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Lino Aldovrandi: "Spero che la bandiera di mio figlio sventoli all'Olimpico"

Il padre di Federico, ucciso durante un fermo di polizia il 25 settembre 2005: "L'immagine di mio figlio è vita, per me è un simbolo di pace e non di guerra"

La Redazione
19 Ottobre 2018 - 16:25

A poche ore ormai dal ritorno in campionato dei giallorossi, Lino Aldovrandi, padre di Federico, il ragazzo tifoso della Spal ucciso durante un fermo di polizia il 25 settembre 2005, ha parlato ai microfoni di Rete Sport, durante il programma di Massimiliano Magni ed Alessandro Cristofori. Il padre di Aldovrandi ha parlato del divieto, applicato lo scorso anno, di introdurre all'Olimpico la bandiera con impressa l'immagine del figlio, perché giudicata "comportamento provocatorio nei confronti delle forze dell'ordine". Il divieto causò il silenzio, per protesta, del settore occupato dai tifosi della Spal. Queste le sue parole:

"L'immagine di un ragazzo non può essere una provocazione nei confronti delle forze dell'ordine. Per me, padre di un ragazzo, quella di Federico, vedendola sventolare sopra la testa delle persone, non è altro che un'immagine di vita. Non c'è mai stata nessuna offesa contro la polizia o i carabinieri. È sempre stata un'immagine assolutamente positiva. Ha un ruolo simbolico, perché fa capire l'importanza della presenza delle istituzioni, che invece in quel momento mancarono. Quell'immagine per me è pace, non è guerra".

Riguardo alla vicenda giudiziaria legata alla morte del figlio: "Quello che ci ha mosso, oltre all'altro figlio Stefano, è l'amore che si è costruito in 18 anni per Federico, che ti anestetizza contro i cattivi pensieri. Una cosa del genere non la auguro a nessuno. In quei momenti ci si sente soli, ma quell'amore non si può ignorare, mi ha aiutato tantissimo. Quella mattina c'è stato un cortocircuito, qualcosa di terribile. C'è stato un processo parallelo ai quattro che uccisero mio figlio, ci fu un processo a chi omise, a chi depistò". 

Riguardo al caso di Stefano Cucchi, simile a quello di Federico: "Ilaria (la sorella, ndr) la vedo spesso, sono vicino a lei, visto che ora sta passando, in un certo senso, quello che abbiamo passato noi. Si ritrova nella posizione di chi, invece di seguire la strada della giustizia, riceve offese da persone che rivestono ruoli importanti e che dovrebbero essere alla base di un equilibrio, cosa che io non sono riuscito a vedere. La loro battaglia continua la nostra contro queste assurde ingiustizie perpetrate da chi dovrebbe essere un riferimento come le istituzioni. Posso dire che nel caso di Federico la Polizia, attraverso il capo di allora, il dottor Manganelli, ci chiese scusa in maniera ufficiale anche prima del processo dell'ultimo grado di giudizio della Cassazione, che nel giugno del 2012 emetteva la sentenza. Purtroppo le cose che ci dicemmo all'interno di questo nostro colloquio non si verificarono, non si arrivò a quello che io ritenevo l'epilogo: il licenziamento di chi aveva disonorato la divisa. Il dottor Manganelli morì poco prima della sentenza, se lui fosse stato ancora tra noi quelle quattro persone ora non vestirebbero più la divisa, come sarebbe corretto. Non ritengo giusto vengano etichettate come schegge impazzite per poi continuare a fare il proprio lavoro".

Infine il padre di Aldovrandi ha voluto lanciare un appello in vista di Roma-Spal di domani: "Mi auguro che quella bandiera sventoli domani all'Olimpico. In ogni avversario c'è un cuore, cercate di rispettare la cosa più importante che è la vita".

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