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Effetto Covid

Fifa, 150 milioni per le federazioni. Gli scienziati: «Il calcio non è immune»

Infantino: «È un primo passo per rispondere all'emergenza». L'epidemiologo Rezza: «Non ci sono condizioni di rischio "zero" e c'è anche il contatto fisico»

25 Aprile 2020 - 07:49

Qualcosa si muove. Nel complicatissimo tentativo di immaginare un doppio piano di rientro per il calcio, sul versante agonistico (ma alcuni tornei hanno già alzato bandiera bianca, ieri l'Eredivisie) quanto finanziario, un gesto concreto arriva dalla Fifa, che ha pianificato la distribuzione di 150 milioni di dollari alle 211 federazioni affiliate. «La pandemia ha prodotto una sfida senza precedenti per l'intera comunità calcistica ed è compito della Fifa supportare chi ha urgenti necessità - ha spiegato il presidente Infantino - Cominciamo fornendo immediata assistenza alle federazioni, molte delle quali stanno fronteggiando gravi disagi finanziari. È un primo passo di un vasto piano che svilupperemo per rispondere all'emergenza che investe l'intera comunità calcistica. Stiamo valutando le perdite e lavorando agli strumenti più appropriati per attuare le altre fasi di soccorso». Sarà subito versata la seconda quota del programma "Forward 2.0", originariamente prevista per luglio, quando sarebbero stati accertati i relativi criteri per l'accesso ai finanziamenti. Concretamente si tratta di 500mila dollari a federazione, più gli eventuali diritti residui dal 2019. I primi aiuti dovrebbero servire alle rispettive federazioni per fronteggiare gli obblighi finanziari nei confronti dei dipendenti.

Quella italiana resta alle prese con la data della ripresa. All'indomani dell'indicazione espressa da Gravina sul prolungamento della stagione fino al 2 agosto (che vorrebbe dire ricominciare il campionato al massimo nell'ultima decade di giugno, giocando sempre due volte a settimana e rinunciando alla Coppa Italia), resta il nodo sul ritorno agli allenamenti. Diversi club di Serie A non hanno ancora richiamato i propri tesserati dai rispettivi Paesi d'origine, che dal momento del loro rientro in Italia dovrebbero comunque essere sottoposti a un periodo di isolamento non inferiore a una settimana, nella migliore delle ipotesi. La fase due prevista per il 4 maggio difficilmente potrà coincidere con la ripresa delle sedute di allenamento, stante l'esigenza di allineare tutte le squadre di A.

La situazione al momento è tutt'altro che definita, come ha ammesso il presidente del Coni Malagò. «Speriamo possano riprendere anche gli sport di squadra. Parliamo di allenamenti con precauzioni, ovviamente di distanziamento. Nel weekend lavoreremo a questo fascicolo, al massimo lunedì mattina sarà sul tavolo del Ministro Spadafora che farà le sue valutazioni. C'è un inizio, ci auguriamo il 4 di maggio. Magari si farà un discorso diviso in aree geografiche, ma anche questo è tutto da verificare. C'è una situazione che logicamente riguarda la parte delle attività sportive. E poi c'è la pianificazione della gestione dell'evento, quello è un altro discorso».

E la coincidenza fra fine del lockdown e ripristino delle attività continua a suscitare perplessità anche nel mondo medico. «Per il calcio non ci sono condizioni di rischio "zero" e in questo caso c'è anche contatto fisico - il parere epidemiologo Gianni Rezza dell'Istituto superiore di sanità - La decisione sarà politica, ma dal punto di vista tecnico il calcio implica un contatto diretto e se si giocherà lo si dovrà a fare a porte chiuse, su questo non si discute. Oltre ai giocatori, ci sono molte persone intorno e i controlli che si dovrebbero fare avrebbero una scadenza molto stretta». La sponda calcistica alle parole di Rezza arriva dal presidente della Lega Pro Francesco Ghirelli: «Avrei voluto vedere non oggi ma ieri i giocatori in campo, perché vorrebbe dire che il Paese sta meglio. Ma la salute va messa al primo posto, e Rezza bisogna ascoltarlo».

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