui giocavo poco e venivo da diversi infortuni. Con i suoi allenamenti, ricostruendomi praticamente dal punto di vista fisico, mettendo tanta intensità in più, mi diede la possibilità di rilanciarmi alla grande, di fare bei campionati con il Genoa, di meritarmi la Roma e di tornare anche in nazionale argentina. Gli devo tanto. E Lorenzo può fare uguale perché le sue qualità tecniche non si discutono, prendendo quota dal punto di vista fisico potrà fare una grande stagione”.
Come sta vedendo la Roma con il nuovo allenatore in queste prime uscite?
“Sta andando bene, ha vinto partite, al momento è prima in classifica. Ha mostrato momenti di calcio molto interessante. Ma è normale avere dei passaggi a vuoto, ci vuole tempo per costruire una squadra solida e con un gioco collaudato. Non basta una preparazione estiva di due-tre mesi per avere il prodotto finito. La squadra ha perso l’ultima partita in Europa League contro il Lille, ma sono momenti che in un percorso possono capitare”.
Da specialista dei calci rigori, che idea si è fatto dei tre penalty calciati da Dovbyk e Soulé?
“Io dico una cosa, sui rigori conta soprattutto il coraggio di andare sul dischetto. E sia Dovbyk, sia Mati Soulé ce l’hanno avuto. Poi, quando sei là davanti al portiere, con oltre 60mila persone sugli spalti, a pochi minuti dalla fine, può succedere di tutto. E la porta sembra un po’ più piccola di come la vediamo noi in tv. Davanti allo schermo è facile giudicare. Poteva tirare di qua o di là, il portiere si è buttato prima, vi assicuro che viverla in prima persona non è semplice. Io riuscivo a mantenere la freddezza fino alla fine, faceva parte di quelle caratteristiche tecniche su cui lavoravo per farmi trovare pronto e decisivo per la mia squadra”.
Cos’è stata la Roma per lei?
“Quando arrivi in una nuova società cerchi sempre di fare il massimo e sperare di conquistare i suoi tifosi. Ma Roma è diversa da tutte le altre in cui sono stato. La squadra ti entra dentro, la città è meravigliosa. I miei figli sono romanisti, uno gioca anche a Trigoria nel settore giovanile, siamo tutti tifosissimi. Ci siamo trasferiti per sempre qui a vivere con la mia famiglia. E siamo felici”.
Se dovesse definire questa squadra con una parola?
“Un dono. La Roma per me, per noi, è stata un dono”.
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