AS Roma

Questione di DNA

Fa niente se sono poche le occasioni. Il nostro giorno verrà: non è un tentativo di consolazione, ma una certezza

Di Bartolomei in campo

Di Bartolomei in campo

PUBBLICATO DA Fabrizio Pastore
30 Maggio 2024 - 07:00

Due volte e tutta la vita. Il trenta maggio tramortisce con la forza impetuosa e istantanea di un fulmine. Ma ci rende anche quelli che siamo. Tutti. Senza distinzioni generazionali. Per il romanismo Agostino è patrimonio sentimentale, prima ancora che calcistico. Anche se del calcio è stato un gigante, per come lo ha interpretato, per il talento che lo ha accompagnato e per l’amore viscerale che ne ha ispirato la carriera. Ma non si può pensare a lui senza vivere sussulti interiori. Passione e legami profondi eternizzano ogni immagine, anche la più sgranata. La rianimano. La rendono visibile e presente. Come un flash, che catturi per un attimo e ti cattura l’esistenza. Come quella splendida esultanza liberatoria dopo il gol all’Avellino sinonimo di Scudetto. Tanto da fartelo incorniciare. Dentro casa e dentro l’anima. In un posto talmente profondo che poco importa averlo vissuto direttamente o soltanto con immagini tramandate. Conta che sia parte integrante del nostro codice genetico. Tramandato senza necessità di racconti. Non si può, non si deve: si sa e basta. Troppo grande il dolore della rievocazione. Da una partita che non si è mai giocata a un Capitano cui non hanno mai tolto la sua gente. 

Importa invece che l’emozione pure a distanza di trenta e quarant’anni avvolga i compagni dell’epoca; tanto quanto Daniele De Rossi (che doveva ancora compiere 11 anni quel maledetto giorno del 1994); come anche i ragazzi della Primavera nati in questo millennio, con la Coppa Italia 2023 portata al cospetto del primo che l’ha alzata. Il trasporto emotivo cattura i tifosi che ne hanno vissuto le gesta nell’Olimpico marmoreo e scoperto; come quelli che ne hanno ammirato magari per la prima volta la coordinazione iconografica nella coreografia da brividi della Tevere all’ultimo derby.

Perché alla fine è tutto lì. Fra un’esultanza urlata al mondo e una dichiarazione silenziosa. Fra un leader carismatico come nessun altro - che ha reso la fascia molto più di un orpello al braccio - e la sua timidezza. Fra un’apparente corsa flemmatica e un pallone calciato alla velocità della luce. Fra una sconfinata felicità senza sorrisi e un’infinita tristezza priva di lacrime. È tutto in quella orgogliosa e al tempo stesso struggente miscela di passioni, speranze, illusioni. Nelle contraddizioni soltanto superficiali e nella grandezza sostanziale. Perciò Dibba diventa eroe dei romanisti, pur essendo stato quasi per natura congenita antieroe. Per ogni sogno che si realizza e ti «libera dalla prigionia». Ogni volta che «la nave approda col vessillo» in bella mostra. Fa niente se sono poche le occasioni. Il nostro giorno verrà: non è un tentativo di consolazione, ma una certezza. E si possono contabilizzare le vittorie, non le emozioni. In quell’esultanza carica di gioia e liberazione insieme, che porta un intero popolo dritto verso la conquista del vessillo, c’è la nostra prima. L’innamoramento ancestrale che esplode in quelle braccia aperte. È l’immagine che Ti immortala. Un attimo. E l’Eterno. Capitano, mio Capitano....

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