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Amarcord

La storia tra la Roma, Sensi e Shevchenko

L’ex presidente nel 1998 provò ad acquistare l’attaccante ucraino. L’affare saltò perché i due emissari romanisti a Kiev scoprirono che era già stato preso dal Milan

Franco Sensi (Getty Images)

Franco Sensi (Getty Images)

21 Novembre 2021 - 08:50

Questione di tempi. Volendo usare un linguaggio cinematografico, roba da sliding doors. Che nel calcio non possono che essere innumerevoli. Quella che vi vogliamo raccontare è la storia di un presidente, Franco Sensi, che voleva acquistare un grande attaccante per la sua Roma, obiettivo tornare a farla vincere. Una storia respinta al mittente, per poi essere riproposta due anni dopo con Gabriel Omar Batistuta. Che fu un successo. Al contrario di quella in cui, ventiquattro mesi prima, il presidente romanista, aveva provato a portare a Trigoria un attaccante di belle speranze, tal Andrij Shevchenko. Proprio lui. L'allenatore che, a livello di club, la Roma terrà a battesimo stasera a Marassi.
A beneficio dei più giovani, ricordiamo che l'ucraino appena sbarcato sotto la Lanterna, a cavallo tra il secondo e il terzo millennio, è stato uno dei campioni della classe 1976 (Totti tanto per dirne un altro), un attaccante devastante (punì spesso e poco volentieri pure la nostra Roma), un fuoriclasse che ha fatto le fortune della seconda parte dell'era Berlusconi al Milan. Meno fortune, invece, per il Chelsea dove si trasferì trovando sulla panchina del club di Abramovich, pensate po', proprio Josè Mourinho, non riuscendo in Premier a ripetersi ai livelli di assoluta eccellenza fatti vedere in Italia.
Fatta la doverosa premessa, passiamo alla storia. Correva l'estate del 1998. Il presidente Sensi aveva appena rinnovato la fiducia a Zeman dopo la prima stagione in giallorosso del boemo. Voleva dare continuità al progetto, ma non aveva fatto i conti non solo con le oggettive difficoltà, ma anche con le esternazioni di Zeman che, proprio quell'estate, nel ritiro di Pinzolo, mise il calcio italiano sul banco degli imputati parlando di «uffici finanziari e farmacie». Il presidente Sensi che già smaniava per la costruzione di una grande Roma, chiese al boemo cosa gli servisse per fare il salto di qualità. «Un altro (oltre a Totti ndr) grande attaccante» la risposta dell'allenatore. Il presidente giallorosso si mise al lavoro. Chiedendo consiglio all'allora direttore sportivo Giorgio Perinetti e, anche, a Franco Baldini che da un paio d'anni era diventato un consulente di Sensi, acquisendo sempre maggiore credito dopo che a Trigoria aveva portato Paulo Sergio e Konsel, due operazioni che avevano convinto il presidente sulle qualità di scouting di Baldini. La ricerca della punta, si ridusse a tre nomi. E che nomi: Montella (che sarebbe arrivato l'anno dopo), Trezeguet e, appunto, Shevchenko. Sul francese si mosse in prima persona Sensi con tanto di viaggio a Montecarlo (all'epoca giocava nel Monaco) e un abbozzo di trattativa con la dirigenza del club monegasco. Respinto al mittente, nonostate un'offerta da oltre trenta miliardi (di lire).
Per provare, invece, ad acquistare il talento ucraino che già si era messo in mostra in Champions League, Sensi organizzò un viaggio in Ucraina. Destinazione Kiev dove Sheva era la stella di quella Dinamo che con Lobanovsky in panchina aveva stupito l'Europa giocando un calcio che aveva ricevuto apprezzamenti unanimi.
Alla volta della capitale ucraina, partirono due emissari giallorossi, accompagnati da due vistose signore che dovevano in qualche misura essere la copertura della missione per Sheva. I due uomini di Sensi arrivarono a Kiev, presero alloggio in un noto albergo, telefonarono nella sede della Dinamo Kiev, si presentarono prendendo un appuntamento per il giorno successivo. Sembrava un'operazione partita con il piede giusto, pur nella consapevolezza che, in quel momento, Shevchenko era l'attaccante più ricercato d'Europa. Il giorno dopo i due emissari romanisti si presenterano, puntualissimi, all'appuntamento con Lobanovsky. Ma capirono in fretta che il sogno Sheva sarebbe rimasto tale. Per il semplice motivo che quando entrarono nella sede della Dinamo Kiev, ne videro uscire Ariedo Braida, ovvero l'uomo mercato di quel Milan berlusconiano che certo non aveva problemi di liquidità. Appunto. Perché una volta faccia a faccia con la dirigenza del club ucraino, i due emissari, ch avevano il mandato di arrivare a un'offerta da quaranta miliardi, non poterono far altro che prendere atto come Shevchenko era ormai un giocatore del Milan (sarebbe arrivato dodici mesi dopo) a fronte di un accordo economico trovato sulla base di quarantaquattro miliardi (di lire).
Al ritorno in Italia, i due riferirono al presidente Sensi che l'obiettivo ucraino era sfumato. Si tornò allora al lavoro per cercare di prendere un'altra punta da mettere a disposizione di Zeman. Alla fine, un po' a sorpresa, a Trigoria si materializzò Gustavo Bartelt che, con tutto il rispetto, non si rivelò un affare. Sliding doors, appunto. E speriamo che, magari solo per oggi a Marassi, Sheva allenatore si dimostri un Bartelt.

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