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Caso Schwazer, l'intervista a Donati: “Istituzioni corrotte. Un muro di gomma come nelle stragi di stato”

L'allenatore simbolo della lotta al doping: «Un giudice ha dimostrato l’innocenza di Alex, ma non lo vorranno alle Olimpiadi. Contro abbiamo troppi interessi e nessuno fa niente»

, di LaPresse

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08 Marzo 2021 - 10:00

Un giorno, quando magari non ci sarà più, di questo omino competente e appassionato si scriveranno pagine di letteratura per così dire di impegno sociale, magari la sua storia la vedremo raccontata in un film, e allora ci commuoveremo, ci indigneremo e ci chiederemo dov'eravamo quando ancora potevamo fare qualcosa, e soprattutto ci chiederemo se davvero il muro di gomma contro il quale ha rimbalzato tante volte in tanti anni non poteva essere scalfito da un altro tipo di impegno sociale, quello che riguarda i fatti e non le sceneggiature. Sandro Donati si avvia verso i 74 anni, ma la voce e il temperamento non sembrano fiaccati da tutte le battaglie combattute, e per larga parte vinte. Come l'ultima, con l'onore rimesso in discussione per l'ennesima volta dall'ennesima manipolazione contro l'ennesimo atleta da lui allenato, eppure restituito intatto, anzi più limpido, da una sentenza inequivocabile, quella del gip del tribunale di Bolzano, che ha archiviato il procedimento penale a carico di Schwazer per «non aver commesso il fatto», ritenendo «accertato con alto grado di credibilità razionale» che i campioni di urina «siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e, dunque, di ottenere la squalifica e il discredito dell'atleta come pure del suo allenatore, Sandro Donati». L'atleta è Alex Schwazer, un talento assoluto e purissimo che nel 2012, stufo dei continui e impuniti miglioramenti artificiali dei suoi avversari russi, si fece convincere a intraprendere un percorso sbagliato, e finì per doparsi. Beccato, fu squalificato e, pentito, collaborò con le indagini effettuate fino a diventare assai scomodo per tutto il mondo dell'atletica internazionale. E per dimostrare a tutti che solo attraverso l'allenamento e i suoi mezzi avrebbe potuto tornare in vetta al mondo, si affidò per l'appunto a Sandro Donati, forse il migliore, più credibile, più serio e più preparato allenatore che lo sport italiano abbia mai avuto, che però ha sempre combattuto corruzioni, storture e stregoni dell'antisport, del doping elevato a sistema, italiano e internazionale. E sono anni ormai che cercano in ogni modo di toglierlo di mezzo: «Forse devono provarci con un colpo di pistola alla tempia. Finora hanno provato solo a scoraggiarmi isolandomi, e ha sempre funzionato. Ma io sono ancora qua, a combattere contro chi non merita di stare nel mondo dello sport».

Prof, chi sono i suoi nemici?
«Cominciamo subito così dritti?».

Lei i nomi li conosce tutti.
«Io sì, ma devo contenere i miei pensieri. Per il momento conviene far così, e, mi creda, anche a lei».

Partiamo allora della manipolazione che il giudice di Bolzano ha ritenuto accertata. Quando ci sarebbe stata?
«Il percorso fatto dal campione d'urina era stato raccontato in maniera diversa in una prima versione. Nel verbale della catena di custodia era stato asserito dall'ispettore che era stato consegnato all'incaricato della GQS, la piccola azienda privata a cui la federazione internazionale aveva affidato il controllo antidoping, solo la mattina del 2 gennaio alle ore 6. Ma otto mesi dopo, di fronte al Tas di Losanna, ad agosto, l'ispettore cambiò versione e venne fuori che in realtà non lo custodì lui fino alle 6 di mattina del 2, ma che lo lasciò nell'ufficio della GQS alle ore 15 del 1° gennaio. Ammise implicitamente di aver falsificato il verbale della catena di custodia. A Stoccarda ci fu tutto il tempo per compiere la prima manipolazione, ma ovviamente non possiamo averne la certezza».

E la seconda?
«Questa è stata ricostruita dallo scrupoloso lavoro del magistrato di Bolzano. Quando nel gennaio del 2017 hanno aperto l'incidente probatorio, hanno convocato Wada, l'agenzia mondiale antidoping, e la federazione internazionale di Atletica, la Iaaf, con una chiara motivazione: "Cari signori, l'interessato, cioè Schwazer, ha sporto denuncia contro ignoti, quindi ora noi vogliamo l'urina che potrebbe confermare l'accusa oppure scagionarlo". A questo punto si sono rifiutati adducendo scuse di vario genere, fornendo nel corso dell'indagine numerose false informazioni, e hanno risposto che avrebbero potuto fornire parte del campione A, ma non quello del campione B perché ce n'era talmente poco, altra menzogna, che non avrebbe avuto senso analizzarlo».

Ma che significa campione A e campione B?
«In un controllo antidoping, il campione d'urina viene suddiviso in due flaconi, A e B, sigillati davanti all'atleta. Il primo flacone viene poi aperto dai tecnici del laboratorio per l'analisi. Qualora si riscontrasse una posività, si procederà all'analisi del flacone B davanti anche ad un rappresentante dell'atleta».

E questo campione B poi l'hanno consegnato?
«Sono stati costretti, ma dopo un ritardo di un anno rispetto all'apertura dell'incidente probatorio. Per l'esattezza il 7 febbraio 2018: andò a Colonia il colonnello Lago, comandante del Ris di Parma».

E che cosa è venuto fuori?
«Si sono presentati con una fialetta di plastica non sigillata spacciandola per il campione B. Così è intervenuto nuovamente il magistrato, minacciando penalmente il direttore del laboratorio. Poi alla fine, e salto vari passaggi, questa provetta è uscita fuori con il risultato che non c'era Dna estraneo».

Dunque, crollava l'impianto difensivo di Schwazer basato sul fatto che la sua urina fosse stata inquinata con un'altra dopata. In realtà poi è emerso ben altro.
«Perché hanno pensato di fare i furbi in maniera diversa e magari più sofisticata... Nella realtà si è scoperto che c'era una quantità straordinaria di Dna di Alex in questo campione B, molto superiore ad esempio a quello del flacone A. E quindi è cominciato un lungo iter di analisi per avere la conferma di una ovvietà scientifica: il Dna nell'urina non rimane, tende a deteriorarsi rapidamente. L'urina è un tessuto vivo, non inerte. Se, per esempio, hai 2000 picogrammi di Dna, dopo 6 mesi diventano 300, dopo un anno 80. E invece lì dopo due anni era altissimo. Hanno fatto anche nuovi controlli su Alex, trovando nel suo Dna "fresco" quantità di Dna 50 volte più basse e così si è arrivati alla conclusione. Qualcuno, nel timore che dall'analisi del Ris di Parma risultassero tracce di altro Dna, lo ha distrutto con un semplice procedimento di laboratorio, ma poiché non si può distruggere selettivamente il Dna estraneo, hanno inevitabilmente distrutto anche il Dna di Schwazer. Bisognava dunque normalizzare l'urina aggiungendo nella provetta il suo Dna, ma hanno clamorosamente sbagliato dose, aggiungendone troppo. Fino a una quantità fuori dall'umano. Così il magistrato ha messo in fila tutte le altre incongruenze e i falsi e nell'ordinanza ha scritto che non soltanto con sicurezza l'atleta non si è dopato, ma con altissima probabilità nei suoi confronti è stata operata una manipolazione. E ha chiesto al pm di aprire un'indagine sui responsabili della Iaaf e della Wada. Il magistrato ha anche stigmatizzato il fatto che a produrre una falsa perizia per conto della Wada sia stato un professore di genetica della Cattolica di Roma, a suo tempo condannato a un anno e sei mesi per falso nella qualità di perito di un tribunale sull'omicidio di Elisa Claps, anche se poi fu salvato dalla prescrizione».

E qui torniamo alla domanda. Chi ha organizzato tutto?
«Al momento mi permetta di non rispondere. Ma io so».

Nello splendido documentario di Attilio Bolzoni su Repubblica si sentono le intercettazioni del medico Fischetto, che era stato chiamato in causa dal "pentito" Schwazer. Usa parole molto dure contro Alex.
«'sto crucco ha da mori' ammazzato... Belle parole, vero? Sono passati otto anni».

Insomma, se non fosse stato per questo magistrato così cocciuto, nessuno vi avrebbe tolto di dosso questa macchia...
«Esattamente. Alex distrutto e condannato ad espiare a vita, e io nella migliore delle ipotesi l'ingenuo caduto nella sua trappola, e nella peggiore il suo complice. In ogni caso, sarei stato definitivamente isolato e zittito».

E così tutte le sue denunce, come ad esempio quelle delle clamorose omissioni della Federazione Internazionale di Atletica su tutti quei dati anomali da lei ritrovati in un data-base e su cui non si è mai indagato sarebbero state derubricate a deliri di un ex allenatore rancoroso.
«Ma di questo parlerò in un libro che uscirà presto».

Perché il doping, secondo lei, non è mai stato sconfitto?
«Per la complicità delle istituzioni. Hanno messo in piedi baracconi che costano centinaia di milioni di euro per trovare lo 0,4% di positivi. Delle due l'una: o è così e allora il doping non esiste, e quindi andrebbero smantellate queste organizzazioni mastodontiche e costosissime, o non sanno o non vogliono fare bene il loro lavoro. Ma a lei pare normale che la Wada, l'agenzia mondiale antidoping finanziata anche da tutti i governi, possa permettersi di aggredire un magistrato della repubblica italiana? Ma io non posso scontrarmi sempre da solo contro istituzioni potenti e che agiscono al di fuori delle leggi nazionali. L'unico paragone che mi viene in mente è quello delle stragi di stato: come si possono combattere?»».

Che cosa potrebbe fare la politica? Che cosa potrebbero fare i giornali?
«La politica potrebbe fare molto, ma temo non ci sia adeguata preparazione per capire. Alcuni leader politici si sono limitati a dire "Forza Alex!". Ma io da un politico posso aspettarmi un semplice "Forza Alex"?. I giornali pian piano hanno capito e si sono schierati al nostro fianco anche se per anni su questa vicenda ci siamo sentiti molto soli, compresi solo da quei pochi giornalisti che hanno avuto tempo e voglia di approfondire. In questo c'è molta pigrizia, se vuole: la parte di Schwazer nei panni del diavolo che inganna l'ingenuo professore paladino dell'antidoping è credibile. Approfondire costa fatica e tempo... Però devo ribadire che quando piano piano si sono scoperti gli altarini di quei delinquenti, beh la risposta è stata significativa».

Abbiamo visto anche Alex a Sanremo, emozionato. Pensa che lo riabiliteranno per le Olimpiadi?
«Se devo dirle la verità, temo di no... Che smacco sarebbe per loro? Meglio negare ogni manipolazione. Dopo questa clamorosa sentenza non si è mosso niente. Alex per questa cosiddetta giustizia sportiva resta un dopato, la squalifica di otto anni al momento c'è e non vedo come qualcuno possa smuovere qualcosa in un sistema così interconnesso. Per condannarlo gli fecero un processo di tre ore a Rio de Janeiro in cui non ci fu dato neanche il tempo per difenderci, ci incalzavano in continuazione che dovevamo essere brevi. Un altro giudice dopo un'indagine di cinque anni è arrivato a ben altre conclusioni... Ma per il sistema sportiva fa testo il procedimento sommario di tre ore».

Pensa che Schwazer a 36 anni potrebbe dire la sua a Tokyo?
«Alex è un atleta eccezionale, un talento magnifico. Ben allenato, a Tokyo potrebbe vincere. Ma sarebbe la sconfitta dei signori dell'antidoping di facciata. Non glielo consentiranno. Faranno muro».

Possibile che nessuno possa fare qualcosa? Lei ha ringraziato il presidente del Coni Malagò.
«E lo faccio ancora, da lui non è mai mancato l'appoggio. Malagò tre anni fa mi ha anche dato il ruolo di Responsabile della metodologia di allenamento della programmazione olimpica. Ma dopo l'ordinanza giudiziaria il problema non è più Schwazer o Donati. Il problema riguarda tutti. Si fanno beffe del sistema giudiziario italiano. Si può continuare a far finta di niente?».

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