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Tatticamente

La solidità di Mourinho per vincere la Conference League

La Roma ha interpretato le partite del torneo con lo stessa idea tattica, prima difende, poi segna, poi difende, poi esulta. Fa il calcio che il suo allenatore sa fare.

Mourinho bacia il suo primo trofeo vinto con la Roma(As Roma via Getty Images)

Mourinho bacia il suo primo trofeo vinto con la Roma(As Roma via Getty Images)

27 Maggio 2022 - 11:50

L'ha vinta a modo suo, ma la parte più importante della frase è la prima. L'ha vinta. Perché chi prende Mourinho questo vuol fare. Gli è successo 26 volte, provate a contare e ad arrivare fino a 26. E gli è risuccesso qua dove non succedeva da 14 anni, da 60 in Europa. 60 anni. E invece lui è arrivato, ha parlato poco, ha studiato tanto, e ha vinto. Ha vinto la Coppa perché ha vinto la finale. Vinta come aveva vinto la prima gara di Conference, quando non era ancora Conference, come ha vinto gli ottavi (ricordate la sofferenza di Arnhem dopo il golletto di Oliveira su calcio d'angolo), come ha vinto i quarti (quel golletto di Pellegrini in Norvegia sin troppo difeso, fino al ribaltamento, che ha caricato squadra e pubblico fino al delirio del 4-0 del ritorno, e restiamo convinti che quel Bodø sia stata la squadra più forte affrontata in questa competizione), come ha vinto le semifinali (quell'altro golletto di Pellegrini all'andata, poi pareggiato nella ripresa, prima del successo al ritorno): vince così, prima difende, poi segna, poi difende, poi esulta. Bella partita? No, siamo d'accordo. O meglio: bellissima per noi, non bella per avversari e spettatori neutrali.

Il calcio di Mourinho

Bel calcio? Qui già il discorso si fa più ampio. Detto che bisognerebbe mettersi d'accordo sul significato dell'espressione – e atteso comunque che per bel calcio si intende una squadra che sa costruire dal basso, che sviluppa in verticale e prepara in orizzontale, che ruota i centrocampisti, che attacca con tanti uomini, che difende alta, che non attende, che controlla il possesso e gli avversari – la Roma non fa calcio bello, o almeno non sempre, ma fa calcio maturo, vissuto, esperto, produttivo. Fa il calcio che il suo allenatore sa fare, entrando nella testa dei suoi giocatori più di quanto non riescano a fare tecnici persino più sofisticati che però magari seguono una moda e non sanno realmente che cosa significhi dare una vera mentalità vincente. Non è giusto fare paragoni, non è corretto mettere a confronto esperienze, giocatori, stagioni differenti, ma è indubbio che se quest'anno la Roma ha vinto qualcosa il merito principale si debba ascrivere a chi è venuto per farla vincere e, guarda caso, c'è riuscito.

Come ha vinto la finale

Che stagione è stata? Partiamo dalla fine. Per battere il Feyenoord, Mourinho ha pensato soprattutto alla solidità della sua squadra, eppure dall'inizio aveva scelto una formazione tutt'altro che difensiva. Dentro Mkhitaryan e non a trequarti, ma al fianco di Cristante, in cabina di regia. A destra Karsdorp, a sinistra quello che resta una scoperta che a questo punto si può definire anche stupefacente: Zalewski, un trequartista neanche troppo celebrato in primavera, trasformato terzino sinistro, anzi "quinto", con risultati decisamente confortanti. Attenzione dunque: non Viña, terzino vero acquistato per aspettare Spinazzola e finito poi a fare la riserva del ragazzino, neanche lo stesso Spinazzola adesso che è rientrato, ma Zalewski il trequartista precario della primavera. Dietro un portiere scelto da lui (un giorno disse: «Rui Patricio è Rui Patricio, non serve neanche dire chi è, è una garanzia, stop». A Tirana abbiamo capito che cosa volesse dire), in difesa due marcatori non sempre considerati affidabili, Mancini e Ibañez e uno che con lui a Manchester non s'era preso, Smalling, pensa te. Davanti Pellegrini («se ne avessi tre giocherebbero tutti e tre»), Zaniolo (che a sentire certi grufolanti non vede l'ora di staccarsi da lui) e Abraham, tre giocatori iperoffensivi che non si sono mai distinti per la solidità difensiva. Squadra apparentemente sbilanciata in avanti, eppure perfettamente equilibrata. Di fronte il 4231 di Slot, una formazione olandese con espliciti richiami alle esperienze più offensive della scuola olandese, attaccanti ficcanti e aggressivi, centrocampisti di piede, difensori rocciosi (guidati da un supergiocatore, Senesi): in realtà tanto fumo e poco arrosto. Mou decide di prenderlo alto, di tenere due attaccanti sui due centrali, Pellegrini sul primo regista, uno dei mediani sul secondo e i quinti alti fino ai terzini. Se i meccanismi di contromossa non si attivano rapidamente, i quinti sono ormai abituati ad abbassarsi in linea con i difensori, per ridare superiorità in difesa e chiudere compatti ogni spazio.

Quelle similitudini tra squadre

Così la Roma sembra invitare gli avversari ad attaccare, con la consapevolezza che un errore nel palleggio potrebbe portare alla ripartenza letale, con Pellegrini ad illuminare la scena, Zaniolo ed Abraham ad attaccare la profondità. Il gol nasce così, sul lato più debole della difesa olandese: dalla parte di Trauner. A sinistra gioca invece l'argentino Senesi che a Tirana si è confermato di grandissimo spessore: sarebbe un rinforzo importantissimo per la Roma. Il vantaggio che Mourinho ha saputo sfruttare è che, di fronte, per tutta la Conference League, si è trovato squadre non irresistibili dal punto di vista tecnico (niente a che vedere con le top della Champions) e un po' allegre nella strategia tattica: si prendono volentieri il possesso palla, ma poi denunciano buchi clamorosi quando subiscono le ripartenze. E se poi sono costrette ad attaccare finiscono per lasciare sempre nuovi spazi. È stato così il Vitesse, poi il Bodø, poi il Leicester, poi il Feyenoord. Forse sarebbe stato peggio affrontare l'Olympique Marsiglia di Sampaoli, di sicuro se il Tottenham non fosse stato escluso sarebbe stato un avversario difficile da battere. Ma non può essere certo colpa di Mourinho se in certe partite ha giocato come il gatto col topo. Fino alla finale.

Semmai si può rimproverare il fatto che con le condizioni tattiche che si erano venute a creare, la Roma avrebbe dovuto individuare il modo per riattaccare con più continuità, non gettare il pallone indiscriminatamente in avanti, trovare linee di passaggio più razionali, come nel secondo tempo sofferto a Tirana. Ma era una finale e siamo sicuri che su questi aspetti Mourinho lavorerà con il tempo, sulla Roma che verrà. Quest'anno è arrivato, ha preso una squadra che sapeva giocare a calcio, ma che aveva clamorosi difetti di personalità e l'ha portata a confrontarsi sui livelli massimi cui poteva aspirare, vincendo la competizione europea guadagnata da Fonseca, finendo penalizzata in campionato proprio per le energie spese ogni giovedì e uscendo dalla Coppa Italia contro la squadra più forte d'Italia, almeno potenzialmente. Fare meglio, quest'anno, era impossibile. Il prossimo si vedrà.

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