ASCOLTA LA RADIO RADIO  
Fila 16

Ho visto cose...

Il vicino di posto, laziale, che fa la radiocronaca della partita a suo figlio. E, dopo la gara, il sorteggio degli 8 biglietti per Budapest del Roma Club Il Soppalco

Stadio Olimpico durante una partita della Roma

Stadio Olimpico durante una partita della Roma (GETTY IMAGES)

Federico Vecchio
24 Maggio 2023 - 10:48
La sorpresa era stata trovare sotto l’Obelisco un compagno di curva (nome di fantasia: “Massimo Francesco”) che, dai tempi del ginnasio (un’era geologica fa) non aveva messo mai più piede allo stadio. La mia sorpresa era pari a quella di un altro amico (nome di fantasia: “Massimo”) incontrato anche lui ai tornelli, grandissimo avvocato, grandissimo gentiluomo e storico abbonato della Tevere, il quale non riusciva a nascondere il suo stupore nel vedere materializzarsi all’Olimpico il nostro comune amico. Ma era Massimo Francesco a darci la spiegazione del ritorno: «Sono tornato - ci diceva con il suo atteggiamento british - perché, anche se a qualcuno potrà non piacere, occorre accettare come, qui a Roma, si stia vivendo, grazie a Mourinho, una pagina di Storia. Due finali europee in un anno. Meritava il mio ritorno». Dopo avere sentito queste dolcissime e veritiere parole, percorrevamo il tragitto che ci separava dai tornelli ai seggiolini parlando, tutti e tre, dell’unico argomento al mondo che stia a cuore, in questo momento, a ciascuno di noi, salutandoci con il solito augurio: «Speriamo di trovarlo». Il tempo di arrivare al mio posto che ecco la sorpresa di vederlo occupato da un signore che, con figlio di circa cinque anni e moglie, si accingeva ad assistere all’incontro. Vedendo il seggiolino immediatamente seguente libero, ed intuendo, vista ormai l’ora e la giornata lavorativa, che il legittimo occupante, abbonato e commerciante, non sarebbe venuto, ne prendevo possesso. Il signore si scusava perché amorevolmente impegnato a interpretare, su richiesta del figlio, il ruolo di radiocronista e mi confessava la verità: «Mi scusi, ma è mio figlio che me lo chiede. Poi, così, passo almeno il tempo. Mia moglie, no, ma io sono laziale». Ecco, da lì capivo che necessariamente qualcosa sarebbe dovuto andare storto. Non per la (meravigliosa, va detto) radiocronaca che quel padre, faticosamente, avrebbe fatto per tutta la partita a beneficio del piccolo, ma per quell’infausto evento di vedermi costretto ad assistere all’incontro accanto al tifoso sbagliato. A fine partita (perché, nel mezzo, tra quel «mi scusi» e le 20.30 c’è stata pure una partita di cui, tra qualche giorno, speriamo di non avere più memoria), rincorso dalle parole di el Tano («Questa sconfitta è colpa del solito approccio negativo. Sempre a cercare alibi. Lo stadio non lo riempie Mourinho, ma gli abbonati a luglio»), scendevo le scale della Tevere e mi imbattevo, inaspettatamente, in una delle più belle pagine di tifo romanista che abbia mai vissuto. Un gruppo di abbonati, tra cui riconoscevo vari amici (nomi di fantasia: “il Conte Lando”, “Federico”, “Stefano”), erano ridossati ai piedi della Tribuna mentre uno di loro (“Andrea”) spiegava i criteri del sorteggio che, da lì a poco, si sarebbe svolto. Un momento meraviglioso. Mi trovavo, difatti, nel bel mezzo di una riunione del club Il Soppalco – Carlo Guidetti, costituito, alla presenza del Notaio “Umberto”, nemmeno un anno fa tra i seggiolini della Tevere (unico caso di atto pubblico stipulato non in qualche studio notarile in Prati, ma direttamente sulle tribune dello Stadio Olimpico: solo per questo, da farci una serie su Netflix) in memoria di un loro amico e grandissimo romanista. E la finalità era quella, tra tutti i componenti del club, di sorteggiare gli otto biglietti (è inutile stare a dire per quale partita) che l’UTR aveva messo loro a disposizione. E, a quel punto, ho visto davvero cose che voi umani. Ho visto, difatti, Luca e Lucio, ragazzi baciati dal sorteggio, regalare immediatamente quei preziosissimi doni ad Alessandra (che, commossa nel ricordo del padre, era stata chiamata ad estrarre i numeri vincenti), e Michela, affinché potessero esserci loro, a Budapest, a vivere quella finale, portando così in quello stadio, dentro i loro cuori, anche il padre. Ho visto assegnare il numero del sorteggio che sarebbe spettato ad un tifoso, tale “Ubaldo” – che chi vi scrive ricorda non solo per avere segnato, da grande campione, un rigore in una finale di Coppa dei Campioni, ma anche per lo sguardo che gli rivolse la fidanzata (la mia, non la sua) quando giocava nella Primavera, e quello sguardo chi vi scrive se lo ricorda ancora, e anche con un certo disappunto, diciamolo – al “Conte Lando”. Ho sentito spiegare il perché di quel nome (Il Soppalco), nato nella trasferta di Barcellona, quando passare il turno e arrivare in semifinale di Champions più che un sogno era un miraggio, perché, a pranzo, il giorno dopo quella sconfitta, in un soppalco di un qualche ristorante delle Ramblas, qualcuno (“Ottone”), per rincuorare gli animi, profetizzò una vittoria per 3-0 al ritorno. Ho visto e sentito tutto questo. Ma soprattutto ho sentito un grandissimo amore per la Roma e un grandissimo senso di amicizia. E, già solo per questo, checché ne dica el Tano, grazie Mou.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA