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l'intervista

Iorio: «I tifosi l'arma in più della Roma. Col Verona sfida delicata»

Il doppio ex: «Il popolo romanista è straripante, sta trascinando la squadra. In questo momento i giallorossi sono i più temibili del campionato»

Maurizio Iorio, campione d'Italia con la Roma nella stagione 1982-83

Maurizio Iorio, campione d'Italia con la Roma nella stagione 1982-83

Lamberto Rinaldi
19 Settembre 2021 - 09:10

Trentamila tifosi per la partita contro il CSKA Sofia, di giovedì sera. Altri trentamila per la sfida con il Sassuolo. C'è un'empatia unica, un entusiasmo nuovo, a Roma. Un entusiasmo che conosce bene Maurizio Iorio, uno Scudetto con la maglia giallorossa e uno sfiorato con quella del Verona. «Il popolo giallorosso è straripante, sta trascinando la squadra. Con noi funzionava così: ci prendevano il lunedì e ci accompagnavo fino alla domenica». E proprio oggi, in trasferta, ci sarà la prova dell'Hellas. Una sfida che Maurizio Iorio ci presenta così, tra il ricordo degli attaccanti di prima e dei gol di un tempo.

La Roma affronterà il Verona proprio dopo l'esonero di Di Francesco. È un'insidia in più?
«Sarà una partita delicata. Il Verona è partito male dopo due annate importanti: questo non è un segnale positivo per un ambiente che conosco e a cui sono legato. Devono stare attenti: anche se sono le prime giornate, quando inizi a incanalarti in questa strada diventa dura uscirne. In aggiunta gioca contro una grandissima Roma».

Cosa l'ha colpita di queste prime partite della squadra di Mourinho?
«Il modo in cui viene trascinata dal tipico entusiasmo del popolo giallorosso, che è straripante. In questo momento penso che la Roma sia la squadra più temibile del campionato italiano, perché oltre ad aver costruito un organico di assoluto livello, con tanti giocatori interscambiabili, ha dalla propria una tifoseria impressionante. Io lo sento a distanza e non vivo a Roma, figurati chi ci gioca. È il dodicesimo uomo nel vero senso della parola. Il Verona deve stare attento perché la Roma andrà a fare punti ovunque. Giocare con il coltello alla gola, poi, non è mai semplice. Il compito di Tudor non è facile».

A proposito di tifosi: lei il calore di Roma l'ha conosciuto bene.
«Per mia fortuna sì, ho avuto questo regalo dal Signore. È qualcosa di straordinario, non sono le solite frasi fatte, è davvero così. I tifosi ci prendevano dal lunedì e ci portavano alla domenica in campo. Anche quando avevi un infortunio, scendevi in campo e non lo sentivi. Ecco cosa vuol dire sentire i tifosi dalla tua parte. E Roma in questo momento è così».

Come arrivò nella Capitale?
«Avevo giocato a Perugia, col Bari. Mi venne a prendere direttamente Liedholm, fuori dallo Stadio, insieme a Perinetti. Mi disse che gli piacevo e che dovevo andare da lui al più presto. E così avvenne nel giro di poco».

Che cosa vuol dire vincere lo scudetto a Roma?
«È inimmaginabile. Solo chi lo ha vinto lo può raccontare, tutte le altre persone non potrebbero capire, non ci crederebbero. Noi abbiamo festeggiato quattordici giorni. Abbiamo vinto il campionato alla penultima giornata, con il pareggio contro il Genoa. Abbiamo fatto una settimana intera di festa fino alla partita finale col Torino, a seguire un'altra settimana di festeggiamenti».

Qual è il ricordo più bello di quel periodo?
«Tutto. Mi ricordo quando atterrammo a Ciampino, ci mettemmo forse una settimana per arrivare a casa (ride, ndr). Era qualcosa di unico: tutta la città giallorossa. Sono orgoglioso, fiero e onorato di aver giocato e vinto uno scudetto con questa maglia. Il secondo dopo quarantuno anni, poi, immagina cosa poteva essere».

Iorio in campo con la maglia della Roma. Per lui 64 presenze tra il 1982 e il 1985

E proprio dopo lo Scudetto, ecco l'approdo al Verona.
«E lì ho conosciuto Osvaldo Bagnoli: una persona meravigliosa, fuori dagli schemi, umile, preparatissima, buona come il pane. Una persona che non ha niente a che fare con il mondo del calcio. Sono stato con lui anche a Genova: è stato un allenatore fondamentale, ma soprattutto una persona importantissima per la mia crescita a livello umano».

Lei ha giocato con grandi attaccanti: qual è il compagno di reparto più forte che ha avuto?
«Ho avuto la fortuna di giocare con grandi giocatori. Bomber Pruzzo era davvero straordinario, ma se ne devo scegliere uno, dico Paolino Pulici. Era una cosa davvero impressionante».

Adesso invece il panorama degli attaccanti è cambiato. Non produciamo più i numeri 9 di una volta?
«Adesso, tolti i grandissimi, ci sono veramente pochi bomber in circolazione. A me viene da ridere quando sento le caratteristiche, i numeri, i record di oggi. Prima non entravi neanche in campo e ti massacravano di botte, iniziavano nel sottopassaggio. Adesso non fai in tempo a tirare mezza maglietta e sei espulso. Per non parlare dei rigoristi: io tiravo i rigori, se giocassi adesso partirei da +10 gol a stagione. Ne danno tantissimi, per qualsiasi cosa. Poi è cambiato tutto, il minutaggio ad esempio: prima si giocavano 53 minuti di media a partita, ora 72. Prima si giocavano 30 giornate, adesso 38. Vuol dire che a fine stagione hai tanto tempo in più per segnare rispetto al passato».

E a essere cambiati sono anche i difensori.
«Ti pestavano a dovere. Ti pestavano e tu pestavi a tua volta, perché ti dovevi difendere. E gli arbitri ti ridevano in faccia. Mi ricordo che una volta fui costretto a mettere la sifcamina, una pomata ustionante. Mi bruciava il collo, intanto ero costretto a seguire il difensore. Ricordo l'arbitro, Casarin: mi rideva in faccia».

Di gol ne ha fatti tanti. Quali sono i più emozionanti?
«Ne scelgo due. Il primo: Bari-Verona, semifinale di Coppa Italia nel 1984. Bari è una città che io amo alla follia e loro amano me. Ci giocavo per la prima volta da avversario e segnai un gol molto bello, che è rimasto nella mia storia personale. Il Bari era una squadra di Serie C, arrivata in semifinale, lo stadio era gremito. E tutti i tifosi mi applaudirono».

E l'altro?
«Roma-Colonia, la rimonta di Coppa Uefa nel 1982. Segnammo io e Falcao, poi passammo il turno. È un gol a cui sono molto legato, da lì a poco tempo morì mio padre, che quella sera era allo stadio».

Dal calcio sul manto erboso a quello sulla sabbia. Com'è nata l'idea dell'Italia Beach Soccer?
«Tutto è iniziato nel 1995. L'idea era degli americani, che avevano creato un tour mondiale che coinvolgeva le rappresentazioni di tutte le nazioni. Prima mi chiesero di diventare il loro uomo immagine, poi sviluppai in prima persona lo sport in Italia: ho creato una lega mondiale che ormai cammina da sola».

Prossimi appuntamenti in programma?
«Abbiamo finito la stagione qualche settimana fa, a Palermo. E adesso riprendiamo il giro del mondo. Dove c'è il sole, c'è il beach soccer, questo è il nostro motto. Finita l'estate europea, a dicembre e gennaio andiamo in Sudamerica e poi in Asia».

E sulla spiaggia, chi è il più forte che ha visto?
«Leo Junior, il terzino del Torino degli Anni 80, che non a caso chiamano "O Rei da praia". Giocatore di un altro livello».

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